Parlare di impatto ambientale dei modelli di sviluppo abitativo urbano oggi predominanti in Argentina presuppone la comprensione del perché tali modelli si siano diffusi. Durante gli anni ‘90, la società argentina ha subìto un grande cambiamento, dovuto a una politica neoliberale legata alla globalizzazione dell’economia. Questo approccio ha comportato l’aumento del divario sociale tra coloro che sono riusciti ad abbracciarne con successo il modello e coloro i quali ne sono stati esclusi.
Al ritmo di privatizzazioni, deindustrializzazione e aumento di diseguaglianze sociali, il paesaggio urbano è andato mutando: il tessuto industriale delle grandi città si è trasformato progressivamente in un vero e proprio cimitero di fabbriche e di piccole attività commerciali, in favore di ipermercati, negozi e multisala. Nel mezzo dell’euforia neoliberale, gli insediamenti informali si sono moltiplicati e diversificati per accogliere un numero sempre maggiore di esclusi dal modello predominante, e allo stesso tempo hanno iniziato ad ergersi sempre più i muri delle città privatizzate, rifugio delle classi alte e medio-alte. Gli anni successivi al default economico del 2001 hanno visto un’esplosione di violenza che ha instillato nella popolazione un crescente senso di insicurezza, portando alla proliferazione di quartieri residenziali chiusi e sorvegliati, i barrios cerrados, che però rappresentano anche una fonte di frammentazione del tessuto urbano e di profondi stravolgimenti ambientali.
Il format barrio cerrado non è nato recentemente, ma risale all’inizio del ‘900 con i primi country club. Questi, inizialmente concepiti come seconda casa, erano costituiti da infrastrutture e costruzioni semplici, in linea con lo stile di vita a contatto con la natura che sponsorizzavano. Con la massificazione del lusso, questi insediamenti hanno perso il loro carattere temporaneo diventando permanenti. L’artificializzazione del paesaggio si è resa così necessaria per mantenere il format scenografico e consentire, al tempo stesso, il normale svolgimento della vita quotidiana senza gli inconvenienti del contatto con la natura “autentica”. Oltre i confini di questi quartieri chiusi, si sono moltiplicate le villas (baraccopoli), nate dall’occupazione illegale dei suoli e prive di ogni tipo di infrastruttura e organizzazione. Quali, dunque, le conseguenze in termini ambientali di questo stravolgimento e polarizzazione socio-spaziale?
Un caso particolarmente interessante è rappresentato dalla città di Tigre, situata nell’omonimo dipartimento (partido) a nord dell’area metropolitana di Buenos Aires, dove il nostro team di lavoro – Architetti Migranti – al termine del Corso di Alta Formazione Permanente “Habitat & Cooperazione” del Politecnico di Torino, ha sviluppato in collaborazione con il Municipio un progetto di recupero urbano di un distretto della città. Tigre è situata in una delle più vaste zone di delta fluviale del mondo, dove il Rio Paranà si congiunge con il Rio Uruguay diventando Rio de la Plata. I sedimenti trasportati dai due fiumi creano continuamente, per deposito, nuove isole inondabili e semi paludose. Queste zone, chiamate humedales, costituiscono un ecosistema estremamente delicato, dove la sopravvivenza di flora e fauna autoctone dipende dall’alternanza di periodi di maggiore o minore presenza d’acqua.
Dagli anni ’90 ad oggi le politiche urbane hanno incentivato esponenzialmente l’acquisizione degli humedales da parte di imprese private con lo scopo di edificarvi, previa bonifica, barrios cerrados destinati a fasce benestanti di popolazione, speculando in tal modo sul valore dei terreni. La bonifica tendenzialmente viene effettuata o con un metodo “secco” che consiste nel trasporto di terra da un altro luogo per innalzare il livello delle aree da edificare, o con un metodo “bagnato”, attraverso il drenaggio dell’acqua verso aree di decantazione definite, laghi e vie d’acqua, spesso parte integrante della soluzione compositivo/urbanistica di questo tipo di quartieri.
