Giovanni Balcet e Vittorio Valli (a cura di) Potenze economiche emergenti. Cina e India a confronto Il Mulino, Bologna, 2012
In Italia negli ultimi anni sono stati pubblicati alcuni best-seller aventi ad oggetto la Cina e l’India, due paesi a crescita sostenuta che insieme costituirebbero il nuovo “impero” del XXI secolo. Il libro che proponiamo questo mese, curato da due noti economisti dell’università di Torino, getta luce sullo sviluppo delle due potenze economiche emergenti attraverso un’indagine scientifica rigorosa (peraltro di godibile lettura), corredata da grafici, tabelle, regressioni. I contributi raccolti nel volume sono molto attenti alle criticità e alle distorsioni dei sistemi cinese e indiano, e dedicano ampio spazio al problema dell’iniqua distribuzione della ricchezza.
Già dall’introduzione dei due curatori emerge quanto sia fuorviante accomunare i due paesi in un unico mito: a fronte di quattro somiglianze, Balcet e Valli individuano quattordici differenze. Certamente si tratta di: due stati molto estesi e popolosi, con fortissime diseguaglianze interne; con economie a sviluppo rapido; entrambe in transizione verso una completa economia di mercato; e basate su apparati burocratici pesanti, con diffuse forme di corruzione. Tuttavia, il timing delle riforme è stato molto diverso, la struttura demografica e quella dei settori economici presentano profonde differenze, i sistemi d’istruzione divergono, i meccanismi di governance e gli assetti proprietari nell’industria riflettono le diversità dei rispettivi sistemi politici, il tasso di propensione al risparmio non è uguale e i sistemi finanziari non hanno raggiunto lo stesso livello di maturità.
Concentrandosi sulla “terza ondata del modello fordista di sviluppo”, Vittorio Valli mostra come sia l’India sia la Cina abbiano tratto beneficio dall’applicazione alle fabbriche del taylorismo, che porta alla crescita della domanda attraverso il circolo virtuoso delle economie di scala, dell’aumento della produttività, dei profitti, dei consumi, degli investimenti e delle esportazioni nette. Se è vero che la Cina ha approfittato di salari nominali più bassi di quelli di altri paesi in via di sviluppo, ha anche realizzato, grazie anche al capitale straniero e all’investimento in ricerca e sviluppo, un notevole avanzamento tecnologico, tanto che nel 2005 il 31% delle esportazioni di manufatti era in beni ad alta tecnologia. Valli rileva però che oggi l’economia cinese ha un problema di sostenibilità: se il tasso di crescita della produttività continua a essere dell’8%, una crescita del Pil inferiore all’8-8,50% comporterà un rischio di aumento della disoccupazione. In India, invece, il modello fordista ha interessato soltanto 200 milioni di persone (1/6 della popolazione), mentre il settore informale dell’economia, che ruota attorno alle microimprese, impiega il 90% degli occupati. Nel subcontinente indiano si registra inoltre un minore divario tra la produttività agricola e quella industriale, e il settore terziario (ad es., quello legato all’informatica) è più ampio. Valli ne conclude che mentre la Cina è la potenza emergente del presente, l’India potrebbe essere quella del futuro.
Gabriele Guggiola sottolinea come sia Pechino sia Nuova Delhi abbiano destinato la spesa pubblica più alla crescita che alla distribuzione. Donatella Saccone si occupa invece di istruzione e diseguaglianze, ricordando come il sistema scolastico cinese abbia quasi completamente sconfitto l’analfabetismo ma conviva con forti diseguaglianze nell’accesso all’istruzione terziaria, mentre in India un giovane su dieci è analfabeta e vi è una bassissima percentuale di studenti universitari. Giovanni Balcet, Silvia Bruschieri e Joel Ruet esaminano il variegato mondo dell’industria automobilistica cinese e di quella indiana, mostrando come abbiano acquisito tecnologie attraverso l’integrazione strutturata con i grandi produttori globali fino al punto di arrivare sulla frontiera tecnologica con l’auto elettrica (la Cina) e con quella a basso costo (l’India). Lino Sau evidenzia come entrambi i settori finanziari interni siano in transizione da sistemi bank-based a sistemi market-based, pur essendo quello indiano relativamente più sofisticato. Infine, Giovanna Garrone, Nadia Tecco e Elisa Vecchione trattano delle fonti energetiche alternative e dei problemi di governance ambientale, comparando le campagne in stile maoista e il ruolo delle Ong in Cina con l’influenza dei tribunali sulle scelte governative in India.
A voler proprio muovere una critica al libro, si può notare che altri argomenti avrebbero potuto trovarvi posto: le relazioni commerciali sino-indiane – sembra che non vi sia in realtà interdipendenza tra “la tigre” e “l’elefante”; il rapporto economico tra centro e periferia (che peraltro viene citato spesso come sfondo delle dinamiche politico-economiche); il ruolo svolto dal post-fordismo nella forma toyotista nello sviluppo del modello di produzione.
Anche se l’adeguata comprensione del testo richiede alcune nozioni storiche, politiche ed economiche di base sulla Cina e sull’India, Potenze economiche emergenti è un’ottima bussola per muoversi nel labirinto di due realtà complesse, al di là di facili slogan, semplificazioni e scorciatoie orientalistiche. Un solo avviso ai naviganti: se siete alla ricerca di un approfondimento su due importantissime realtà che, in ogni caso, condizioneranno l’economia mondiale del XXI secolo (nel 2030 il Pil cinese e indiano rappresenteranno il 34% di quello mondiale, pari a quello di Europa, Stati Uniti e Giappone messi insieme), salite a bordo – non ve ne pentirete; ma se cercate il mito di “Cindia”, cambiate rotta: questo libro non è per voi.
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