Il peso crescente dell’economia cinese sulla scena globale tocca direttamente anche l’Italia. Dopo aver subito l’impatto della recessione nello scorso biennio con un calo del Pil di oltre il 6%, le stime del Fondo Monetario Internazionale (Fmi) indicano per il nostro paese un rimbalzo nel 2010 (+ 0,9%) che dovrebbe sostanzialmente confermarsi anche l’anno prossimo (+1,1%). Fondamentale in questa dinamica di crescita è il contributo che viene dalla ripresa delle esportazioni, trainate proprio dai mercati dei paesi emergenti, a partire dalla Cina.
Secondo il rapporto “L’Italia nell’economia internazionale 2009/10”, pubblicato dall’Istituto per il Commercio Estero (Ice) su dati Istat, la Cina è ormai il secondo importatore mondiale di merci, avendo scavalcato la Germania già nel 2009. Per quanto riguarda l’Italia, il Servizio Studi della Bnl rileva nel suo Focus del 24 settembre 2010 come nei primi sette mesi del 2010 l’export italiano diretto verso la Rpc sia cresciuto del 26,9%, più del doppio della media complessiva. Questo dato segnala la perdurante vitalità del settore manifatturiero italiano, capace di far fronte con notevole flessibilità a subitanei rimbalzi nella domanda mondiale. Le esportazioni verso la Cina sono dominate da beni di investimento, con meccanica ed elettromeccanica che costituiscono la componente di gran lunga principale delle importazioni cinesi dal nostro paese, secondo le stime più recenti dei desk Ice in loco.
Le aspettative di una crescita sostenuta nella Rpc per il 2011 sono quindi motivo di ottimismo per i fornitori italiani. Al contempo, l’aspettativa è che continui a maturare il mercato interno cinese, e si moltiplichino di conseguenza le opportunità di penetrazione del made in Italy nei settori delle quattro “A” tradizionalmente associati al gusto e alla creatività italiana: arredamento, abbigliamento, automotive ed agroalimentare. Sempre l’ICE sottolinea che la sfida della visibilità per i marchi italiani si va spostando dalle grandi metropoli (Pechino, Shanghai, Canton) alle città emergenti di seconda (Dalian e Hangzhou) e persino terza fascia.
A fronte di questi sviluppi le difficoltà strutturali dell’impresa italiana sono note. Il dimensionamento resta il principale problema: con un tessuto produttivo costituito per la quasi totalità da piccole e medie imprese l’Italia fatica a generare una massa critica, in termini di capitale finanziario, ma anche intellettuale e infrastrutturale, sufficiente a fare breccia in un mercato distante, complesso e culturalmente eterogeneo come quello cinese, in cui peraltro la grande distribuzione si è da tempo coagulata intorno a grandi gruppi cinesi, francesi e statunitensi. Da qui la seconda sfida, che riguarda l’“educazione” del consumatore cinese al prodotto italiano, che per potersi diffondere deve poter contare su consumatori che ne sappiano distinguere e apprezzare la qualità peculiare, ancor prima che sulla tutela formale dei marchi o sulla competitività del prezzo.
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