L’artificializzazione del sistema idrico all’interno dei barrios cerrados compromette irreparabilmente il complesso ecosistema degli humedales e la capacità di assorbimento del terreno. All’interno dell’insediamento la mancanza di ricircolo delle acque favorisce la proliferazione di alghe e la permanenza, sul fondo dei bacini artificiali, di residui organici e chimici, provenienti ad esempio dal giardinaggio, che compromettono irrimediabilmente l’equilibrio tra flora e fauna. Al di fuori del barrio la creazione di queste “sacche asciutte”, realizzate in aree inondabili ora rialzate rispetto al terreno circostante, espone le porzioni di territorio limitrofe ad un maggiore rischio di allagamento. Ad aggravare la situazione vi sono le condizioni precarie delle villas, in cui la parziale o totale assenza di sistemi di scarico comporta non solo pericoli per la comunità che vi abita, ma anche la contaminazione dei terreni e dei corsi d’acqua.
Questa alterazione pianificata della topografia del territorio, finalizzata alla creazione di un microhabitat per un’élite di persone, comporta conseguenze nefaste in particolar modo sulla popolazione più vulnerabile. Diego Ríos, ricercatore dell’Istituto di Geografia dell’Università di Buenos Aires, afferma che “da quando è iniziato il processo di urbanizzazione a Tigre, le inondazioni colpiscono le popolazioni in maniera differenziale”. Le popolazioni dei barrios cerrados e delle villas miserias, oltre a trovarsi in condizioni topografiche diverse, non hanno gli stessi strumenti economici, sociali e politici per fronteggiare il rischio disastri. Emblematico il caso dell’insediamento informale Las Tunas, i cui abitanti sono dovuti ricorrere a rimedi estremi abbattendo un muro confinante con un barrio cerrado per consentire il deflusso delle acque che stavano letteralmente sommergendo l’insediamento.
Per capire la scala ed il livello di enorme disparità di queste due realtà in Tigre (400.000 abitanti circa) vediamo alcuni dati demografici. Nel 2006 un rapporto della Universidad de General Sarmiento, vi contava 39 insediamenti informali con una popolazione superiore a 50.000 persone, distribuite su una superficie di 254 ettari, pari a neanche il 2% del territorio. Qualche anno dopo, nel 2010, la Comisión Interministerial de Ordenamiento Urbano y Territorial (C.I.O.U.T.) stimava nei barrios cerrados una popolazione di 23.000 persone, distribuite su 5.381 ettari, pari al 35,4% del territorio del partido. La diffusione dei barrios cerrados a Tigre è talmente fuori controllo da spingere alcuni intellettuali come Patricia Pintos, geografa e voce autorevole nel settore, a non escludere la possibilità che in futuro possa diventare necessario ricollocarne una buona parte.
Considerando questo quadro complesso, si possono individuare due spunti per ulteriori riflessioni. Uno più specifico, legato al marketing per la commercializzazione dei barrios cerrados che fa leva non solo sul tema della sicurezza, ma anche sul concetto di “ritorno all’ambiente naturale”. Dice in proposito Laila Robledo, urbanista della Universidad Nacional de General Sarmiento: “Oggi gli humedales stanno sparendo perché, ironicamente, lo stile di vita promosso dagli imprenditori privati è associato al godimento di ambienti lacustri e naturali”
Un’altra riflessione più generale può essere fatta considerando un aspetto peculiare degli insediamenti umani: la loro impronta ecologica. Un modo di stimare l’efficienza di un sistema complesso, come una città, mette in relazione gli stili di vita di una popolazione con la quantità di consumo di risorse naturali necessaria per sostenerli. Si tratta di un concetto introdotto dall’ambientalista svizzero Mathis Wackernagel e dal professor William Rees nel loro libro “Our Ecological Footprint: Reducing Human Impact on the Earth” (1998). Da questo punto di vista i barrios cerrados rappresentano sicuramente un modello da abbandonare. Inoltre, è interessante notare, come sostiene provocatoriamente Stewart Brand nel suo libro “Whole Earth Discipline” (2009), che se si analizzasse l’impronta ecologica della città informale, paradossalmente questa risulterebbe migliore rispetto a quella della città formale, e nel nostro specifico caso a quella della città chiusa.
