La prostituzione maschile è un fenomeno in rapida crescita nei centri urbani cinesi. La maggior parte dei male sex workers serve una clientela maschile, solo una minoranza quella femminile. A seconda del genere della propria clientela, diversi nomi vengono quindi utilizzati per indicare gli uomini che si prostituiscono. Il termine generico è “anatra” (yāzi, 鸭子), ma nello specifico chi serve altri uomini viene chiamato money boy, mentre chi serve una clientela femminile è identificato come “funzionario per le relazioni pubbliche” (nán gōngguān,男公关). Questo contributo si focalizzerà sulla categoria dei money boys, ovvero uomini che servono altri uomini. Come spesso accade nei casi di popolazioni difficilmente raggiungibili, a causa di illegalità e stigma, non esistono statistiche ufficiali (o attendibili) che definiscano in modo preciso il numero di persone coinvolte nella prostituzione maschile in Cina. Tuttavia, ricerche etnografiche suggeriscono di inquadrare tale fenomeno nel contesto della migrazione dalle campagne alle città, e quindi guardare ai money boys come parte della “popolazione fluttuante” cinese (liúdòng rénkǒu, 流动人口).[1]
A partire dal 1978, la Cina ha attuato una serie di riforme economiche che hanno rivoluzionato il suo tessuto sociale. Il progressivo allentamento delle restrizioni alla mobilità individuale (attraverso il sistema di registrazione famigliare, o hùkǒu, 户口), ha dato il via a un esodo di giovani in marcia verso i centri urbani in rapido sviluppo. Nel 2000 si contavano circa 121 milioni di migranti interni, 221 milioni nel 2010 e 245 milioni nel 2013.[2] Molti di questi migranti costituiscono la principale risorsa a basso costo per le manifatture orientate all’esportazione, i cantieri edili in cui la modernizzazione cresce verticalmente, e una serie di lavori scarsamente qualificati necessari a sostenere la transizione cinese da economia pianificata a economia di mercato. Il mondo della prostituzione rappresenta una valida alternativa per molti giovani migranti cinesi che scelgono di non sottostare a regimi lavorativi caratterizzati da ritmi incessanti e salari minimi, preferendo una più rapida ascesa economica e la percezione di uno stile di vita moderno che l’industria del sesso può offrire.
Al contrario di quanto avviene per la prostituzione femminile – spesso al centro dell’interesse di accademici, attivisti e giornalisti cinesi e stranieri – la prostituzione maschile continua a rimanere nell’ombra. Ciononostante, queste due forme di prostituzione presentano numerosi punti di contatto, come ad esempio le caratteristiche socio-demografiche dei sex worker (e.g., livelli di istruzione non elevata, contesti di provenienza rurale, scarse risorse economiche) e le spinte motivazionali che ne facilitano l’entrata nell’industria del sesso. Al contempo, importanti differenze di genere delineano esperienze individuali diametralmente opposte in uomini e donne che si prostituiscono. Può essere utile sviluppare alcuni spunti di riflessione sui due fenomeni a confronto, con particolare attenzione alla categoria dei money boys.
Scontro tra sogni e realtà: prostituzione come resistenza
Nel suo libro Weapons of the Weak, James Scott dimostra come diverse relazioni di potere siano caratterizzate da un flusso continuo di forme di oppressione e resistenza.[3] La mancanza di potere delle classi più svantaggiate, secondo Scott, non è da interpretare come inevitabile assoggettamento alla classe dominante e alle sue condizioni. Piuttosto, le classi subordinate attuano meccanismi di resistenza minore e meno visibile (“everyday forms of resistance”) che consentono di opporsi al potere senza però scontrarvisi. Queste forme di resistenza minore sono di natura individuale e spontanea, in contrapposizione con le forme più classiche di resistenza collettiva e organizzata (ad esempio, scioperi dei lavoratori). In tal senso, nel contesto cinese, la scelta di entrare nel mondo della prostituzione può essere interpretata come una forma di resistenza minore e meno visibile attuata dai giovani migranti. L’origine di tale resistenza nasce dallo scontro tra sogni e realtà di cui è marcata l’esperienza migratoria cinese.
