La Repubblica – 16 aprile 2017

Romano Prodi: “La risposta di Pechino non ci sarà, gli Usa cederanno sul commercio”

Il professore: “I cinesi non hanno interesse a ribattere colpo su colpo. E anche a Washington non conviene provocare una loro reazione. Xi può anche mollare la Corea del Nord, gli americani però pagheranno un prezzo altissimo”

 

“Per la Corea del Nord gli americani dovranno pagare ai cinesi un prezzo altissimo: come i cinesi hanno forse dovuto pagarlo per il Milan”. A 77 anni Romano Prodi è in forma smagliante: “È la saggezza” scherza “dei vecchi rottamati”. Tra qualche ora, dopo i 45 chilometri in bicicletta (“Ma tutti su e giù”) volerà al Center for Mediterranean Area Studies della Peking University, dove il Torino World Affairs Institute (T.wai) lancerà ChinaMed, un nuovo portale sulle relazioni tra Cina e Mediterraneo. E chi meglio di lui potrebbe far dialogare i due mondi? “La prima volta fu il 1984. Con l’Iri eravamo andati a costruire uno stabilimento in Russia, Pechino ci chiese di costruirne uno lì, abbiamo finito prima quello cinese e poi portato i loro ingegneri a finire quello sovietico. All’inaugurazione a Tianjin c’erano duemila bambini che sventolavano la bandiera italiana, in Russia stavano ancora finendo di montare i forni. È allora che ho capito tutto”. Sono passati 34 anni e Graham Allison, il teorico della Trappola di Tucidide, dice a Repubblica che la Cina è destinata alla guerra con gli Usa: perché oggi è Pechino la potenza emergente che fa paura a Washington, come ai tempi di Tucidide fu l’ascesa di Atene a fare paura a Sparta. “Sono molto preoccupato: vedo gli show di forza, i bracci di ferro, cose pericolose. Ma non credo che la Cina abbia intenzione di rispondere colpo su colpo. La strategia è crescere con pazienza: preparandosi diligentemente a giocarsi il primato mondiale. Poi, certo: la trappola di Tucidide esiste. Ma la guerra non è inevitabile”.

Malgrado l’incognita Corea del Nord?

“Donald Trump era partito dicendo faccio, brigo, sistemo. Ma cosa vuoi fare e brigare con un paese come la Cina? Guardate come sta usando appunto la Corea del Nord: alla grande!”.

Alla grande?

“La Corea del Nord vive perché la fa vivere la Cina. Materie prime, cibo. Gli americani lo sanno e vogliono che i cinesi si muovano. La verità è che per i cinesi la Corea del Nord vale un niente del commercio estero. E quindi possono anche chiudere il confine senza sacrifici: ma facendo così agli americani un favore enorme. E qui scatta il do ut des. Adesso, diranno, tocca a voi pagare: state buoni, per esempio, sulle restrizioni commerciali”.

L’incontro di Mar-a-Lago tra Trump e Xi Jinping è servito a stemperare la tensione?

“I due non potrebbero essere più opposti nella psicologia. Uno è un giocatore d’azzardo, l’altro un politico matematico. Usano entrambi il calcolo statistico ma per obiettivi diversi: uno per alzare la posta, l’altro per costruire il suo futuro”.

Dicono che Xi guardi a un futuro molto ma molto lontano: che stia provando a restare oltre i due mandati previsti.

“Potrebbe anche essere, ma per ora sono solamente chiacchiere. Queste sono cose che si decideranno nell’interna corporis, quelle 7 o 9 persone del comitato permanente del partito. Certo: per trovare un paragone al suo concentramento di potere bisogna risalire a Deng. Sapete come spiego ai miei studenti la Cina di oggi? L’opposto del Gattopardo. A Palermo doveva cambiare tutto perché niente cambiasse: a Pechino tutto si concentra perché il paese cambi”.

Tra Xi e Trump è andata davvero così bene come vogliono farci credere?

“Si sono fiutati come due buoni cani da tartufo. Ma certo non può non esservi stata grande irritazione di Xi nel non aver saputo dei missili che stavano per partire sulla Siria”.

Rischiamo di ripetere la stessa scena con la Corea? Trump reagirà di fronte a un nuovo test nucleare?

“Magari il test lo fanno anche. Ma cosa volete che faccia Trump? Porterà lì 27 sottomarini, 42 navi canguro, non lo so, sono cose che decidono i militari, come in Siria. E comunque: tutto, stavolta, potrà fare, tranne che provocare una reazione della Cina. Non ne avrebbe alcun vantaggio. Anzi”.

Romano Prodi presidente del consiglio vola a Pechino nel 2006: “La Cina è un’occasione da cogliere”. Il mese prossimo a Pechino vola il presidente del consiglio Paolo Gentiloni per il summit sulla nuova via della Seta: undici anni, e tante occasioni perse, dopo.

“Siamo in una posizione infinitamente più arretrata. Non abbiamo mantenuto quello che avevamo promesso: sistemare i porti di Gioia Tauro, Taranto. I cinesi sono stati costretti a comprarsi il Pireo. Abbiamo perso credibilità”.

Che consiglio darebbe al premier?

“Abbiamo potenzialità incredibili ma serve una strategia di paese con investimenti incrociati: e invece ci lasciamo prendere le imprese a una a una. Prendiamo appunto l’esempio dei porti. Non vedo perché non facciamo un’unica area portuale nel nord Adriatico e un’unica area nel Nord Tirreno, e ci prendiamo così metà del mercato del Nord Europa: da qui ad Amsterdam ci vogliono 5 giorni di navigazione. Il Pireo è lontano dal centro dell’Europa: e noi che avremmo tutti i punti strategici litighiamo come i polli di Renzo. Ma servono scelte di lungo periodo”.

E sul breve?

“Proviamoci almeno con la diplomazia. Guardiamo alla storia: perché non proponiamo di portare il prossimo grande convegno sulla nuova via della seta proprio a Venezia?”.

Presidente, dica la verità: i cinesi vanno così forte che nessuno li prende più.

“L’unico errore che stanno facendo è comprare squadre di calcio”.

Magari una in particolare.

“No per carità che poi mi danno dell’antiberlusconiano. Dico solo che possono rovinare qualunque impero: anche quello cinese. Comprare squadre di calcio è una punizione divina”.

 

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