Il 23 gennaio la Cina ha festeggiato l’inizio dell’Anno del Drago (龙年). Nella tradizione cinese questo animale è un Giano bifronte: da un lato è simbolo di prosperità, dall’altro è associato alla figura dell’imperatore. In questo senso, il Drago rappresenta il massimo depositario dell’autorità pubblica, titolare di un potere che può garantire la stabilità oppure, corrompendosi, aprire le porte al caos.
Durante la Rivoluzione culturale, Mao Zedong affermò audacemente che questi due aspetti non sono necessariamente alternativi: “Solo dopo un periodo di disordine l’ordine può essere raggiunto” (天下大乱,才能天下大). Per certi versi, Mao sembra aver ritenuto il caos quasi una conditio sine qua non per raggiungere la pace e l’ordine. Dopo la svolta riformista del 1978 i suoi successori hanno rigettato questa concettualizzazione della politica e sono divenuti assai diffidenti nei confronti degli anni del Drago, giacché essi contengono spesso i semi di contraddizioni difficili da ricomporre. Basti ricordare l’esperienza del 1988: fu in quest’anno del Drago che i dubbi sulla politica di “riforma e apertura” perseguita da Deng Xiaoping si tradussero in un inizio di dissenso organizzato, nonostante gli anni Ottanta fossero stati in apparenza “prosperi”. Nel 1988 le tensioni montarono (a causa dell’inflazione crescente, della corruzione rampante, del nepotismo e di un’economia instabile), sfociando nella crisi della primavera-estate 1989, che si concluse con la brutale repressione del movimento studentesco di Tienanmen nella notte tra il 3 e il 4 giugno.
Può quindi essere opportuno iniziare l’Anno del Drago con l’analisi di un termine che rappresenta un tassello fondamentale nel “Racconto della Cina” (di cui “Lessico Popolare” ha trattato nel numero di OrizzonteCina dello scorso dicembre). Il termine è shengshi: solitamente tradotto come “Epoca di prosperità” o “Età dell’oro”.
Storicamente, l’idea di shengshi risale alla gloriosa dinastia Tang e in particolare all’“Età dell’oro di Kaiyuan” (開元盛世), riferita alla prima metà del regno dell’imperatore Xuanzong (713-741 d.C.), un sovrano famoso per i suoi energici sforzi nel governare il paese, promuovendone i talenti, sviluppando l’economia e sponsorizzando le arti. Durante il suo regno, il “mondo” (天下, tianxia) – che secondo la cosmologia sino-centrica dell’epoca era la metafora per indicare l’impero cinese – visse in pace.
Il termine shengshi è spesso associato a 之治 (zhizhi), “governo virtuoso”, ed esiste uno stretto legame tra 盛世, 之治 e l’idea di rinascita o restaurazione (中兴, zhongxing). Il termine shengshi è stato usato anche con riferimento al periodo dell’alta dinastia Qing (1681-1796), per celebrare i regni di Kangxi, Yongzheng e Qianlong (康乾盛世), ma sembra sia poi scomparso dalla memoria storica e dai documenti ufficiali.
Di recente, tuttavia, il discorso dello shengshi è riemerso come oggetto di dibattito, sia per associazione alla success story ufficiale dell’ascesa della Cina, sia, in chiave sarcastica, per effetto del noto romanzo 盛世: 中国, 2013 (Shengshi: Zhongguo, 2013) di Chan Koonchung (陈冠中). Pubblicato a Hong Kong nel 2009 e immediatamente bandito nella Cina continentale (per quanto disponibile su internet), il libro è stato tradotto in inglese nel 2011 con il titolo “The Fat Years” – anche se una traduzione più letterale sarebbe “L’Età della prosperità: Cina, 2013”. Questo romanzo di satira politica si sofferma su come il potere egemonico possa confezionare la “realtà” e suscitare una sensazione di artefatta felicità e di benessere tra i sudditi. Il romanzo è stato associato ad altri romanzi distopici, come 1984 di George Orwell o Il Nuovo Mondo di Aldous Huxley, ma il romanzo di Chan è diverso nella misura in cui, provocando nel lettore almeno una “fitta di fastidio”, problematizza un’immagine unilaterale e adulatoria della Cina.
In una Cina immaginaria, nel 2013, la maggior parte dei cittadini è felice e soddisfatta, si gode la fortuna di vivere in un’“Età di prosperità” e non ha alcun ricordo delle avversità del passato. Ma c’è qualcosa di sinistro in questa generalizzata allegria accompagnata da una totale amnesia collettiva. Alcuni individui hanno la sensazione che si sia verificato qualcosa di strategicamente premeditato: nel 2009 il Leviatano cinese ha deciso di cancellare un mese intero dalla memoria della popolazione, per sostenere che l’inizio della crisi finanziaria globale ha coinciso con l’inizio dell’Età dell’oro dell’influenza cinese. Questo piccolo gruppo di spiriti liberi stranamente “infelici” è determinato a risolvere l’enigma che sta dietro alla Nuova Politica della prosperità, e a scoprire cosa sia successo in quel mese e perché chiunque altro sembri così felice. Il Dipartimento per la propaganda del Pcc ha intenzionalmente riscritto il passato per soddisfare le proprie esigenze contingenti e per convincere i cinesi che essi vivono ora nel “migliore dei mondi possibili” – grazie anche al carattere semidivino di un partito che è contemporaneamente “onnibenevolente”, onnipotente e onnisciente.
La Cina che celebra la sua Età dell’oro nel 2013? La Cina che esce “indenne” dalla crisi mentre i paesi occidentali sono in ginocchio? Il crollo del modello occidentale e il trionfo del “modello cinese”? Tutto ciò potrebbe sembrare familiare, e qualcuno potrebbe affermare che quel futuro non troppo lontano sia già nel presente. Ma è davvero così? In un’intervista, Chan Koonchung spiega che l’ispirazione a scrivere questo romanzo gli è venuta da un manifesto che ha visto in un ufficio postale di Pechino, con i caratteri Shengshi huadan (盛世華誕) a celebrare i “prosperi 60 anni della Rpc”. Chan sottolinea che la cosiddetta “prosperità” è costruita anche sul “rigido sfruttamento dei lavoratori migranti provenienti dalle campagne” e sulla “repressione”. Negli ultimi anni, il messaggio dell’ “Età dell’oro” della Cina è stato ampiamente declamato dal Pcc, in particolare durante le Olimpiadi di Pechino 2008, l’Expo di Shanghai 2010 e di nuovo nel 2011 in occasione delle celebrazioni per il novantesimo anniversario del partito. La sigla della cerimonia inaugurale delle Olimpiadi di Pechino era proprio “Siamo pronti”.
Il discorso dello shengshi è ormai presente ovunque e il termine compare in slogan tipici della stagione politica della coppia Hu- Wen come “armoniosa epoca di prosperità” (hexie shengshi 和谐盛 世). Il messaggio è che la Cina ha raggiunto un nuovo stadio di prosperità e ha sorpassato molti paesi sviluppati. Ma quanto è convincente questa “Epoca di prosperità” cinese? Nel suo provocante libro Chan cita il Candido, di Voltaire: proprio con Voltaire viene da chiedersi se, davanti all’affermazione che la Cina si avvia a realizzare il mantra “tutto è al meglio nel migliore di tutti i mondi possibili” non sia più sensato chiedersi: “Se questo è il migliore di tutti i mondi possibili, quali sono gli altri?”.
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