Rivoluzione urbana, la Cina cambia volto

La trasformazione delle aree urbane in Cina è al contempo una rivoluzione dell’assetto sociale del paese, e un evento di proporzioni globali, essendo il più massiccio programma edilizio della storia del pianeta. La crescita delle città può ben essere considerata la campagna di maggior successo lanciata dal Partito comunista cinese (Pcc) dopo la fine dell’era maoista. È il fondamento su cui poggia l’evoluzione del sistema economico cinese, passato dalla pianificazione socialista all’organizzazione capitalistica della produzione, pur se sotto la persistente regia dello Stato. E la mano dello Stato è ben visibile dietro alla creazione delle nuove città (xincheng) e all’ampliamento e fusione di quelle pre-esistenti (tongchenghua).

La migrazione dalle campagne verso le città produrrà un incremento della popolazione urbana pari a 400 milioni di persone entro il 2020. Nell’arco del decennio successivo oltre un miliardo di persone in Cina vivranno in città, di cui – si stima – 221 supereranno il milione di abitanti. Quando la transizione sarà completa, quasi l’85% della popolazione cinese sarà inurbata, praticamente un mondo capovolto rispetto all’inizio dell’era delle riforme, quando l’83% dei cinesi viveva in contesti rurali.

Le tre principali aree di trasformazione urbana nella Cina attuale sono il Pearl River Delta nel sud del paese, il cui sviluppo fu avviato negli anni ’80 del secolo scorso, la zona del delta dello Yangtze a oriente (che ha conosciuto uno sviluppo accelerato dagli anni ’90) e la Baia di Bohai a nord, centrata intorno a Pechino e Tianjin. Qui il processo di cambiamento si è fatto più rapido a partire dall’11° piano quinquennale (2006-2010), che ha fatto della Baia di Bohai una locomotiva dello sviluppo nazionale che compete con le aree più avanzate della Cina. Il baricentro di questo territorio è Tianjin, capitale industriale del nord-est della Republica popolare cinese (Rpc) e porto commerciale di crescente centralità nelle strategie nazionali.

Con una popolazione di 11,5 milioni di persone, Tianjin è la terza area urbana della Cina dopo Pechino e Shanghai. Un detto popolare dà la misura del legame tra storia e trasformazione urbana in Cina: “Se vuoi capire 5.000 anni di civiltà cinese visita Xi’an. Se t’interessano gli ultimi 1.000 anni, osserva Pechino. Ma per la Cina moderna, guarda Tianjin”. La città di Tianjin ha occupato una posizione unica nella storia cinese recente. Microcosmo senza eguali nell’ultima fase dell’impero Qing (1842-1911) e poi durante la Cina repubblicana (1911-1948), tra il 1860 e il 1945 fu una “ipercolonia”, sede di nove concessioni straniere oltre che di un governo militare multinazionale nella concitata fase 1900-1902. Oggi il passato coloniale della città è oggetto di un importante tentativo di recupero, volto a ridefinire l’identità di Tiajin come di una città che fu a vocazione “globale” già dall’inizio del ‘900. Il panorama architettonico ibrido della città è divenuto una frontiera della sperimentazione di nuovi modelli di edilizia e governance urbana.

Ai tempi, le concessioni straniere a Tianjin coprivano un’area di 15,5 Km2, otto volte più grande della “città cinese” originaria. Ogni concessione comprendeva una zona residenziale, in cui la pianificazione urbana rispondeva alle necessità e al gusto degli abitanti stranieri che vi risiedevano. Ben presto, al di là del dato politico-militare, le concessioni divennero specchi della cultura dei paesi colonizzatori e teste di ponte per la penetrazione commerciale in Cina. Da qui la nomea di Tianjin quale sorta di “esibizione permanente dell’architettura mondiale (wanguo jianzhu bolanhui). Nessun’altra città cinese può vantare un simile eclettismo architettonico di matrice europea.

Le autorità cittadine sono ben consce della storia di Tianjin e ritengono che la specificità e la ricchezza architettonica della città vadano generando un capitale economico, simbolico ed emotivo del tutto particolare. Gli addetti alla pianificazione urbana stanno dunque tentando di costruire una narrativa per Tianjin che reinterpreti in modo innovativo la storia di relazioni transnazionali della Cina a partire da questa città-porto. Un fattore importante è stato l’avvio, nel 1994, dello sviluppo del distretto rivierasco di Binhai, nell’est di Tianjin. La Binhai New Area è oggi presentata come la “testa di drago” dello sviluppo di Tianjin, paragonabile alla Pudong New Area di Shanghai. Binhai continua oggi a sperimentare una crescita della ricchezza prodotta di quasi il 30% annuo e proprio nel dicembre 2010 il suo Pil ha superato quello di Pudong.

L’Italia gioca un ruolo non indifferente nel collaborare con la leadership municipale, impegnata nel tentativo di definire nuovi standard di rinnovamento urbano. Avendo contribuito allo sforzo internazionale che stroncò la rivolta dei Boxer nel 1900, il Regno d’Italia aveva ottenuto nel 1901 la sua unica colonia in Asia orientale proprio a Tianjin: poco meno di mezzo chilometro quadrato stretto sulla sponda sinistra del fiume Hai. Oggi, il recupero della tradizione storica della città offre un’opportunità nuova di contatto con l’Italia, i cui grandi studi di architettura e design sono tra i più qualificati al mondo per il recupero creativo di spazi urbani realizzati in un passato la cui eco si vuole reinterpretare.

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