[Lessico Popolare] L’orrore del caos e l’imperativo della stabilità

Nella prima metà di febbraio, mentre il probabile erede alla presidenza della Repubblica popolare cinese (Rpc) Xi Jinping (习近平) era in visita ufficiale negli Stati Uniti, due avvenimenti hanno dominato la politica interna cinese.

Il primo è la vicenda di Wang Lijun, ex capo della polizia e vicesindaco di Chongqing, che il 6 febbraio scorso avrebbe cercato rifugio presso il consolato statunitense di Chengdu, per poi essere prelevato e condotto a Pechino dalle forze di pubblica sicurezza del governo centrale. Wang era il braccio destro di Bo Xilai, neomaoista in forte ascesa, che è stato rimosso dall’incarico di segretario del Pcc di Chongqing qualche giorno dopo l’arresto di Wang. La vicenda è stata vista come una manifestazione della lotta di potere in corso ai massimi livelli della gerarchia del Partito comunista cinese (Pcc) in vista del rinnovo della leadership nazionale che verrà deciso al diciottesimo congresso nazionale del Partito (previsto per l’autunno). Infatti Bo Xilai, artefice di una strategia volta a “colpire le triadi nere e cantare canzoni rosse” (打黑唱红) puntava a entrare nel Comitato permanente del Politburo (il massimo organo politico in Cina). La sua caduta in disgrazia segna una battuta d’arresto per i fautori del revival maoista.

Il secondo avvenimento importante è la pubblicazione di una “nota urgente” da parte dell’ufficio del Tibet della Commissione centrale per l’ispezione della disciplina del partito, secondo cui è un “momento cruciale per il mantenimento della stabilità” (维稳关键时) in Tibet e, per estensione, in tutta la Cina. La nota ha puntualmente legittimato la repressione militare contro i tibetani della contea di Aba, nella provincia del Qinghai.

Qual è il denominatore comune tra questi due avvenimenti? L’intensificarsi della sorveglianza, con l’obiettivo dichiarato di creare un ambiente sociale “armonioso e stabile”, che in realtà tradisce l’ossessione del partito per il mantenimento della stabilità – vale a dire il controllo interno – a qualsiasi costo. La stabilità è inestricabilmente connessa alla sovranità nazionale e all’integrità territoriale e viene presentata come conditio sine qua non per il “prospero futuro” della Cina. Come ci ricorda l’autore di Shengshi: Zhongguo 2013 (cfr. OrizzonteCina, febbraio 2012, p.11), “ci sono quattordici paesi con cui la Cina ha un confine terrestre, e sei con acque territoriali confinanti”. E questo senza tener conto del quadro più ampio, con le aperture a forte tasso retorico (o potente discorso egemonico?) della Cina verso altri continenti: “la Cina vuole promuovere la stabilità regionale in Africa, Medio Oriente, Asia centrale, Iran e Pakistan”.

In ultima istanza, il “mantenimento della stabilità” è cruciale per la proiezione universale del “racconto della Cina” (cfr. OrizzonteCina, dicembre 2011, p.11), dominato dall’immagine di una “Cina forte” secondo il sillogismo “mantenere la stabilità, difendere la sovranità, raggiungere la superiorità, perseguire la parità”. La stabilità è un obiettivo strategico del Partito-Stato che viene perseguito mediante specifici strumenti istituzionali, strutture burocratiche e pratiche di governo. La parola composta 维稳 weiwen è l’abbreviazione di 维护社会稳定 weihu shehui wending (mantenere la stabilità sociale), ma il nodo è nel rapporto tra società e politica poiché, secondo lo scienziato politico Yu Jianrong, il fine ultimo del 维稳 è il mantenimento dell’esclusività del potere politico del Pcc. Come sostiene acutamente Yu, “per i governanti la stabilità è sempre un obiettivo e una situazione ideale. Nella tradizione cinese, gli imperatori perseguivano l’ideale di un paese prospero, in cui il popolo vivesse in pace, come un tutto ordinato e armonioso”. Weiwen riassume quindi un discorso politico e ideologico sul mantenimento del potere, che si è sviluppato nel tempo ed è stato progressivamente incorporato in un ideale socio-politico rimodellato e reiterato dal Pcc. La notizia secondo cui il Partito ha inviato oltre 15.000 quadri per “praticare” weiwen in circa 5.000 villaggi della provincia dell’Hebei prima del congresso del Pcc dell’autunno – a un costo di oltre 30 milioni di euro – dà la misura dell’attualità di questo ibrido concettuale che è al contempo principio e prassi. Nei prossimi numeri di “Lessico Popolare” ne esploreremo ulteriormente la complessità.

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