Le imprese italiane oggi intenzionate ad affacciarsi sul mercato cinese, o a consolidarvi la propria presenza, devono ripensare il proprio modello di business in un’ottica strategica più conforme alle caratteristiche assai eterogenee del mercato cinese, non solo a livello regionale, ma soprattutto a livello dei singoli centri urbani. Un recente studio condotto da McKinsey ha identificato 22 cluster urbani di dimensioni differenti, che includono circa 150 centri urbani “minori” (città con almeno un milione di abitanti) il cui contributo al Pil è in forte crescita. La segmentazione di McKinsey – effettuata sulla base di una serie di criteri quali la struttura dell’industria, la collocazione geografica, la demografia e il comportamento del consumatore – ha svelato l’esistenza di altrettanti sub-markets ancora poco presidiati dalle grandi multinazionali, ma estremamente promettenti per le piccole e medie imprese italiane. Le opportunità che esistono in questa fase sono molteplici e, in particolare, riguardano:
1) l’intensità del processo di inurbamento dei cittadini cinesi, e il conseguente aumento del potere d’acquisto delle classi medie: il China’s National Bureau of Statistics ha stimato che alla fine del 2011 circa il 51% della popolazione cinese è concentrata nelle città, superando per la prima volta il numero di residenti nelle zone rurali del paese. Il reddito pro capite urbano è aumentato del 14% rispetto al 2010 per un valore pari a 3,500 US$ con il duplice effetto di aumentare il costo del lavoro, ma anche la capacità di spesa del cittadino medio cinese. In aggiunta, aumenta la domanda di prodotti/servizi più sofisticati e di maggior qualità;
2) la presenza di un mass market non ancora sfruttato pienamente nelle città “minori”: se i grandi centri urbani cinesi (Pechino, Shanghai, Guangzhou, Tianjin e Wuhan) sono caratterizzati da una tipologia di consumatore molto sofisticato e ormai per molti versi “occidentalizzato”, e pertanto da un mercato relativamente saturo sul piano competitivo, i centri urbani più piccoli si differenziano per una brand awareness ancora poco diffusa e presentano un contesto competitivo più accessibile, in quanto non monopolizzato dalle grandi multinazionali cinesi e occidentali.
La frammentarietà e l’eterogeneità del mercato in Cina richiede quindi alle aziende che puntano a una penetrazione di medio-lungo periodo di adottare un piano strategico che dia priorità a specifiche città localizzate all’interno di un grande cluster urbano. Quest’ultimo va scelto in base alle migliori opportunità settoriali che vi sono racchiuse.
Ogni cluster urbano deve essere visto come un mercato a se stante e omogeneo, all’interno del quale le Pmi avrebbero l’opportunità di sviluppare più facilmente il proprio network distributivo, la supply chain, la forza di vendita, e le strategie di marketing finalizzate a presentare i prodotti/servizi ai consumatori locali. Un approccio “think global and act local” molto personalizzato sul cluster target potrebbe, se perseguito con successo, esser replicato in altri cluster urbani facendo leva sulla percezione del brand che l’azienda può costruirsi con pazienza ed accuratezza.
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