Leslie T. Chang, Operaie, Milano, Adelphi, 2010 (Tit. orig.: Factory Girls)
“Ecco smembrata la potenza industriale della Cina moderna, e i pezzi erano le persone”. È il biglietto da visita del libro di Leslie T. Chang, uscito nel 2008 e finalmente tradotto in italiano. L’ex corrispondente da Pechino del Wall Street Journal ha cercato di “conoscere il mondo della fabbrica proprio come i migranti: dal basso verso l’alto e in ogni suo aspetto”, esplorando il mondo dell’emigrazione femminile a Dongguan, città del sud della Cina sede di fabbriche e capannoni a perdita d’occhio. Il libro racconta le emblematiche vicende personali di alcune giovani lavoratrici, seguendone i percorsi professionali e umani, tra affollati colloqui di lavoro, improbabili lezioni di inglese, felici ma sofferti viaggi di ritorno ai villaggi d’origine, difficili situazioni sentimentali, incredibili truffe, e sfrenate ambizioni finite spesso in cocenti delusioni. Questi racconti gettano luce sul “miracolo cinese”, che appare così meno astratto e inspiegabile, fatto non solo di milioni di braccia e mani, ma di individui con un nome e un cognome e tante storie personali spesso sorprendenti o toccanti. L’autrice, a poco a poco, matura anche il desiderio di scoprire e raccontare la storia personale della sua famiglia, emigrata a Taiwan e poi in America dopo la vittoria della rivoluzione comunista, aggiungendo così un tassello al complesso mosaico di vite individuali che hanno fatto (o subìto) la storia della Cina del ‘900.. Dolente, ma anche esilarante (superba la storia dell’insegnante di inglese), inquietante e a tratti commovente, Operaie si legge tutto d’un fiato e ha il merito di finire nel momento in cui inizia a perdere ritmo. Un testo destinato a diventare un classico del reportage giornalistico sulla Cina di quest’inizio secolo.
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