In Cina, così come in molti altri contesti geografici, un aspirante migrante è spinto a lasciare la propria casa per trovare condizioni migliori di vita altrove. Tuttavia, tali aspettative sovente si rivelano idealizzate e il migrante si ritrova a vivere situazioni molto differenti rispetto a quanto sperato prima della sua partenza. In tal senso, molti giovani uomini e donne cinesi lasciano le campagne sognando di immergersi nella vita moderna e cosmopolita delle città cinesi. Solo successivamente scoprono una realtà segnata da sfruttamento lavorativo, scarsi ritorni economici e segregazione spaziale. Dopo una serie di esperienze più o meno lunghe nella manifattura, edilizia, ristorazione e altri impieghi poco qualificati, alcuni migranti scelgono la prostituzione come meccanismo di resistenza atto a evitare il collasso delle proprie aspirazioni. Centri massaggio, saune, karaoke, saloni da parrucchiere, hotel, sale da tè e molti altri luoghi diventano spazi simbolici in cui i sogni di questi migranti tornano a prendere forma. I guadagni crescono esponenzialmente e con essi una maggiore libertà di scegliere come e quanto lavorare. Al contempo, numerose interazioni personali caratterizzate da morali più libere offrono al migrante cinese la percezione di avere raggiunto uno stile di vita moderno.
Tuttavia, cercare le proprie aspirazioni attraverso la prostituzione comporta numerosi costi. Sul piano legale, la Cina adotta un approccio abolizionista in base al quale tutte le attività di sfruttamento e favoreggiamento della prostituzione costituiscono un reato penale. Al contempo, la persona che si prostituisce è soggetta a periodi di rieducazione e altri procedimenti amministrativi. Durante i frequenti raid della polizia nei luoghi di prostituzione, inoltre, è pratica comune procedere all’arresto dei sex worker su accuse di varia natura (ad esempio, detenzione di sostanze stupefacenti). Tale approccio si inquadra nella diffusa percezione della prostituzione come elemento di inquinamento morale e pericolo sociale. Per un migrante cinese, essere coinvolto nella prostituzione non significa soltanto aumentare il rischio di implicazioni legali, ma significa anche accettare lo stigma sociale associato a un’occupazione largamente considerata come deviante. Proprio sul piano dello stigma e delle attitudini sociali negative, si misura la principale differenza tra sex worker maschili e femminili.
Il doppio stigma della prostituzione maschile
Sebbene le dinamiche di entrata nel mondo della prostituzione non presentino significative differenze tra uomini e donne, l’esperienza prostituiva e le conseguenze sociali ad essa attribuite sono marcate da particolari nozioni di genere. West e Zimmerman (1987) definiscono il genere come artefatto sociale, un insieme di ruoli, pratiche e modi di essere che ciascun individuo interpreta e attua nel contesto delle quotidiane interazioni con se stesso e gli altri.[4] In una specifica società e cultura, essere uomo o donna significa seguire un copione di regole che marcano i confini della normatività di genere. Chiunque non si attenga a recitare tale copione è chiamato a rispondere del proprio comportamento deviante ed è spesso soggetto a forme più o meno marcate di stigma. Nel contesto cinese, così come in molte altre società e culture, la prostituzione è un’attività considerata tipicamente femminile. In tal senso, un uomo cinese che si prostituisce non è solamente tenuto a rispondere del proprio comportamento deviante in termini di moralità, ma soprattutto in termini di genere.
Lo stigma associato alla prostituzione maschile in Cina si manifesta nell’opinione pubblica generale e perfino all’interno delle stesse comunità gay locali. Fino a tempi recenti, l’opinione pubblica cinese ha largamente ignorato l’esistenza della prostituzione maschile focalizzandosi esclusivamente sul fenomeno femminile. Nel 2004, tuttavia, una serie di casi di prostituzione maschile hanno attirato l’attenzione dei media e dei cittadini cinesi suggerendo al governo la necessità di considerare la prostituzione omosessuale al pari di quella eterosessuale sia sul piano legale che su quello sociale.[5] Il dibattito sulla prostituzione maschile e femminile si focalizza oggi su tematiche simili, ad esempio salute pubblica (diffusione di malattie veneree e HIV/AIDS), morale collettiva, forme di devianza patologica, e in misura minore il fenomeno della tratta di esseri umani. Nello specifico caso della prostituzione maschile, tuttavia, il dibattito assume connotazioni di genere più marcate. I money boys non soltanto sono coinvolti in una professione immorale, ma fuoriescono dai confini della eteronormatività sessuale (come gay) e professionale (come uomini coinvolti in un lavoro femminile). Ciò comporta un rimprovero sociale più grave rispetto a quello riservato alle donne.
