Le prossime elezioni generali in Malaysia, che si terranno entro l’agosto 2018, saranno tanto caratterizzate da una forte competizione per l’elettorato di etnia malese, quanto dalla continuità del regime preferenziale etnico pro-malese, schema esteso e radicato, ma spesso male interpretato. I suoi obiettivi e strumenti politici vanno pertanto riconosciuti e la loro profondità e portata compresa. Si tratta del regime di trattamento preferenziale a favore dei cittadini di etnia malese e dei gruppi indigeni, collettivamente denominati Bumiputera, finalizzato ad aumentarne la partecipazione all’istruzione superiore, alle mansioni altamente qualificate, all’impresa e alla proprietà. I Bumiputera formano il 68% della popolazione della Malaysia – sono costituiti per il 55% da malesi e per il 13% da appartenenti a gruppi indigeni –, mentre i cittadini di etnia cinese sono il 24% della popolazione e quelli di etnia indiana il 7%. Il regime comprende una vasta gamma di interventi: dalle quote etniche nelle istituzioni scolastiche di primo e secondo grado all’accesso preferenziale all’università, dalle università etniche esclusive al sostegno all’istruzione, dalla microfinanza al sostegno all’impresa e alle quote riservate nei contratti statali.
La retorica politica ricicla posizioni di comodo che fanno leva sulle emozioni. Con l’avvicinarsi delle elezioni possiamo prevedere che la Barisan Nasional Alliance, la coalizione attualmente al governo dominata dal partito United Malays National Organisation (UNMO) e dipendente dai voti dell’elettorato malese, difenderà a gran voce l’unità e gli interessi malesi alimentando le ansie di presunte erosioni della loro supremazia e dei loro privilegi etnici. Il Primo Ministro Najib Razak presenterà il Bumiputera Economic Transformation Programme (BETR) come una questione prioritaria e chiederà il mandato per poterlo portare avanti. La coalizione d’opposizione Pakatan Harapan, recentemente ricostituita con un partito a base malese guidato dall’ex Primo Ministro Mahathir Mohamad, sicuramente non sconfesserà l’obiettivo dell’emancipazione Bumiputera, ma specificherà solo superficialmente le caratteristiche distintive del proprio approccio. Non c’è dubbio che denuncerà, come avvenne prima delle elezioni del 2013, patronati e clientelismi ricorrenti in vari programmi a favore dei Bumiputera, preoccupandosi però allo stesso tempo, come si può discernere dalla proposta alternativa di bilancio, di non alienarsi i numerosi beneficiari del programma.
Dunque, il regime preferenziale pro Bumiputera prosegue visto che entrambe le coalizioni hanno ammorbidito la propria posizione rispetto a qualche anno fa, quando si era parlato apertamente di sostituire il programma, definibile come una politica di discriminazione positiva basata sull’etnia, con discriminazioni positive basate su necessità e merito. La narrativa attuale implica che questi elementi in qualche modo possano coesistere, ammettendo solo occasionalmente che un sistema di preferenza etnica perpetua non sia auspicabile. Chiarezza e precisione sono pertanto necessarie e urgenti e sono perseguibili attraverso l’articolazione di politiche alternative coerenti e soluzioni praticabili, ancorate agli obiettivi principali del programma. È quindi necessaria una tabella di marcia sistematica e attuabile per eliminare gradualmente l’attuale regime che si basi sullo sviluppo di capacità, competitività e fiducia. Del resto, ambiti diversi presentano condizioni differenti. L’istruzione superiore presenta, ad esempio, un ampio spazio per forme di assistenza in favore di poveri e svantaggiati basate sui bisogni come politiche di ammissione, borse di studio e assistenza finanziaria; mentre per quanto riguarda l’occupazione e il fare impresa considerazioni legate al merito sono fondamentali, dal momento che l’obiettivo principale consiste nel coltivare professionisti, manager e imprenditori capaci e competitivi e pronti a fare a meno dell’assistenza preferenziale. In altre parole, scelte fondate su merito e bisogni servono da complemento e rafforzamento al regime preferenziale Bumiputera e di conseguenza i proclami a favore della sostituzione o di una riforma sistematica del sistema di discriminazione positiva su base razziale con le suddette alternative sono prematuri e fuori luogo, e denotano l’assenza di un’analisi sistematica. L’emancipazione Bumiputera dev’essere efficace e diffusa prima che riforme sistemiche possano prendere forma in modo credibile e realistico.
Il regime ha registrato risultati sostanziali nella promozione della mobilità verso l’alto dei Bumiputera, ma restano carenze rispetto agli obiettivi ultimi di creare capacità e competitività. Nel 2013 il 28,4% della forza lavoro Bumiputera vantava un titolo universitario o equivalente, contro il 26,6% dei lavoratori di etnia cinese e il 25,8% di quelli di etnia indiana, ma il fenomeno della disoccupazione tra i laureati è più acuto tra i Bumiputera. La quota di manager Bumiputera è cresciuta costantemente dal 24% del 1970 al 35% nel 1985 fino al 45% del 2013, in larga parte grazie al settore pubblico e alle aziende collegate al governo, e nel settore privato soprattutto grazie alle micro e piccole imprese. Nel 2015, infatti, l’88% delle piccole e medie imprese (PMI) Bumiputera è stato classificato come “micro”, l’11% come “piccole” e solo l’1% come “medie”, mentre il dato corrispondente per le imprese non Bumiputera era rispettivamente 70%, 26% e 4%. Inoltre, le aziende a controllo Bumiputera rappresentano solo il 25% delle 800 mila aziende registrate in Malaysia.
