Negli ultimi anni la crescita del prodotto interno lordo (Pil) cinese è rallentata notevolmente, passando dal 10,6% del 2010 al 6,9% del 2015, fino ad arrivare a 6,7% del primo trimestre 2016. È ovvio che l’attenzione del mondo sia stata catturata da questa “decrescita della crescita”, battezzata “nuova normalità” dai dirigenti del governo cinese. La domanda naturale che sopravviene è quale possa essere il tasso di crescita dell’economia cinese nei prossimi anni. Il governo cinese ha fissato al 6,5% (o un po’ meno) l’obiettivo di crescita media da realizzare del quinquennio 2016-2020. Si è molto discusso su quali siano le cause del rallentamento, ma poco forse è stato detto su quella che appare la causa principale: la migrazione dalle zone rurali verso i centri urbani si sta affievolendo. Comprendere quanto questo flusso migratorio abbia contribuito, in passato, alla crescita economica della Cina, e – cosa molto più importante – fissare un parametro numerico (per esempio: a quanti punti di Pil corrisponde un milione di persone che si trasferiscono in città) è fondamentale per prevedere le dinamiche della futura crescita economica.
La metodologia usata per calcolare di quanto aumenti il Pil ogni volta che un singolo contadino lascia la campagna per trasferirsi in città consiste nel calcolare l’aumento del reddito percepito da tale individuo in proporzione al Pil nazionale proveniente da salari, usando il metodo cosiddetto income approach. Una volta calcolato l’impatto sul Pil dovuto allo spostamento di un singolo individuo, lo si moltiplica per l’effettivo numero di individui che, ogni anno, hanno cambiato dimora, per calcolare l’impatto sul Pil totale del paese. Questo è il primo livello di analisi. Una illustrazione numerica e alcune tavole di dati aiutano a chiarire meglio.
La Figura 1 mostra la serie storica dei redditi medi dei cittadini residenti in zone rurali e zone urbane a partire dal 1996 fino al 2014, ultimo anno di cui si hanno dati attendibili. Le cifre sono espresse in renminbi nominali e si preferisce mostrarle così, perché tali vengono percepite dalla popolazione locale, evitando inutili conversioni in dollari indietro nel tempo, calcoli che richiedono sempre un certo grado di soggettività e che, in questo caso, non aggiungono valore all’analisi. La terza colonna mostra il rapporto tra tali redditi. Si è molto discusso sull’aumento della disparità di reddito tra zone urbane e zone rurali e infatti il rapporto è passato dal 1,9 di venti anni fa al 3,9 nel 2009, per poi cominciare a ridimensionarsi fino all’attuale 3,5. Oggi il cittadino cinese medio che risiede in città guadagna tre volte e mezzo quello che guadagna un cittadino che risiede nelle zone rurali, 56 mila renminbi all’anno (circa 9 mila dollari) contro 16 mila renminbi (2.500 dollari). L’ultima colonna riporta il flusso migratorio annuo dalle zone rurali alle zone urbane, un po’ meno di 20 milioni all’anno. È come se ogni tre anni l’intera popolazione dell’Italia si trasferisse altrove. È bene far notare che le cifre sui redditi riportate sono più alte di quelle di solito citate, perché il nostro calcolo del reddito medio è basato sulla popolazione in età lavorativa e non sulla popolazione totale.
A questo punto, usando i valori del 2014, per valutare di quanto cresca il Pil per effetto della migrazione occorre compiere i seguenti passi:
a) calcolare il reddito incrementale per ogni contadino che si trasferisce in città;
b) moltiplicare tale valore per il numero annuo dei migranti;
c) calcolare il peso che hanno i salari nel computo del Pil;
e) ottenere il contributo complessivo diretto del flusso migratorio sul Pil.
Per quanto riguarda il primo passo, è necessaria un’ulteriore correzione: sebbene il reddito medio urbano sia stato di 56 mila renminbi, il contadino che si trasferisce in città non riesce a raggiungere tale livello di salario, bensì una cifra inferiore, il cosiddetto “salario medio dei lavoratori migranti”, cifra anch’essa riportata nelle statistiche ufficiali, che nel 2014 era di 34 mila renminbi, dunque inferiore alla media urbana. Il valore di reddito incrementale è quindi di 18 mila renminbi annui (34 mila meno 16 mila). Moltiplicando tale cifra per il flusso migratorio annuo (16,9 milioni nel 2014), si ottiene un valore complessivo di aumento dei salari pari a 308 miliardi di renminbi. Nel 2014 il Pil cinese è stato di 63 mila miliardi di renminbi. Dal momento che l’incidenza dei salari sul Pil è di circa il 50%, un aumento dei salari di 308 miliardi di renminbi su un Pil di 63 mila miliardi equivale a un incremento percentuale di circa lo 0,5% (308 miliardi diviso 63 mila). In teoria, si potrebbe anche pensare che non è il contadino medio che cambia residenza, ma la sezione più povera dei residenti rurali: se così fosse, il divario di reddito e di conseguenza l’impatto sul Pil sarebbero maggiori. Ma per semplicità tralasciamo questo aspetto e atteniamoci a valori medi.