In aggiunta, come osservato da Travis S. K. Kong, l’esperienza prostituiva maschile è segnata da un’ulteriore forma di stigmatizzazione, quella operata in seno alle comunità gay locali. Inspirandosi ai modelli di identità queer presenti nel mondo occidentale, a partire dagli anni Novanta, una nuova identità gay cinese è andata via via formandosi attorno agli aggettivi “urbano”, “di classe media”, “istruito”, “civilizzato”, “cosmopolita” e “consumista”.[6] Sebbene le comunità gay cinesi costituiscano un’importante risorsa per molti omosessuali, è evidente che esse servano meno come collante tra diversi individui in termini di solidarietà e identificazione, quanto piuttosto come strumento di demarcazione tra chi è autorizzato a farne parte e chi invece merita di esserne escluso. I money boys appartengono alla seconda categoria. Da una parte, come migranti che vengono dalle campagne, essi mancano di importanti prerequisiti socioeconomici (origini rurali, scarsi livelli di istruzione e “qualità umana” o sùzhì, 素质) per poter essere accolti dalle elitarie comunità gay urbane. Dall’altra, mercificando la propria sessualità sono soggetti a rimproveri morali e accusati di inquinare l’immagine della nuova identità gay. In tal senso, i money boys sono costretti a vivere situazioni di totale stigmatizzazione in seno alle comunità gay così come alla società in senso ampio.
Implicazioni di genere: prostituzioni legittime e illegittime
Sebbene la prostituzione, sia femminile che maschile, rimanga ancora una professione non riconosciuta e fortemente stigmatizzata, le implicazioni di genere che differenziano i due fenomeni traducono esperienze diverse e finestre future opposte. Ad esempio, mentre la prostituzione delle donne migranti cinesi è spesso tacitamente accettata dalle famiglie (“un segreto da non dire”, bù néng shuō de mìmì, 不能说的秘密) perché considerata come male necessario al miglioramento economico di tutti i suoi membri, la controparte maschile non giova dello stesso trattamento. Mescolandosi a una diffusa non accettazione dell’omosessualità, i money boys sono costretti così a mascherare non soltanto la loro professione ma anche la propria identità sessuale. Questo comporta la necessità di scansare ogni dubbio nei famigliari a proposito della propria vita in città, un maggiore distacco nei confronti di chi resta al villaggio e la tendenza a isolarsi.
In senso più generale, le dinamiche di genere sottese alla prostituzione femminile e maschile definiscono possibilità di emancipazione opposte. Oggi, donne e uomini cinesi che si prostituiscono in Cina similmente tendono a non rimarcare la propria identità come sex worker. In tal senso, a differenza di altri contesti geografici, l’attivismo per il riconoscimento della prostituzione come lavoro trova spazi ancora molto ridotti. Tuttavia, emerge una differenza di genere anche in quest’ambito. Una delle più controverse figure cinese recenti è certamente Ye Haiyan, sex worker e attivista che si batte per i diritti delle donne che si prostituiscono. Purtroppo, rimane assente una controparte maschile che estenda tale sforzo al riconoscimento dei diritti (o anche solo all’esistenza) dei money boys cinesi. Il fardello è così lasciato alla sensibilità della comunità internazionale e ai particolari contesti cinesi di Hong Kong e Taiwan, nella speranza che i money boys cinesi possano trovare presto una piattaforma attraverso la quale far sentire la loro voce.
[1] A tal proposito, si vedano: Travis S. K. Kong, “Reinventing the Self Under Socialism: Migrant Male Sex Workers (‘Money Boys’) in China”, Critical Asian Studies, 44 (2012) 2: 283-308; Travis S. K. Kong, “Sex and Work on the Move: Money Boys in Post-Socialist China”, Urban Studies, 54 (2017) 3: 678-694.
[2] National Bureau of Statistics of China, “Statistical Communiqué of the People’s Republic of China on the 2013 National Economic and Social Development”, 24 febbraio 2014, disponibile all’Url http://www.stats.gov.cn/english/pressrelease/201402/t20140224_515103.html.
[3] James C. Scott, Weapons of the weak: everyday forms of peasant resistance (New Haven: Yale University Press, 1985).
[4] Candace West e Don H. Zimmerman, “Doing Gender”, Gender & Society, 1 (1987) 2: 125-151.
[5] Elaine Jeffreys, “Querying Queer Theory: Debating Male-Male Prostitution in the Chinese Media”, Critical Asian Studies, 39 (2007) 1: 151-175.
[6] Travis S. K. Kong, “Reinventing the Self Under Socialism: Migrant Male Sex Workers (‘Money Boys’) in China”, Critical Asian Studies, 44 (2012) 2: 291.
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