Due anni dopo il drammatico terremoto che nel 2008 colpì la provincia del Sichuan, nella Cina centrale, il 14 aprile un nuovo sisma del grado 6.9 su scala Richter ha provocato oltre 2.000 vittime in Qinghai, provincia nell’ovest del paese.
L’evento tellurico ha riaperto le polemiche messe a tacere dalla leadership cinese all’indomani del terremoto del 2008, che aveva visto crollare intere scuole, mentre nelle stesse vie palazzi governativi ed edifici privati costruiti nel rispetto delle norme antisismiche superavano indenni le scosse. Dopo alcune settimane di sbandamento, dovuto alla portata della crisi (oltre 90.000 morti), ma anche alla massiccia prova di solidarietà spontanea espressa dalla società cinese al di fuori degli abituali canali istituzionali, i funzionari locali e Pechino utilizzarono diversi metodi per persuadere i genitori dei bambini uccisi a non intentare azione legale contro i responsabili dell’edilizia scolastica.
Nella zona di Yushu, epicentro del recente sisma, sembra che il 70% delle scuole non abbia retto all’urto, anche se per fortuna molti bambini non erano ancora in aula, il che ha limitato il bilancio delle vittime. Dal canto loro, le autorità cinesi si sono fatte trovare meno impreparate della volta precedente a gestire l’emergenza e il suo impatto mediatico. Il Presidente cinese Hu Jintao si è recato in visita nelle zone colpite già il 18 aprile, mentre il governo ha subito esercitato uno stretto controllo sull’operato delle organizzazioni non governative che si sono attivate per recare aiuto. L’intera operazione è stata complicata dal fatto che quella di Yushu è ufficialmente riconosciuta come “area tibetana” per storia e cultura: lo stesso Dalai Lama ha ufficialmente chiesto a Pechino di poter visitare la popolazione, ricevendo una risposta interlocutoria.
In circostanze di crisi come questa riemerge l’estrema diffidenza con cui il governo cinese continua a guardare a un ruolo autonomo della società civile rispetto ai canali ufficiali controllati dal Partito comunista cinese (Pcc).
Due gravi decisioni assunte nelle ore immediatamente successive al sisma danno la misura della tensione che ha circondato gli sforzi di soccorso. Lo scrittore Tra Gyal, meglio noto con lo pseudonimo Zhogs Dung, è stato arrestato per aver invitato i suoi lettori a fare donazioni private per la popolazione colpita dal terremoto portando di persona sostegno a Yushu anziché affidarsi al tramite della Croce rossa cinese o di altri organi ufficiali. L’arresto, che si aggiunge ad una lunga lista di simili procedimenti ai danni di docenti e blogger in Tibet e Sichuan, è particolarmente significativo perché Zhogs Dung era considerato un autore vicino a Pechino, oltre ad essere uno degli intellettuali tibetani più conosciuti nel paese. Analogamente, sebbene siano stati i primi a soccorrere i sopravvissuti sotto le macerie, i monaci buddisti residenti nei monasteri della zona sono stati allontanati dall’area del disastro e oscurati sui media nazionali. Nessun esponente del clero buddista tibetano è stato invitato a prendere parte alle manifestazioni di lutto nazionali.
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