La Figura 3 mostra il risultato di simili calcoli effettuati per gli ultimi sette anni. Esistono piccole variazioni dovute al fatto che sia il flusso migratorio annuo sia il divario di reddito non sono costanti, ma come è da aspettarsi la cifra resta fissa intorno allo 0,5%. In altre parole, se ipoteticamente nel 2015 il flusso migratorio si fosse completamente arrestato, la crescita del Pil non sarebbe stata del 6,9% bensì del 6,4%. Questo 0,5% è il cosiddetto incremento della produttività del lavoro, cioè di quanto aumenta la produzione per effetto dell’aumento della produttività della forza lavoro. In questo caso, per semplicità, abbiamo trascurato l’aumento della produttività della forza lavoro dovuta ad altri fattori (per esempio, di chi fa lo stesso lavoro, senza migrare, ma in modo più efficiente anno dopo anno) per
concentrarci sull’effetto migratorio, che è il driver principale.
Tuttavia, l’analisi che abbiamo appena svolto tiene conto soltanto dell’effetto diretto del flusso migratorio, senza considerare effetti di spill-over sul resto dell’economia. È bene quindi considerare tale 0,5% come l’impatto “minimo” prodotto ogni anno dal flusso migratorio. Per un’analisi completa bisogna però considerare anche gli altri fattori. Tra i tanti, quello più vicino alla migrazione è l’attività nel settore degli immobili residenziali, funzionale a dare alloggio alla crescente popolazione urbana.
Qui entriamo in un campo vasto e per brevità è necessario semplificare l’analisi e guardare al Pil dal lato della spesa (expenditure approch), anziché dal lato del reddito (income approach) come abbiamo fatto fino ad ora. In particolare, ci concentriamo sulla parte investimenti del Pil (Pil = consumi + investimenti + esportazioni nette). Supponiamo che ogni lavoratore migrante abbia bisogno di un’abitazione, che costi x a metro quadro e che sia grande y metri quadri. Per semplicità supponiamo che l’abitazione venga occupata da tre persone (tipico nucleo familiare in Cina) e costruiamo una matrice che ci fornisce l’impatto sul Pil al variare di tali parametri. Per esempio, con un prezzo a metro quadro di 2 mila renminbi e un’abitazione di 40 metri quadri, l’impatto sul Pil sarebbe dello 0,7%. La parte scura della matrice rappresenta il quadro realistico a oggi e quindi l’impatto del flusso migratorio sul Pil del paese può andare dallo 0,7% fino al 2%. In altre parole, sempre ipoteticamente, se nel 2015 nessun contadino avesse cambiato residenza, il Pil non sarebbe cresciuto del 6,9%, bensì del 4,9%. Andando avanti nel tempo, qualora il costo medio degli immobili crescesse più del Pil nominale, ci sposteremmo verso la zona destra della matrice, dove l’impatto sul Pil sarebbe ancora più elevato e se anche le esigenze di tenore di vita dei nuovi residenti urbani aumentassero – qui rappresentate con una casa più grande – ci sposteremmo verso il basso della matrice.
Le conclusioni sono molteplici e si prestano a varie interpretazioni: l’impatto del flusso migratorio sul Pil è più elevato dello 0,5% spesso usato come aumento della produttività della forza lavoro. Una parte significativa di Pil dovuta a investimenti, in realtà, non è affatto separata dal flusso migratorio, che resta uno degli input degli investimenti stessi. L’impatto migratorio ha dunque ramificazioni in varie componenti del Pil, con conseguenze più importanti di quanto si immagini. Andando avanti nel tempo, tale impatto sul Pil potrebbe aumentare sensibilmente, il che renderebbe l’economia cinese sempre più dipendente dalla continuità del flusso migratorio. Ma il flusso dipende a sua volta dalla differenza di reddito tra zone urbane e zone rurali. Se le politiche di equità sociale ed economica dovessero avere il sopravvento, il divario di reddito continuerebbe ad abbassarsi, così come è accaduto negli ultimi anni, ed il flusso migratorio diminuirebbe, così come il tasso di crescita del Pil.
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