In questi giorni due notizie hanno evidenziato i paradossi del settore finanziario cinese. Da un lato, l’Agricultural Bank of China sbarcherà alle borse di Hong Kong e di Shanghai il 15 luglio, ultima tra le quattro grandi banche di stato a essere quotata, al termine di un’offerta pubblica del valore di 19,2 miliardi di dollari americani, tra le maggiori mai realizzate. L’operazione, che fa della banca l’ottava al mondo per capitalizzazione di mercato, ha fatto notizia per la partecipazione della Qatar e della Kuwait Investment Authorities, che investiranno nella banca 3,6 miliardi di dollari complessivamente, segnalando una straordinaria attenzione dei paesi del Golfo per il mercato finanziario cinese.
D’altro canto, il 10 giugno la China Banking Regulation Commission ha invitato le banche a restringere il credito alle società di investimento locali (chiamate a volte anche platform companies o urban development and construction companies), agenzie di credito paragovernative che finanziano i progetti infrastrutturali delle amministrazioni locali, e ha proibito ai funzionari di utilizzare fondi o asset pubblici, direttamente o indirettamente, per ottenere i prestiti. Sono infatti spesso gli amministratori locali a offrire un’implicita garanzia alle banche. Il timore della commissione è che queste società finanziarie intermedie, soprattutto qualora esploda la bolla immobiliare, non riescano a ripagare il debito accumulato, che verrebbe quindi addossato allo stato locale, contribuendo a fare aumentare il debito pubblico in un momento di alta volatilità e incertezza sui mercati globali. Un quinto dello stock nazionale dei prestiti (che ammontava nel 2009, a 9,6 trilioni di yuan) sarebbe rappresentato dai prestiti di questo tipo. Il debito di alcuni governi locali è ormai superiore al 100% degli introiti fiscali, con punte del 365%. Si stima che il debito totale degli enti amministrativi locali sia tra i 6 e gli 11 trilioni di yuan, tra poco meno di un quinto e un terzo dell’intero Pil cinese del 2009 (33 trilioni di yuan). Il sistema finanziario cinese sarebbe quindi una bomba a orologeria.
Fin dagli anni ’90, quando le quattro banche di stato vennero salvate dal peso dei crediti inesigibili, l’atteggiamento dei media e della comunità finanziaria globale ha oscillato tra due estremi: l’euforia per un settore in straordinaria crescita sui mercati borsistici mondiali, e il timore di un suo collasso imminente e devastante. In realtà, già nel 2006 si notava che bisognava liberarsi di questi miti e considerare il sistema bancario cinese per quello che è: un sistema finanziario più maturo e rispondente alle regole internazionali, all’interno però di un paese in transizione, con una forte componente pubblica dell’economia. In altre parole, le banche cinesi sono colossi finanziari mondiali quotati in borsa (le prime due banche per capitalizzazione di mercato sono l’Industrial & Commercial Bank of China e la China Construction Bank) ma anche docili strumenti di policy nelle mani del governo di Pechino.
Per questo c’è chi ritiene che stiamo assistendo al fallimento di medio periodo dello stimolo fiscale di quattro trilioni di yuan lanciato nel settembre del 2008 per far fronte alla crisi. La pecca della manovra, sostengono i critici, sta proprio nel fatto che è basata sul credito bancario e, in più, è servita a finanziare progetti a scarso rendimento. Altri analisti ritengono invece che queste preoccupazioni siano infondate. Secondo Jia Kang, direttore dell’Istituto della ricerca fiscale del ministero delle finanze, il debito pubblico è circa il 50% del Pil, anche considerando il debito nascosto, un rapporto di gran lunga inferiore a quello dei paesi occidentali. Tra le voci ottimistiche, si registra quella autorevole di Nicholas Lardy, che ha posto l’accento, in particolare, su tre elementi: già nel 2009 le autorità hanno iniziato una stretta creditizia; i cinesi investono solo una quota minima del loro bilancio negli acquisti immobiliari; gli asset totali dei governi locali ammontano a ben 8 trilioni di yuan. Inoltre, Lardy sostiene che, se è vero che alcuni investimenti delle platform companies saranno poco redditizi, i rendimenti economici reali per l’economia nel suo complesso saranno elevati, perché il denaro è stato investito in infrastrutture che dovrebbero facilitare la crescita. Ovviamente, l’ottimismo è condizionato dal rispetto da parte delle autorità locali della nuova direttiva del governo centrale che mira a una riduzione dell’indebitamento.
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