Con i riflettori dei media internazionali puntati sull’Europa ormai da diverse settimane, l’attenzione sull’economia cinese sembrava essersi attenuata, soprattutto dopo lo spegnersi delle voci che vedevano in Pechino un possibile “cavaliere bianco” pronto a soccorrere la vacillante economia europea. La Repubblica popolare cinese (Rpc) è però tornata sulle prime pagine dei giornali internazionali negli scorsi giorni, a seguito di una serie di dichiarazioni del vice premier Wang Qishan, la più importante delle quali è stata una manifestazione aperta delle proprie preoccupazioni in merito ai rischi derivanti dal possibile perdurare dell’attuale crisi economica globale: secondo Wang è impellente per la Cina introdurre nuove riforme, soprattutto nel settore finanziario, al fine di evitare conseguenze imprevedibili.
Queste dichiarazioni vanno considerate come eufemistiche: paiono necessari interventi ben più incisivi di quelli genericamente richiamati dalla leadership cinese, con impatto su diversi settori e livelli dell’economia del paese. È ormai da qualche tempo che cominciano ad apparire sulla superficie scintillante della locomotiva economica cinese alcune venature che potrebbero diventare crepe se la situazione dovesse ulteriormente peggiorare, soprattutto nel caso dovesse avversarsi – cosa inimmaginabile fino a qualche mese fa – lo scenario di una Cina in deficit commerciale nel 2012.
Tra le diverse “venature” (e possibili crepe), ve ne sono tre che consentono di cogliere in modo immediato la portata dei problemi:
1) l’indebitamento dei governi locali: al fine di finanziare un impressionante numero di progetti infrastrutturali aggirando le stringenti normative in tema di debito pubblico, moltissimi (quasi tutti) i governi provinciali e municipali hanno creato intricate reti societarie, formalmente private ma in realtà interamente pubbliche, per ottenere credito da istituti bancari ed altri intermediari finanziari. Mala gestione e frequenti fenomeni di corruzione, hanno portato a livelli di indebitamento chiaramente insostenibili (la Ragioneria di Stato cinese ha stimato l’ammontare complessivo di tale debito in circa 1.670 miliardi di dollari). Secondo uno studio di Standard Chartered Bank, più dell’80% di tale debito non potrà essere ripagato dagli effettivi debitori e richiederà quindi un intervento pubblico diretto, principalmente da parte del governo centrale.
2) La bolla immobiliare e la connessa esposizione bancaria: situazione meno chiara ma con ricadute potenzialmente più importanti sulla popolazione è quella del mercato immobiliare. E’ da molto tempo che si parla di bolla immobiliare e si specula sulla sua reale dimensione e sui tempi di esplosione. Tra il 2005 ed il 2009 i prezzi medi delle abitazioni in Cina sono più che triplicati ed attualmente il 50% circa degli edifici ad uso commerciale giace vuoto ed inutilizzato (in alcune città si sono raggiunte punte anche dell’80%). Vista la complessità e l’opacità dei meccanismi finanziari attraverso i quali si è permesso che questa bolla si gonfiasse (in primis l’esperienza della famosa e “ribelle” Wenzhou), non appare possibile fornire previsioni verosimili su cosa possa succedere nel caso in cui questa bolla dovesse sgonfiarsi troppo repentinamente (o scoppiare).
3) Il debito di alcune imprese di stato: il problema dell’indebitamento è particolarmente evidente nel settore delle ferrovie. La Cina ha in poco tempo costruito la più estesa ed avanzata rete ad alta velocità al mondo, andando però oltre quelle che sembrano essere le reali necessità e possibilità di mercato. In aggiunta a costanti problemi tecnici (soprattutto in tema di sicurezza) e episodi di corruzione, il settore si trova ora a far fronte a un debito impressionante e non sostenibile tramite i ricavi da attività ordinarie. Molte tratte, quale la Pechino-Tianjin, sono costantemente in perdita “a molti zeri” e nel luglio scorso, l’agenzia di stampa Caixin ha pubblicato (e poi rimosso dal proprio sito internet) un rapporto dettagliato contenente numeri impressionanti sull’entità del debito del Ministero delle Ferrovie cinese: oggi è stimato a circa 150 miliardi di euro, ma è in costante aumento e si prevede che il capitale da rimborsare (escludendo quindi gli interessi) continui a crescere almeno fino al 2013. Gli interessi, poi, sono ammontati solo nel 2011 a circa 30 miliardi di euro e registrano un trend naturalmente ascendente.
In aggiunta a quelle appena descritte, potrebbero essere citate diverse altre “venature”: inflazione, perdita di competitività del settore manifatturiero, aumento delle disparità di reddito, difficoltà nel soddisfare il fabbisogno energetico nazionale e altro ancora. Negli scorsi trent’anni la Cina ha però affrontato e superato con successo sfide ancor più difficili di queste. Le autorità posseggono gli strumenti e le risorse per farvi fronte (se dispongano della necessaria unità politica d’intenti si vedrà dopo il 2012). Non si comprende però lo stupore, o il disappunto, di molti osservatori in Occidente per il mancato intervento della Cina a sostegno dell’economia europea, il cui futuro assetto peraltro resta avvolto in una nebbia fitta. Il treno dell’Europa in panne non può attendersi di essere rimesso in moto da una locomotiva che potrebbe avere presto bisogno di importanti interventi di manutenzione.
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