Traduzione dall’inglese di Kavinda Navaratne
Esaminando l’andamento delle riforme a distanza di un anno dalla 3a Sessione Plenaria del XVIII Comitato Centrale del Partito Comunista Cinese (Pcc) non è difficile riconoscere che, sebbene alcuni traguardi siano stati raggiunti, restano sfide importanti da affrontare. Nell’arco dei prossimi due anni le misure introdotte sulla base della Risoluzione del novembre 2013 determineranno non soltanto l’orientamento di lungo periodo dello sviluppo economico in Cina, ma anche il coinvolgimento della Repubblica Popolare Cinese (Rpc) a livello globale, e la stabilità politica del paese, in particolare con riferimento alla credibilità del governo e alla legittimità del potere del Pcc.
I lavori della 3a Sessione Plenaria possono essere inquadrati all’interno del sempre attuale dibattito sulle “Tre Emancipazioni,” avviato in origine da Deng Xiaoping negli anni ’70 del secolo scorso con l’intento di “emancipare il pensiero” comune (jiefang sixiang) dal dogmatismo ideologico di sinistra. Contro tale orientamento conservatore – tuttora radicato in un’estesa galassia del Pcc, che si oppone all’approfondimento delle riforme economiche – la Risoluzione adottata dalla 3a Sessione Plenaria ha di fatto promosso una “Quarta emancipazione”. Si tratta di un orizzonte nel quale il mantenimento di una buona dinamica di crescita viene indissolubilmente legato al conseguimento degli obiettivi delle riforme in campo economico e istituzionale. La posta in gioco non potrebbe essere più alta. Le potenti pressioni che ostacolano il cammino riformatore fanno sì che la Rpc non possa mantenere un equilibrio sostenibile se non attraverso la prosecuzione delle azioni di riforma: interrompere questo percorso non significherebbe fermarsi, bensì arretrare. La Rpc può puntare a risolvere già nell’immediato alcune sfide interne, oppure può guadagnare tempo attraverso riforme lungimiranti per gestire i principali problemi con gradualità nel medio periodo; tentare di preservare lo status quo non può che preludere a tensioni montanti fino all’inevitabile corto circuito del sistema.
Dopo aver superato il primo impatto della crisi finanziaria globale, la Cina corre ora un reale rischio di deflazione, per evitare il quale occorre puntare a nuove dinamiche di crescita. Una delle possibili soluzioni consiste nello sbloccare lo stallo dei consumi interni e degli investimenti privati, operazione che dipende però dalle prospettive offerte dal mercato e dalle attese di cittadini e operatori cinesi circa il futuro delle riforme. Dopo trent’anni di turbo-crescita economica e drastici cambiamenti sociali, si sta allargando la divergenza d’opinione tra le diverse classi sociali quanto all’auspicabilità e all’efficacia delle riforme.
Da una parte troviamo un gruppo d’interesse che si può definire “pigliatutto”: i membri di questo gruppo per un verso abusano della loro posizione di potere all’interno del sistema per accumulare risorse e, per l’altro, massimizzano i propri profitti sfruttando le logiche e gli strumenti del mercato. Per perseguire i propri interessi minimizzando l’eco pubblica della resistenza opposta da varie componenti della società cinese, costoro investono ingenti risorse finanziare e politiche per attirare verso la propria agenda studiosi e note figure di “intellettuali pubblici”, ai quali spetta d’influenzare favorevolmente il dibattito nel paese. In anni recenti le fila di questo gruppo sono state ingrossate da un numero crescente di imprenditori privati alla ricerca di alleanze con centri di potere del Partito-Stato: l’acquisizione di un’identità “mainstream” in senso politico ed economico attraverso questo genere di posizionamento è vista come una polizza a tutela da possibili scossoni futuri. L’alternativa è trasferire asset all’estero ed emigrare verso Paesi con economie avanzate.
Dall’altra parte, una classe media sempre più dinamica nell’esprimere e socializzare le proprie istanze – soprattutto attraverso i social media – si aspetta che le riforme garantiscano effettiva protezione legale ed istituzionale alle posizioni acquisite. Infine, le fasce più deboli della popolazione sono sprovviste anche delle conoscenze più basilari in fatto di diritti e democrazia; non hanno le capacità necessarie per avvalersi delle risorse di internet e, soprattutto, non dispongono di mezzi e canali utili a mobilitare intellettuali che possano dare voce alle loro esigenze. Questa parte di popolazione invoca maggiore trasparenza e giustizia nell’azione amministrativa e nell’applicazione delle leggi, la garanzia di un livello minimo di sussistenza e la tutela fondamentale della proprietà privata. Privi degli strumenti per selezionare e mobilitare alleati presso altri segmenti della società, questi cittadini potranno raggiungere un punto di esasperazione tale produrre shock sociali e politici di portata imprevedibile, tanto più in un quadro politico in cui la dialettica tra riformisti e conservatori in seno al Pcc è ancor oggi tutt’altro che superata.