La popolazione Bumiputera va adeguatamente equipaggiata prima che si possa riformare e ridimensionare il sistema. Allo stato dell’arte mancano analisi approfondite sui risultati della politica: regna un tacito riconoscimento delle sue inefficienze, ma manca la formulazione di strategie di uscita che facilitino l’affrancamento dei Bumiputera da un regime preferenziale etnico. Va però riconosciuto che il BETR introdotto nel 2011 modifica obiettivi e metodi, distinguendosi dalle politiche precedenti nelle modalità tramite cui raggiunge gli studenti svantaggiati e si sforza di alimentare capacità e competitività. Tuttavia, questi interventi sono stati di natura selettiva anziché sistemica e hanno lasciato intatte intere fasce del regime preferenziale su base etnica. Inoltre, gli ambiti con grandi potenzialità di sensibilizzazione ed emancipazione (programmi preuniversitari, ammissione all’università, appalti pubblici, microfinanza e impiego nel settore pubblico) sono scarsamente presenti all’interno dei piani di sviluppo a lungo termine. Manca l’impegno ad applicare le lezioni che emergono dagli interventi mirati del BETR, e ancor di più manca l’intenzione di mettere in atto una riforma sistemica.
Così la Malaysia giunge a una giuntura storica, con le prossime elezioni che determineranno chi governerà fino al 2020, il punto di arrivo “consacrato” dal piano Vision 2020 articolato da Mahathir nel 1991 che arrogantemente puntava a trasformare la Malaysia in una “nazione pienamente sviluppata” economicamente, socialmente, politicamente e culturalmente. Tra le finalità più specifiche vi era la “creazione di una comunità Bumiputera resiliente sotto il profilo economico e pienamente competitiva che fosse alla pari con la comunità non Bumiputera”. Vision 2020, per quanto imperfetto nel suo trascurare istruzione, sviluppo imprenditoriale, e democratizzazione, risultò avere un effetto carismatico e si assicurò un posto nei cuori e nelle menti dei malaysiani. La presa sull’immaginario collettivo è tanto forte che nonostante il suo progenitore ora attacchi Najib, quest’ultimo non può voltare le spalle alla creazione del suo nuovo nemico. Al contrario, Najib posiziona la propria amministrazione nel solco di “Vision 2020”, limitandosi a sottintendere che nell’elaborazione di Mahathir ci siano delle lacune.
Al di là di “Vision 2020”, è in fase di realizzazione una nuova missione trentennale racchiusa nella formula TN50 (National Transformation). Il progetto adotta un approccio più dal basso verso l’alto, che prende in considerazione le aspirazioni popolari e si impegna in consultazioni pubbliche. I modelli e le priorità già esposti sono di ampia portata e opportuni, ma stanno vistosamente alla larga dalla questione delle politiche etniche preferenziali. Bisogna riconoscere che riformare il programma Bumiputera sia un’impresa colossale e che la riluttanza bipartisan a occuparsene derivi dal desiderio di andare oltre l’identità etnica e sviluppare politiche prive di contorni etnici. Tuttavia, il consenso politico, sforzandosi di trascendere politiche etniche nella propria retorica, fraintende e ignora questo radicato regime preferenziale. La classe politica è spesso accusata di fare resistenza al cambiamento, ma tale lettura risulta troppo semplicistica dato che anche forze interne alla società sono profondamente timorose e reticenti al cambiamento. Le famiglie Bumiputera non vengono solo ingannate dai politici, ma traggono benefici materiali dalle loro politiche. Come e perché una persona dovrebbe razionalmente rinunciare a dei privilegi? Non ci sono risposte facili, ma caratteristiche e narrativa politiche della Malaysia precludono un confronto chiaro, onesto e rigoroso su tali cruciali questioni.
La campagna elettorale si soffermerà giustamente su temi legati alla sussistenza (costo della vita, assistenza sociale, settore abitativo, lavorativo), allo sviluppo (infrastrutture, trasporti, istruzione, e sanità) o governance ed etica (giustizia sociale, ineguaglianze, corruzione). Senza dubbio i politici si atterranno a promesse semplici e dirette anziché proposte complesse e sfaccettate; discorsi chiari e critici non emergono né in periodo elettorale, quando nuove visioni e mandati possono essere previsti, né tra un’elezione e l’altra, quando riforme scomode, ma necessarie, potrebbero essere perseguite. Ad esempio, rendere i programmi di immatricolazione preuniversitaria più rigorosi, preparare meglio le matricole, o imporre maggiori richieste e incentivi agli appaltatori governativi per incrementare la qualità del lavoro e la scala delle operazioni. Tuttavia, ogni grandiosa missione per far avanzare la Malaysia allo stadio successivo non può prescindere dall’affrontare lo stato attuale e le prospettive future del regime preferenziale Bumiputera. Invece di reprimere tali interrogativi o gioire per assunti falsi secondo cui una vera e propria trasformazione è già in corso, un vero segno di progresso sarebbe la capacità del Paese di valutare quanto efficaci siano state le politiche di promozione dell’emancipazione Bumiputera riaccendendo al contempo l’intenzione, e l’audacia, espressa in passato di perseguire capacità, competitività e autosufficienza.
Traduzione dall’inglese a cura di Gabriele Giovannini
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