Come insegna la stretta etichetta del Partito Comunista Cinese, fare un confronto tra la visita di un Primo Ministro e quella di un Vice Presidente può essere un esercizio sterile: diversa la gerarchia, differenti le funzioni, troppo semplicistico mescolare le carte in tavola.
Eppure la cronaca recente impone comunque un paragone tra il viaggio di Wen Jiabao in Europa – che alla fine di giugno ha toccato Ungheria, Gran Bretagna e Germania – e quello di Xi Jinping in Italia, dove il papabile futuro leader della Cina dopo il 2012 ha assistito il mese scorso alle celebrazioni per il 150simo anniversario dell’Unità, incontrando, tra gli altri, il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi.
Le due visite si sono svolte nel segno della crisi del debito pubblico greco, che forse non a caso media e funzionari cinesi continuano a denominare crisi del debito pubblico europeo, quasi come se il contagio che da Atene potrebbe diffondersi in tutta l’Eurozona fosse già una certezza agli occhi degli analisti cinesi, nonostante le misure messe in campo dall’Unione.
“Se l’Europa è in difficoltà l’aiuteremo – ha dichiarato Wen Jiabao in Germania –, la Cina è disposta ad aiutare i Paesi a seconda delle loro necessità acquistando una certa quantità del loro debito pubblico”. A Berlino, il premier cinese ha siglato accordi per un valore di oltre 15 miliardi di dollari: lo scorso anno gli scambi commerciali tra Cina e Germania si sono attestati a 130 miliardi di euro, e i due paesi puntano a raggiungere quota 200 miliardi nel 2015. A Londra – dove il primo ministro cinese era stato poco prima – gli accordi economico-commerciali avevano raggiunto una cifra più modesta, 4,2 miliardi di dollari, ma Cina e Regno Unito hanno anche firmato un importante accordo per la revisione della doppia tassazione, che riduce la trattenuta fiscale sui dividendi provenienti dalle società cinesi dal 10% al 5%. A Roma, nell’ottobre dello scorso anno, Wen Jiabao aveva siglato 10 accordi commerciali per un impegno totale di 2,5 miliardi di dollari. E veniamo adesso a Xi Jinping, successore designato di Hu Jintao alla guida della seconda economia mondiale: Italia e Cina hanno raggiunto l’intesa su 16 accordi commerciali e istituzionali per un valore complessivo di 3,2 miliardi di dollari.
Tra i vari accordi commerciali figurano quello siglato tra Wind Telecomunicazioni e China Development Bank Corporation per un progetto di finanziamento di un network di telecomunicazioni e il memorandum d’intesa tra Telecom Italia e Huawei Technologies (definita dal ministro Renato Brunetta “multinazionale gentile”, ma alla quale molti paesi europei guardano con sospetto a causa dei suoi legami diretti con l’Esercito Popolare di Liberazione) per la cooperazione strategica di cinque anni. Seguono poi, in ordine sparso, altri accordi che vanno dalle energie rinnovabili al settore medico. L’Italia è oggi il quarto partner europeo della Cina, e i due paesi puntano al raddoppio dello scambio bilaterale entro il 2015.
Ma, al di là delle cifre, forse uno dei risultati più interessanti è quello relativo alla ripresa delle attività del Comitato Governativo bilaterale Italia-Cina: un tavolo di trattative rimasto in stasi per anni, che adesso ha ripreso vigore con la visita del Ministro degli Esteri Franco Frattini in Cina. L’iniziativa è importante: dal maggio scorso le agenzie Moody’s e Standard & Poor’s hanno espresso pareri negativi sull’outlook del debito pubblico italiano e hanno messo sotto osservazione il rating di 16 banche italiane, provocando peraltro un deciso intervento della Consob. Incontri bilaterali del livello di quello con Xi Jinping e tavoli come il Comitato Governativo bilaterale sono essenziali per discutere della vendita alla Cina di una parte del debito pubblico tricolore, leva essenziale per la ripresa del paese in un momento così difficile per tutta l’Eurozona.
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