Nel medio periodo, si possono distinguere tre scenari plausibili con riferimento all’andamento delle riforme in Cina, ciascuno dei quali conduce verso un futuro molto diverso dagli altri.
Nel primo scenario, il percorso riformatore viene interrotto. Se lo slancio delle riforme dovesse oggi venir meno, i rischi accumulati nel mercato immobiliare, nella gestione della finanza pubblica locale, nel settore bancario ombra, e in vari comparti produttivi già da tempo afflitti da eccesso di capacità potrebbero deflagrare in modo drammatico, risultando in una repentina contrazione dell’economia che coinvolgerebbe tutto il paese causando grave instabilità sociale.
Il secondo scenario prevede che le autorità accettino di correre rischi tangibili al fine di portare avanti le riforme in modo efficiente. Un esempio specifico è rappresentato dalla possibile bancarotta di numerosi veicoli finanziari mal gestiti dagli enti locali in tutta la Cina: consentire un esito di questo genere contribuirebbe positivamente, nel lungo termine, al risanamento dell’economia nazionale, ma imporrebbe notevoli perdite al settore finanziario e costi politici elevati non soltanto a livello locale.
In un terzo scenario si avrebbe un’implementazione discontinua e parziale delle riforme, la cui agenda risulterebbe piegata agli interessi locali e particolaristici, portando a esiti tanto più sub-ottimali quanto maggiori fossero le interferenze dei diversi gruppi di interesse.
Posta dinnanzi a questo trivio, l’attuale dirigenza cinese è ben consapevole di quanto l’attuazione delle riforme che intervengono sui gangli più vitali della Rpc dipenda dalla capacità di separare le funzioni del Partito da quelle delle istituzioni di governo, oltre che da un riassetto complessivo del sistema di governance, che, senza cadere in un eccesso di centralizzazione, corregga l’equilibrio dei rapporti tra governo centrale e autorità locali. Il punto di partenza non può che essere la leva fiscale: gli enti locali in Cina attuano da tempo politiche economiche espansive facendo ricorso all’indebitamento e a spregiudicate operazioni speculative sui terreni sotto la propria giurisdizione. Tuttavia, quando l’insostenibilità di queste strategie di sviluppo diviene manifesta i decisori sono nella più parte dei casi protetti dalle conseguenze delle proprie azioni, in assenza di qualsivoglia consuetudine di trasparenza e responsabilità degli esponenti del Partito-Stato verso la cittadinanza e la legge. La chiave per rettificare le relazioni tra organi di governo centrali e periferici è dunque la riconduzione delle politiche di bilancio all’interno del perimetro dello stato di diritto, come previsto dagli emendamenti introdotti nella normativa che disciplina le leggi di bilancio. Al contempo, è essenziale che le logiche che determinano l’avanzamento di carriera degli amministratori locali siano ri-orientate, abbandonando l’enfasi sulla crescita economica a favore di criteri che guardino alla qualità dello sviluppo, dell’ambiente, e dell’amministrazione della giustizia.
La seconda area d’intervento riguarda la riforma della National Development and Reform Commission (NDRC). La NDRC resta per molti versi l’agenzia governativa più influente nella Rpc. Retaggio della tradizione di economia pianificata, oggi costituisce un fattore di contraddizione rispetto alla promozione di un’economia di mercato. Sono due i fattori di criticità che interessano la NDRC. Il primo concerne il nesso riforme-sviluppo: la NDRC attribuisce importanza maggiore allo sviluppo economico rispetto alle riforme e ha un potere smisurato in ambito economico. Questa caratteristica si riflette nell’ampio numero di funzionari colpiti da provvedimenti disciplinari durante l’attuale campagna anti-corruzione: la ricerca di posizioni di rendita è un malcostume diffuso e radicato in Cina. Il secondo dilemma rinvia al meccanismo di controllo e approvazione: spesso la NDRC non riesce a promuovere riforme equilibrate e imparziali proprio per via della sua autorità in fatto di controllo e approvazione, che porta a conflitti di interesse sempre più numerosi con le autorità locali. In assenza di una riforma della NDRC, la Rpc non riuscirà a percorrere l’ultimo tratto del cammino verso un un’economia di mercato propriamente detta.