Attualmente il tema dell’impatto ambientale dei barrios cerrados è al centro del dibattito politico e mediatico. Una sentenza federale ha imposto ai comuni a nord di Buenos Aires e all’Agenzia Provinciale per lo Sviluppo Sostenibile (OPDS) di revisionare i permessi per le nuove aree di sviluppo e determinare il loro impatto ambientale. I comuni e l’OPDS dovranno pertanto astenersi dall’autorizzare progetti di sviluppo immobiliare che comportino opere di sbarramento, costruzione di serbatoi e/o polder, drenaggio, riporto, scavo, creazione di laghi artificiali, modifica dei corsi d’acqua e delle coste nelle pianure alluvionali e negli ambienti insulari.
Nel caso specifico di Tigre, questa misura cautelativa ha imposto uno stop alla costruzione del barrio cerrado Venice ed un divieto ad iniziare i lavori per la realizzazione del progetto Remeros Beach. Il comune di Tigre non ha fatto alcuna dichiarazione ufficiale in merito, si è solamente reso disponibile a collaborare con il governo e con l’OPDS. Sarà interessante seguire l’evoluzione di questo nuovo processo. Sicuramente il fatto che sia stata emanata un’ordinanza federale e parallelamente vi siano numerose associazioni che si occupano di questi temi, come i Vecinos inundados de Tigre, il Movimiento de la Pacha e la Asociación ambientalista de Escobar, testimonia il crescente interesse e sensibilità riguardo queste tematiche, non più esclusive degli esperti di settore ed intellettuali. Altro aspetto significativo è rappresentato dal fatto che queste misure siano arrivate quasi contemporaneamente ad una sentenza, la n. 2, del Tribunale amministrativo di San Isidro, che invitava il comune di Tigre e la provincia di Buenos Aires a fornire servizi di base per le quasi 800 famiglie dell’insediamento informale Almirante Brown, confinante proprio con Venice.
La consapevolezza circa le conseguenze distruttive alle quali porterebbe il protrarsi delle politiche speculative immobiliari degli ultimi decenni, testimoniata da questa serie di provvedimenti, fa sperare in un cambio di rotta delle politiche di sviluppo urbano verso una maggiore sostenibilità sociale ed ambientale. I segnali di cambiamento ci sono, bisogna vedere se le istituzioni coglieranno questa opportunità o se prevarrà una politica miope incentrata sugli interessi di pochi a scapito della collettività.
Pírez, P., Ríos, D. (2008) Urbanizaciones cerradas en áreas inundables del municipio de Tigre: ¿producción de espacio urbano de alta calidad ambiental? Rivista EURE (Vol. XXXIV, N° 101), pp. 99-119. Santiago de Chile, aprile 2008. Disponibile su: http://www. scielo.cl/scielo.php?script=sci_arttext&pid =S0250-71612008000100005
Rocha, L. (2016) Ordenan frenar la construcción de dos barrios cerrados en Tigre. Lo dispuso la jueza Arroyo Salgado hasta que se revise el impacto ambiental que pueden generar los desarrollos inmobiliarios en la zona norte. Rivista La Nacion, 6 luglio 2016. Disponibile su: http://www.lanacion.com. ar/1915710-ordenan-frenar-la-construccion-de-dos-barrios-cerrados-en-tigre
Rocha, L. (2016) El Delta del Paraná, un humedal protegido. Así lo decidió la Convención Internacional Ramsar que considera a la zona como un reservorio de biodiversidad al tiempo que cumple con un rol de regulación hidrológica. Rivista La Nacion, 2 febbraio 2016. Disponibile su: http://www.lanacion. com.ar/1867258-el-delta-del-parana-unhumedal-protegido
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