Nel 2001 il capo economista della banca d’affari Goldman Sachs, Jim O’Neill, stimò che entro il 2050 il valore aggregato delle economie di Brasile, Russia, India e Cina avrebbe superato quello delle attuali economie avanzate. Nacque così il fortunato acronimo Bric, a indicare un gruppo di economie emergenti dal grande potenziale.
Nell’arco di un decennio, ai Bric è stato progressivamente attribuito un valore diverso, quello di un blocco economico, e al limite politico, più o meno compatto. Con la crisi economica l’enfasi sul peso dei Bric è ulteriormente cresciuta: oggi i paesi del gruppo, oltre a rappresentare il 42% della popolazione mondiale, contribuiscono per il 50% alla crescita economica globale (dati 2009). Il Fondo monetario internazionale (Fmi) prevede per il 2010 una crescita del Pil per Brasile, Russia, India e Cina rispettivamente del 5,5%, 4,0%, 8,8% e 10%, a fronte del 3,1% degli Stati Uniti e di un 1% dell’Unione europea.
Questa redistribuzione del potere economico su scala globale ha avuto un importante riscontro nel settembre 2009, al summit di Pittsburgh (Usa) con la decisione che non sia più il G-8, bensì il più ampio G-20, a costituire il principale forum di cooperazione economica internazionale. Da questo palcoscenico globale i Bric rivendicano una riforma delle istituzioni economiche internazionali, a partire da Fmi e Banca mondiale che le adegui alle mutate condizioni globali. La Cina, ad esempio, rappresentava nel 2008 circa l’11,3% dell’economia mondiale, ma le sue quote nel Fmi sono pari solo al Orizzonte Cina, no. 1/2010, p. 5 3,7%, mentre gli Stati Uniti, con il 20,4% del Pil mondiale, detengono il 17,1% delle quote.
In vista del prossimo vertice del G-20 che si svolgerà in Corea del Sud a novembre, i leader dei Bric, confermando una prassi iniziata lo scorso anno, si sono incontrati preventivamente a Brasilia il 15 aprile scorso per costituire un fronte comune. Il comunicato finale auspica un “nuovo ordine mondiale, al contempo multipolare, giusto e democratico, fondato sul mutuo rispetto e sul diritto internazionale”.
Al di là dell’unità d’intenti a favore di un maggiore peso per le economie emergenti nei consessi internazionali, però, tra i paesi Bric non mancano competizione economica e divergenze politiche. I presidenti delle banche centrali di India e Brasile, ad esempio, hanno appena reiterato la loro richiesta a Pechino di lasciar apprezzare lo yuan, la cui artificiale sottovalutazione danneggia le esportazioni indiane e brasiliane. Politicamente la retorica multipolarista di Mosca è considerata superata a Pechino, mentre Brasilia è sensibile alla propria collocazione – geografica e non solo – nell’Occidente del mondo.
La visita del presidente cinese Hu Jintao a Brasilia è stata anche l’occasione per la firma di un ambizioso Piano d’Azione quinquennale con il Brasile, la più grande economia dell’America latina, con cui Pechino intrattiene rapporti commerciali stimati nel 2009 in oltre 31 miliardi di euro.
Il summit si è chiuso anticipatamente con la partenza di Hu Jintao a seguito del terremoto in Qinghai. Hu ha confermato che il prossimo vertice dei Bric sarà ospitato a Pechino.
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