Carla Meneguzzi Rostagni e Guido Samarani (a cura di), La Cina di Mao, l’Italia e l’Europa negli anni della Guerra fredda, Bologna: Il Mulino, 2014
Spesso sui giornali e sui media la storia della Repubblica popolare cinese (Rpc) durante il periodo maoista viene sbrigativamente dipinta come un periodo di stagnazione e di grande chiusura al mondo occidentale, senza alcuna eccezione o sfumatura. Se è vero che questa semplificazione ha indubbiamente un fondamento di verità (soprattutto se si pensa al boom economico e all’apertura post-1978), tuttavia a uno sguardo più attento non può sfuggire come anche nei primi decenni dalla fondazione della Rpc i contatti con il mondo industrializzato siano stati frequenti e produttivi, e per certi versi abbiano contribuito a nutrire le radici che sarebbero dapprima germogliate, quindi avrebbero creato una foresta rigogliosa di scambi, relazioni e commercio negli anni Ottanta e Novanta del XX secolo. È questo – mi pare – il senso più profondo dell’interessante e documentatissimo volume storiografico curato da Carla Meneguzzi Rostagni (storica delle relazioni internazionali dell’Università di Padova) e Guido Samarani (storico e sinologo dell’Università Ca’ Foscari di Venezia), dedicato principalmente ai rapporti tra Italia e Cina, ma anche con interessanti contributi relativi alla Francia, alla Repubblica federale tedesca (Rft), e al Regno Unito.
Nel saggio di Carla Meneguzzi Rostagni, dedicato alla “questione cinese nella politica estera italiana” tra il 1949 e il 1971, emerge un altro dato di fondo nella storia delle relazioni sino-italiane: le potenziali opportunità economiche non vengono adeguatamente sfruttate a causa della debolezza politica generata da dinamiche di instabilità interna e dalla fragilità dell’Italia sullo scacchiere internazionale. Se infatti negli anni Cinquanta gli Stati Uniti si oppongono allo sviluppo delle relazioni degli alleati europei con la Rpc, l’Italia sconfitta e governata da coalizioni presenta addirittura minore margine di manovra, ed è solamente con l’avvento del centro-sinistra organico che i diplomatici e i funzionari aggiungono una dimensione politica agli ammiccamenti di natura economica. In effetti, la debolezza dell’Italia avrebbe presentato il conto anche molti anni più tardi, quando il caos successivo a Tangentopoli – guarda caso, proprio dopo la fine della Guerra fredda – avrebbe fatto naufragare l’ipotesi di un’importante commessa alle imprese italiane per la costruzione del distretto di Pudong a Shanghai. Tra i “pionieri” economici degli anni Cinquanta risplende (è il caso di dirlo) la figura di Enrico Mattei – ben descritta nel capitolo di Camilla Rocca – che decide di osare e prendersi ciò che Washington concede ad altri (“tutti i principali paesi capitalisti, al fine di risanare il proprio commercio e non arrivare ultimi nella corsa ai nuovi mercati, anteposero alle limitazioni atlantiche il proprio interesse nazionale, permettendo agli operatori economici di sviluppare relazioni commerciali con i comunisti”, pp. 63-64). Seguendo la ricostruzione dei particolari del viaggio di Mattei in Cina del 1958, realizzato anche grazie all’attivissima ambasciata della Rpc a Berna, emerge davvero la lungimiranza dell’imprenditore al comando dell’Eni, che aveva intuito le “enormi potenzialità” della Rpc (p. 91).
Tre capitoli sono quindi successivamente dedicati alle relazioni culturali e politico-intellettuali con Pechino. Guido Samarani dedica la sua attenzione al Centro studi per le relazioni economiche e culturali con la Cina, fondato nel 1953 da un gruppo di intellettuali e parlamentari tra cui Ferruccio Parri e Piero Calamandrei. Tra il 1953 (con la pubblicazione del primo numero del Bollettino di informazioni, che nel 1957 diventa una rivista con il titolo La Cina d’oggi) e i primi anni Sessanta il Centro è molto attivo nella promozione del dibattito italiano sull’attualità cinese, praticamente inesistente, e delle relazioni sinoitaliane. Scrive infatti nel 1961 Roberto Battaglia un commento che risulta ancora attuale: “Che essi [i cinesi] conoscano la storia contemporanea italiana meglio di quanto noi conosciamo la loro, mi sembra abbastanza evidente” (p. 99). E ancora, Ferruccio Parri rileva nel 1957: “L’«embargo» ha già avuto (…) un’interpretazione particolare da parte di alcuni paesi con la introduzione (…) delle procedure di eccezione, di cui però non ha pressoché fatto uso l’Italia” (p. 103). Laura De Giorgi amplia lo sguardo sulle relazioni culturali con l’Europa degli anni Cinquanta, partendo da una citazione di Mao del 1945, ma che Deng Xiaoping avrebbe tranquillamente sottoscritto: “Quanto alla cultura straniera, sarebbe una politica sbagliata rigettarla in blocco; occorre assimilare nella misura del possibile tutto ciò che vi è di progressista e che possa essere utile allo sviluppo della nuova cultura cinese” (p. 121). Il problema però – come evidenzia l’autrice – è che in quegli anni la Rpc è ancora alla ricerca di una propria identità, e la sua proiezione culturale si muove in maniera ambivalente tra la cultura tradizionale (rischiando di consolidare l’immagine esotica della Cina in Occidente) e la narrazione socialista (finendo nella trappola di essere considerata al servizio dell’Urss). Il saggio di Sofia Graziani, invece, si concentra sulla nascita dell’Associazione Italia-Cina (1962-1963) e sul contrasto interno della sinistra italiana, che avrebbe visto Togliatti e il Pci distanziarsi dall’ala maoista della galassia comunista, sostenuta apertamente da Pechino solamente dopo l’inizio della Rivoluzione culturale.
Mentre i capitoli di Angela Romano e di Giovanni Bernardini si dedicano rispettivamente alla Francia e alla Rft mostrando come entrambi i paesi utilizzano, in tempi diversi, il commercio per “prepararsi al riconoscimento della Rpc” (Romano) o per fare “politica con altri mezzi” (Bernardini), Roberto Peruzzi ricorda come la Gran Bretagna fa subito politica, riconoscendo de facto la Rpc nel 1950 per salvaguardare gli interessi finanziari a Hong Kong fino a quando, con lo sganciamento del dollaro di Hong Kong dalla sterlina nel 1974, anche Londra dovrà prendere atto che il futuro della colonia sarebbe stato sempre più legato alla Rpc. Last but not least, il saggio di Valeria Zanier sul commercio tra Europa e Cina negli anni della guerra fredda mette in luce i segni di continuità commerciale con la Cina nazionalista e gli elementi innovativi che sarebbero stati sviluppati con la Cina di Deng Xiaoping, oltre e al di là “[del]l’accanimento americano contro la Cina” (p. 324).
“Il Gruppo dei BRICS, sempre più variegato, non appare in grado di intraprendere azioni concrete ed efficaci per migliorare la governance mondiale, piuttosto segnala... Read More
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