Il teorema del socialismo con caratteristiche cinesi applicato al settore finanziario presenta una serie pressoché infinita di corollari. Se ad un livello formale la Cina sembra aver ripreso gli istituti giuridici e le strutture economico-finanziarie proprie dell’Occidente, in realtà li ha fortemente riadattati al proprio contesto politico, legale, economico e socio-culturale.
L’esempio principale è rappresentato dal sistema bancario: mentre nei paesi occidentali le banche sono imprese private che raccolgono risparmi ed erogano credito per ricavarne profitti, in Cina l’elemento del profitto non è stato – e continua in molti casi a non essere – rilevante: le banche sono concepite soprattutto come strumento a servizio delle politiche economiche delle autorità centrali e locali.
Simile ratio hanno avuto, soprattutto in passato, le borse valori, la cui funzione principale è stata (e continua per molti versi ad essere, come ha dimostrato il caso della quotazione di Agricultural Bank of China lo scorso anno) la dismissione di quote minoritarie in società pubbliche, al fine di raccogliere capitali, migliorare il management e fornire qualche ulteriore opportunità di investimento agli asfittici mercati di capitale cinesi. Vi è però un esempio ancora più paradigmatico della complessità e unicità del sistema economico e finanziario cinese, anch’esso celato dietro ad un’apparente somiglianza con i modelli occidentali, dovuta a termini comuni che descrivono, però, realtà molto diverse: si tratta delle cosiddette trust companies.
L’origine di questa categoria di operatori finanziari va ricondotta al sistema giuridico anglosassone, dove le trust companies vengono definite come società fiduciarie che operano per conto di un’altra persona o impresa al fine di amministrare, gestire ed eventualmente trasferire beni a un beneficiario. Si tratta quindi di una categoria di operatori che, per quanto fortemente variegata, è chiaramente delimitata e distinguibile dal resto delle imprese e degli intermediari finanziari.
È quanto accade nella stragrande maggioranza dei paesi, ma non in Cina. Qui, dietro al termine trust compagnie (TC) si nasconde una galassia di operatori la cui estensione e composizione è indecifrabile, nonostante alcuni accurati studi in materia. Andando ben al di là della semplice attività fiduciaria, le TC cinesi arrivano a svolgere attività tipicamente di competenza di banche, fondi di private equity, hedge funds, società di gestione del risparmio e diversi altri operatori finanziari.
La nascita e proliferazione delle TC in Cina non è che uno degli effetti dell’assenza di un’infrastruttura finanziaria. La ricchezza creata dallo sviluppo economico, sommata ad altri fattori quali l’alto tasso di propensione al risparmio, tassi d’interesse artificialmente bassi e mercati di capitali poco sviluppati, ha spinto i cittadini e le imprese cinesi a cercare opportunità di investimento in grado di garantire ritorni adeguati. Proprio per soddisfare questa domanda hanno cominciato a sorgere le TC, le quali hanno approfittato di ampie lacune legislative per operare in attività molto remunerative quali investimenti diretti in operazioni immobiliari, finanziamento di opere pubbliche o erogazione di prestiti ad imprese e privati.
In breve tempo il numero di TC è aumentato esponenzialmente e le autorità cinesi hanno perduto il controllo su questi importanti operatori. Una serie di scandali (il più clamoroso dei quali è il fallimento del Guangdong International Trust and Investment Corporation) hanno portato il governo centrale ad intervenire per regolare le TC, dapprima (nel 2001) con una legge organica per disciplinare il settore e poi con una serie di interventi mirati ad ottenere un controllo ancora più stringente. A quel punto, tuttavia, i “buoi” erano già scappati dal recinto e molte TC hanno cambiato forma o trasferito la base delle proprie attività all’estero (Hong Kong, Singapore o in paradisi fiscali), sparendo dagli schermi radar dei regolatori cinesi.
Ciò non significa che le TC abbiano smesso di operare. Al contrario, sono state estremamente attive, soprattutto nel finanziamento di progetti di investimento promossi dagli indebitatissimi governi locali. Inoltre, le TC hanno seguito il processo di internazionalizzazione delle imprese cinesi, espandendo le proprie attività all’estero, tanto come investitori diretti quanto come finanziatori o co-finanziatori di imprese cinesi. Tra i settori maggiormente interessati figurano quello immobiliare, l’esplorazione, l’estrazione e il commercio di materie prime e la speculazione finanziaria.
La storia delle TC cinesi sembra dar ragione all’antico detto cinese secondo il quale, ogni volta che una misura viene imposta dall’alto, in basso vengono elaborate delle contromisure – spesso più efficaci.
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