Una terza riforma improrogabile riguarda il sistema statistico nazionale: troppi sono i dubbi che circolano in merito ai dati statistici forniti dai governi locali, notoriamente propensi a manipolare le cifre in funzione degli interessi politici contingenti. Per eliminare le forme di pressione cui sono sottoposti gli uffici statistici sarebbe opportuno considerare lo scorporo dell’Ufficio Nazionale di Statistica dal Consiglio degli Affari Stato, trasferendolo direttamente sotto l’autorità dell’Assemblea Nazionale del Popolo. Inoltre, in un’ottica di competizione per il miglioramento della qualità dei dati, si dovrebbero autorizzare società commerciali a comporre in autonomia le statistiche di importanza primaria – ad esempio quelle relative al tasso di disoccupazione – a integrazione delle statistiche ufficiali.
Un’ultima riforma di particolare rilievo in campo economico-finanziario interessa la Banca del Popolo Cinese (PBoC). È noto che la PBoC, la banca centrale della Rpc, non è un istituto indipendente. Se non si interverrà per ridurre il grado di interferenza di governo e Partito sull’operato della PBoC, gli sforzi per assoggettare i tassi di interesse bancari e il tasso di cambio della valuta nazionale alle sole dinamiche del mercato non potranno portare a risultati duraturi per via di una carenza di garanzia istituzionale di base.
Sul versante politico-istituzionale, la società cinese è già caduta nella trappola della corruzione dilagante, delle disparità di reddito e della conflittualità sociale, che hanno sin qui spinto le autorità a promuovere la crescita a qualsiasi costo (sociale ed ecologico) deprimendo i diritti civili, pur di mantenere la stabilità politica. Con la 3a Sessione Plenaria si è scelto di ricalibrare gli sforzi verso gli obiettivi basilari in materia di diritti civili, richiamando imparzialità e giustizia come valori fondamentali. Le misure adottate dall’attuale leadership per contrastare la corruzione – sulla cui inderogabilità è stato raggiunto un ampio consenso – vanno nella direzione di consolidare la legittimità del Partito, ma servono al contempo per prevenire la cristallizzazione degli interessi costituiti.
In questo quadro lo sforzo della dirigenza cinese contro la corruzione si trova ad affrontare un test politico critico al punto da poter pregiudicare la tenuta dell’attuale regime. Riforme particolarmente pervasive sono destinate a scontrarsi contro acute resistenze all’interno del Partito, in particolare presso quei gruppi di interesse che vedono i propri privilegi compromessi dai nuovi assetti; d’altro canto, qualora il temperamento dell’azione riformatrice dovesse apparire insufficiente la minaccia di proteste pubbliche diverrebbe concreta. In sintesi, un’agenda di riforme squilibrata porterebbe a due trappole: guardando “da destra”, l’esautorazione dei molteplici centri di potere oggi esistenti potrebbe aprire la strada a una nuova deriva totalitaria per la Rpc; viste “da sinistra”, riforme carenti consentirebbero ai gruppi di interesse di saccheggiare la ricchezza della società e del popolo. Il sentiero tra questi due pericolosi crinali è quanto mai stretto.
Attraverso la 3a e la 4a Sessione Plenaria – rispettivamente dedicate all’approfondimento delle riforme in ambito economico e alla promozione dello stato di diritto – il Partito sta cercando di riaffermare il valore dell’imparzialità e della giustizia nella società. Il progressivo indebolimento della vitalità economica in Cina nel 2014 riflette bene il deterioramento delle condizioni di competizione all’interno del mercato cinese, il concentramento di risorse nelle mani dello Stato (a partire dalle imprese di Stato) e di particolari centri di potere, e il proliferare di posizioni di monopolio. La diseguaglianza sociale riduce l’efficienza e aumenta i conflitti sociali: se la popolazione – che desidera giustizia e imparzialità di trattamento – non vedrà realizzarsi questi auspici, il sostegno sociale per le riforme si assottiglierà, indebolendo la legittimità del Partito.
Come richiamato dalla 4a Sessione Plenaria dello scorso mese di ottobre, l’obiettivo nella prossima fase dovrà essere quello di ricondurre l’azione politica all’interno dei meccanismi di uno stato di diritto, garantendo il rispetto delle leggi e delle prerogative istituzionali da parte dei detentori del potere. Segue, in ordine di urgenza, la riforma del sistema fiscale e dell’accesso al mercato, tale da consentire alle imprese private maggiori margini di competizione nel mercato cinese. Infine, occorre assicurare la trasparenza del processo legislativo, l’imparzialità del potere giudiziario e la terzietà delle amministrazioni, soprattutto al fine di minimizzare gli effetti distorsivi del capitalismo clientelare.
Nelle attuali circostanze, non proseguire lungo questa direttrice – per quanto gravida di incognite – significa rassegnarsi a un regresso nel percorso riformatore, con le inevitabili conseguenze del caso.
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