Che cosa ci riserverà l’economia cinese nel 2016? Quali saranno i trend dominanti? Quali sono gli indicatori principali su cui focalizzarsi per comprendere le dinamiche del paese? Una prima sintetica previsione è la seguente: 1) accelerazione della trasformazione del sistema produttivo nel senso della green economy; 2) incertezza e alta volatilità nel settore finanziario; 3) alchimie matematico-statistiche nel riportare dati macro-economici.
Green economy come nuovo patto sociale.
Durante più di un trentennio di grandi trasformazioni socio-economiche (dagli anni Ottanta e soprattutto Novanta fino a oggi), il tacito patto sociale tra Partito-Stato e cittadini è stato il seguente: il governo del Partito assicura crescita economica e miglioramento del tenore di vita a vastissimi strati della popolazione, ottenendo in cambio il mantenimento in capo al Partito comunista cinese del monopolio del potere politico. Questo scambio politico ha riscosso un indubbio successo, pur non potendosi trascurare il ruolo giocato dalla minaccia – o dall’esercizio effettivo – della coercizione laddove emergono sfide organizzate o emblematiche alle autorità costituite. Peraltro, se è vero che i cittadini sottostanno a leader scelti per loro dal Partito, i sondaggi segnalano come la mancanza di un momento elettorale non implichi di per sé un giudizio negativo sulla performance dei governanti. Al contrario, soprattutto a livello centrale questi ultimi godono di notevole credito presso la popolazione. In assenza di un efficace sistema di checks and balances, il Partito-Stato persegue il consenso popolare attraverso politiche che ne confermino il ruolo di unico attore in grado di garantire unità e forza alla Cina. Questo patto sociale oggi è messo in crisi da una situazione economica non ottimale, cosicché l’equazione “benessere economico del cittadino = stabilità del sistema politico e del primato del Partito” rischia di entrare in crisi. Al primo termine dell’equazione ne va dunque sostituito un altro che a) possa essere recepito favorevolmente dai cittadini e b) sia degno sostituto dello sviluppo economico come motore del paese.
La narrazione legata alla crescita del Pil viene sostituita con una nuova narrazione, in cui espressioni come “crescita sostenibile” e “green economy” diventano prevalenti. È quel che sta già avvenendo. In pratica, non potendo più garantire la crescita economica richiesta dai cittadini, il governo cercherà di tenere saldo il patto sociale promettendo una maggiore attenzione all’ambiente, dal contenimento delle emissioni di CO2 al miglioramento della qualità dell’acqua, dal buon funzionamento dei sistemi agricoli al controllo sulla qualità del cibo. La sostituzione della crescita pura del Pil con l’orizzonte di una green economy offre anche una giustificazione alla percepita riduzione dei profitti industriali, che si può imputare a una maggiore attenzione, da parte delle aziende, ai principi di salvaguardia dell’ambiente. La formula “meno Pil ma più sostenibilità ecologica” contribuisce a rendere accettabile il minor dinamismo dell’economia: al riconoscimento che il reddito cresce di meno si accompagna la promessa di migliorare le condizioni ambientali, un altro fattore importante del benessere.
Non è un caso che il governo sia molto attivo nella pubblicazione di dati sull’inquinamento (per esempio la concentrazione di PM2.5), anche per sensibilizzare l’opinione pubblica sui nuovi temi legati alla salute e poter, così, modificare la propria narrazione. Se questo cambiamento avrà successo, ne potrà nascere un nuovo patto sociale in grado di perpetuare il potere del partito unico. L’equazione “crisi economica = crisi politica” potrebbe quindi essere smentita da questa nuova svolta promossa dal Partito.
Incertezza nel settore finanziario.
Un secondo trend per il 2016 riguarda l’incertezza nel sistema finanziario. Numerosi sono gli aspetti da considerare. Il sistema bancario deve risolvere il problema della propria sudditanza alle aziende di Stato, che ne riduce la flessibilità nell’elargire prestiti alle piccole e medie imprese. La rigidità del mercato obbligazionario, la cui curva dei rendimenti è decisa a tavolino e non dal mercato, non consente una prezzatura dei titoli obbligazionari in funzione del rischio dell’emittente e ciò crea un fenomeno di mis-pricing che aumenta il rischio per gli investitori. Il valore del renminbi, adesso apparentemente ritenuto “valuta internazionale”, sembra risentire da un lato del rallentamento della crescita economica e della pseudo-fuga di capitali, e dall’altro dei tentativi del governo di arginarne la discesa senza tuttavia attingere troppo alle riserve in valuta straniera, che già nel 2015 hanno subito una significativa contrazione. Il mercato azionario, molto turbolento nel 2015, ha evidenziato durante la prima settimana di gennaio 2016 le difficoltà per gli enti regolatori cinesi nel gestire la finanza: il tentativo di utilizzare il circuit-breaker (meccanismo di chiusura anticipata delle contrattazioni) per smussare la volatilità del mercato si è dimostrato – come prevedibile – un boomerang che ne ha invece esacerbato le oscillazioni. Positiva e rara è stata la marcia indietro del governo, che ha subito riconosciuto gli effetti collaterali indesiderati del circuit-breaker e ne ha sospeso l’impiego.
La politica monetaria della Banca centrale cinese è stata espansiva sin dal novembre 2014, con tassi sempre al ribasso nel tentativo di sostenere l’economia. È probabile che nel 2016 la Banca effettui qualche ulteriore ritocco al ribasso, anche se spesso questa misura non ha portato i risultati sperati. Con la Federal Reserve americana che ha appena intrapreso un seppur lento percorso al rialzo, è possibile che la Banca centrale cinese diminuisca la frequenza dei propri interventi, lasciando così la palla nelle mani della Fed. Data la relativa immaturità del sistema finanziario cinese, i decisori cinesi dovrebbero procedere con cautela e rallentare –anziché accelerare – il processo di riforme del sistema finanziario. Mai più che ora appare opportuno il famoso approccio di Deng Xiaoping “attraversare il fume tastando le pietre”.
Alchimie nei dati macroeconomici.
Un’ultima considerazione riguarda la qualità dei dati macroeconomici: si teme, infatti, che le autorità cinesi possano insabbiare numeri critici grazie a varie alchimie matematiche e ricalcoli dei dati macroeconomici degli anni passati, per ottenere i tassi di crescita desiderati. Due grandezze in particolare vanno monitorate: la prima è costituita dal tasso di crescita reale del Pil e dalla sua relazione con il tasso di crescita nominale. Negli ultimi trimestri il tasso di crescita nominale del Pil è stato inferiore al tasso di crescita reale, il che indicherebbe una deflazione, mentre sia l’indice dei prezzi al consumo sia quello dei prezzi alla produzione erano in aumento. Ciò fa nascere dubbi e suggerisce di prestare sempre più attenzione al tasso di crescita nominale, meno “malleabile”. La seconda grandezza da tenere d’occhio è il reddito pro-capite dei cittadini urbani e dei cittadini rurali. Dal 2012 in poi la serie storica presenta delle discontinuità e i dati pre- e post-2012 risultano di difficile comparazione, rendendo con ciò molto complesso valutare il rapporto tra il reddito urbano e quello rurale, motore principale della crescita economica. Usando la “nuova” metodologia di calcolo sembrerebbe che negli ultimi due anni tale rapporto si sia ridotto, il che fa molto comodo al governo, impegnato com’è in una narrazione incentrata su di una società armoniosa con divari di reddito in calo. Nei prossimi anni potrà essere meglio testata l’affidabilità dei dati e, implicitamente, quella delle autorità che li esprime.
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