Lo scorso 15 aprile ricorreva il 21° anniversario dalla morte di Hu Yaobang, una delle figure politiche di maggior rilievo nella Cina degli anni ’80 e involontariamente il catalizzatore del movimento che portò alla crisi di Tienanmen nel giugno del 1989.
Ancor più minuto di Deng Xiaoping – il “piccolo timoniere” riformista emerso vincitore dallo scontro con la fazione radicale del Partito comunista cinese (Pcc) dopo la morte di Mao nel 1976 – Hu Yaobang fu Segretario generale del Pcc tra il 1982 e il 1987. Sono gli anni della demaoizzazione e della nuova Costituzione del 1982 (ancora in vigore, pur se emendata quattro volte), che apre all’iniziativa privata in economia, segnando una tappa fondamentale nella trasformazione socio-economica della Cina in senso capitalista. Ma sono anche anni di proteste contro un sistema politico che rimane chiuso e autoritario, in cui riemerge la richiesta di una “quinta modernizzazione”, auspicata (e mai concessa) durante la “Primavera di Pechino” del 1977-78. Accusato da Deng stesso di essere stato troppo morbido nei confronti delle manifestazioni di studenti e intellettuali nel 1986, Hu viene “dimissionato” nel 1987.
Al suo funerale, il 22 maggio 1989, gli studenti universitari di Pechino si diedero appuntamento per tornare a esprimere pubblicamente le istanze di riforma politica che ai loro occhi Hu aveva incarnato. Ne seguì un confronto violento con il Pcc a Tienanmen. Non può quindi sorprendere che la figura di Hu Yaobang, indissolubilmente associata a quegli eventi drammatici, sia stata a lungo oscurata nel dibattito pubblico cinese.
E’ in questo contesto che va analizzato l’articolo firmato dal primo ministro cinese Wen Jiabao che è apparso sul Quotidiano del Popolo (Renmin Ribao) lo scorso 15 aprile. Nell’articolo Wen ricorda il suo lavoro al fianco di Hu Yaobang negli anni ’80 e ripropone Hu come modello di dedizione alla causa del popolo cinese. Posto che ci troviamo ormai nel mezzo delle grandi manovre politiche che dovranno portare alla selezione della nuova leadership suprema della Cina nel XVIII congresso del Pcc (2012), e che all’articolo è stata data ampia eco nei media ufficiali, la domanda è: perché proporre una rivalutazione di Hu proprio adesso? Il 21° anniversario di una morte non è una data emblematica, e non c’è traccia, negli ultimi anni, di simili scritti da parte di alti esponenti governativi.
L’opinione degli studiosi è che, data la natura consensuale della leadership di Pechino e lo stile di Wen, debba trattarsi di un atto politico condiviso. Per coglierne la logica è utile rammentare quanto ebbe ad osservare Lucien Pye: a dispetto delle spinte centripete che caratterizzano il Pcc, in cui la tendenza al conformismo formale è massima, al suo interno la gestione del potere dipende dalla dialettica tra molteplici fazioni (a loro volta tenute blandamente insieme da orientamenti politici, prospettive di carriera e relazioni personali – guanxi). In questo senso il messaggio potrebbe essere indirizzato a quelle frange neo-maoiste del Pcc che auspicano un ritorno a forme socialiste di governo dell’economia come metodo per ovviare alle conseguenze perniciose delle riforme (corruzione, disuguaglianza ec.). Hu, infatti, rappresenta la soluzione opposta a queste sfide, cioè il tentativo di risolvere i problemi socioeconomici mediante più incisive riforme politiche.
Se questo sia di buon auspicio in vista della selezione di esponenti liberali per la “quinta generazione” della leadership del Pcc (Wen fa parte della “quarta generazione”, in pensione dal 2012) si vedrà nei prossimi mesi, che saranno decisivi per il cambio della guardia a Pechino.
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