Quando negli anni ’70 del secolo scorso Bruxelles e Pechino iniziarono il percorso che avrebbe portato alla firma dell’Accordo commerciale e di cooperazione Rpc-Ue (1985) – tuttora la cornice normativa dei rapporti bilaterali in attesa di un’intesa sul nuovo Accordo di partenariato e cooperazione in discussione dal 2007 – non mancava presso i leader cinesi una certa fiducia nella possibilità che l’Europa divenisse un attore unitario sulla scena internazionale.
Nel 2010 le celebrazioni per i 35 anni delle relazioni bilaterali hanno invece coinciso con la presa di coscienza da parte cinese che l’Ue è ben lungi da poter essere considerata un partner strategico a tutto tondo.
L’Unione è percepita a Pechino come un attore omogeneo ed efficace in un unico ambito: il commercio internazionale. È al contempo il più importante spazio economico del pianeta e un mercato imprescindibile per gli operatori cinesi, ben consapevoli del fatto che, anche dopo la Grande Recessione del 2008-2009, l’Ue resta il principale mercato di sbocco per le merci prodotte in Cina, mentre quest’ultima è la prima fonte di importazioni per l’Unione.
I dati più recenti pubblicati da Eurostat – relativi al periodo gennaio-ottobre 2010 – confermano un incremento delle esportazioni europee dirette in Cina del 38% rispetto allo stesso periodo del 2009; nello stesso arco temporale le importazioni in Europa di merci prodotte in Cina sono aumentate del 31%. Anche nell’ambito dell’Organizzazione mondiale per il commercio (Omc) il 2010 ha segnato un momento di svolta per le relazioni Ue-Cina: il 3 dicembre Pechino ha vinto il primo contenzioso commerciale contro dazi antidumping imposti da Bruxelles.
Nonostante le difficoltà emerse nei rapporti tra le due parti nel 2010, culminate nell’insuccesso del 13° Summit Ue-Cina del 6 ottobre, cui ha partecipato il premier cinese Wen Jiabao, il 2011 si è subito aperto con la visita in Spagna, Germania e Gran Bretagna del vice-premier Li Keqiang, considerato il successore designato di Wen nel 2012. Li è stato accompagnato nel suo tour europeo da un gruppo di oltre cento uomini d’affari cinesi. Obiettivo: imprimere nuovo impulso alla diplomazia cinese verso l’Europa. Una diplomazia sostenuta da investimenti crescenti e mirati, come sottolinea Giuseppe Gabusi in questo numero di OrizzonteCina.
Al di fuori della sfera economica, il 2010 ha messo in luce il perdurare delle tendenze centrifughe e delle debolezze strutturali che limitano la capacità dell’Ue di gestire con efficacia le relazioni con Pechino. Sul versante dello hard power, l’Unione è sprovvista di uno strumento militare capace di significativa proiezione di forza, mentre i bilanci della difesa di alcuni dei principali paesi membri hanno subito drastiche contrazioni a causa dei crescenti vincoli cui sono sottoposte le finanze pubbliche. La Rpc prosegue, invece, nell’ammodernamento delle proprie dotazioni e, secondo i dati Sipri, si conferma il secondo paese al mondo dopo gli Stati Uniti quanto a bilancio della difesa.
Anche sul versante dei meccanismi politici, diplomatici e culturali capaci di consentire all’Unione Europea di assumere un ruolo di leadership in qualità di “potenza civile”, la situazione non pare essere di molto migliore. Nel 2003 sui media cinesi si parlava di “luna di miele” tra Bruxelles e Pechino e, mentre la Rpc pubblicava il primo policy paper dedicato alle relazioni con l’Unione Europea, le due parti convenivano sulla necessità di sviluppare un Partenariato strategico globale. Sotto l’ombrello di questo partenariato si svolgono ora oltre 50 tra summit e dialoghi settoriali, tra cui il dialogo Ue-Rpc sui diritti umani, attivo con cadenza semestrale dal 1995.
L’efficacia di questi esercizi è però limitata, come testimoniato da un’altra delle “mini-crisi” che hanno complicato le relazioni bilaterali nel 2010: l’attribuzione del premio Nobel per la Pace al critico letterario e dissidente cinese Liu Xiaobo, condannato a una pena detentiva di 11 anni dalla giustizia cinese per “incitamento alla sovversione dello Stato”. L’Alto Rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza Catherine Ashton ha chiesto il rilascio di Liu, ma Pechino ha risposto in modo sprezzante. Come notano Richard Gowan e Franziska Brantner nel rapporto A global force for human rights per lo European Council on Foreign Relations, il governo cinese ha indurito negli ultimi anni il suo atteggiamento sui diritti umani, mettendo in serio imbarazzo sia le istituzioni Ue che gli stati membri.
Catherine Ashton ha fissato fra le sue priorità l’elaborazione di nuove linee-guida per la politica estera dell’Unione nei confronti dei partner strategici, a partire da Cina, Stati Uniti e Russia. Eppure, solo di recente è stato avviato un confronto tra i rappresentanti dei Ventisette sulle relazioni bilaterali Ue-Cina inteso come dibattito permanente, e non finalizzato a una specifica circostanza istituzionale. Conciliare il frutto di queste riflessioni con le proposte dell’Alto rappresentante sarà un esercizio estremamente complesso, non da ultimo perché gli interlocutori partono da posizioni molto distanti tra loro.
L’entourage della Ashton, alle prese con la strutturazione del nuovo Servizio europeo di Azione esterna (Seae), sembra interessato a costruire le condizioni perché il vertice bilaterale del 2011 produca dei progressi sostanziali nella relazione con Pechino dopo il flop di quello del 2010. Secondo indiscrezioni di stampa, a metà dicembre l’Alto rappresentante avrebbe auspicato la revoca dell’embargo sulla vendita di armamenti alla Rpc decisa dall’Unione all’indomani della repressione di Tienanmen nel giugno del 1989.
I delegati dei paesi membri per le politiche asiatiche procedono, invece, dall’idea di “pazienza strategica”, di fatto auspicando una maggiore tolleranza reciproca tra Ue e Cina, nell’ottica di una riduzione del senso di frustrazione che pervade i rapporti bilaterali. Non sorprende che le principali cancellerie europee siano restie a integrare in toto e in modo automatico gli interessi comunitari nella propria politica verso la Rpc. Tuttavia, dietro al concetto stesso di “pazienza strategica” si cela un atteggiamento dilatorio ben poco adatto alla rapidità con cui evolvono le dinamiche globali.
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