Come visto nei numeri scorsi, dopo la Rivoluzione culturale e ancor più dopo i fatti di Tienanmen nel 1989 il “mantenimento della stabilità” (weiwen, 维稳) è stato la principale preoccupazione dei dirigenti cinesi. Ciò è evidente non solo in chiave storica, ma anche nella quotidianità della politica cinese. Come dichiarato dal Primo ministro Wen Jiabao durante l’ultima sessione plenaria dell’Assemblea nazionale del popolo (5-14 marzo 2012), “ci troviamo ora in una fase critica. Senza un’efficace riforma politica […] i risultati raggiunti potrebbero andare perduti”. Alla vigilia del XVIII Congresso nazionale del Partito comunista cinese (Pcc), previsto per ottobre, questa dichiarazione segnala che la nuova dirigenza dovrà anzitutto garantire la continuità del monopolio del potere politico da parte del Pcc.
L’ontologia della politica ruota in Cina attorno al Partito- Stato e assume come verità assiomatica la legittima difesa della sovranità nazionale e dell’auto-determinazione. Nei periodi di successione politica queste priorità impongono l’elaborazione di nuovi slogan. Dall’anno scorso il vocabolario della “stabilità” si è arricchito del nuovo termine shehui guanli (社会管理). Questa espressione viene generalmente tradotta con “social management”, ma pare preferibile l’espressione “amministrazione della società”. “Management” ha spesso una connotazione negativa, derivante dalla logica economicistica e funzionalistica che il termine sottintende. Per contro, il concetto di amministrazione presuppone in cinese l’idea di “governance” e allude al principio fondamentale secondo cui il governo si prende cura del popolo. Secondo l’efficace metafora di Lao Zi, “governare un grande paese è come cucinare un pesciolino” (zhi da guo, ruo peng xiao xian, 治大國若烹小鮮). Nel governare (così come nel cucinare), le autorità devono agire con accorta benevolenza, prestando attenzione alle fragilità del “pesciolino” (ovvero il popolo).
In un primo momento gli studiosi sono stati colti alla sprovvista dal termine shehui guanli. Sembrava che un concetto del tutto nuovo fosse comparso improvvisamente nel discorso politico cinese. Un’analisi più attenta dimostra tuttavia che con il nuovo concetto si intendeva in realtà riaffermare, ancora una volta, la teleologia politica del “governo benevolo”.
Da un punto di vista teorico, shehui guanli va associato ai due concetti-chiave di “mentalità sociale” (shehui xingtai, 社会 形态) e “ordine statale” (guojia zhixu, 国家的秩序). Ma qual è la relazione tra di essi? La “mentalità sociale” della Cina contemporanea è oggetto di una serie di cinque editoriali pubblicati nella primavera del 2011 sulle pagine del Renmin Ribao (Quotidiano del popolo), l’organo ufficiale del Pcc, a firma del “comitato editoriale” del giornale. Maggio è sempre stato un mese critico nella storia cinese, dal famoso Movimento del 4 maggio nel 1919 al terribile maggio del 1989, quando a Pechino venne proclamata la legge marziale, seguita infine dalla brutale repressione del movimento studentesco il 4 giugno.
Nella primavera del 2011 le discussioni sulla mentalità sociale si spinsero al punto di considerare il possibile ruolo delle formazioni sociali. Sembrava aprirsi uno spiraglio in quella linea di controllo della stampa e repressione di studiosi e dissidenti emersa sin dall’8 dicembre 2008, con l’arresto di Liu Xiaobo per la sua partecipazione al manifesto Charta 08. Alcuni osservatori si chiesero allora se gli editoriali sibillini del Renmin Ribao andassero interpretati come un segnale di apertura, mentre altri si limitarono a liquidarli come cortina di fumo propagandistico. La risposta a questi interrogativi venne il 17 maggio, con un articolo (sito in cinese) pubblicato sulla rivista teorica Qiushi (求是, Cercare la verità) e intitolato – in linea con il pensiero di Mao Zedong, la teoria di Deng Xiaoping e i concetti di Jiang Zemin – “L’amministrazione della società non può cadere nella trappola della società civile” (Shehui guanli bu neng luoru gongmin shehui xianjing, 社会管理不能落入公民社会陷阱). L’autore, Zhou Benshun, è il Segretario generale del Comitato centrale per gli affari politici e giuridici (Zheng fa weiyuanhui, 政法委员会). Nell’articolo si chiariva che “il concetto di ‘amministrazione della società’ attualmente promosso dal Partito Comunista è volto a richiamare l’amministrazione della società da parte di agenzie di governo e organizzazioni strettamente connesse con il Partito- Stato, e non a devolvere responsabilità amministrative a organizzazioni sociali indipendenti.” L’autore – come molti conservatori – si dichiarava dunque contrario a dare troppa importanza alle “organizzazioni sociali”, termine con cui si indicano in cinese le organizzazioni non profit, le Ong e le organizzazioni della società civile. L’articolo avvertiva il Partito: “non si deve cadere nella trappola della società civile progettata (sheji, 设计) dai paesi occidentali”.
Nelle società occidentali è spesso considerato automatico che l’espansione delle formazioni sociali – in particolare quelle riconducibili alle classi medie – conduca ad un maggiore attivismo della società civile. Le classi medie portano nell’arena politica impegno, energia sociale e nuove aspirazioni, in primo luogo a favore di diritti culturali e democrazia. Ma in Cina tutto ciò rinvia al rompicapo della stabilità sociale e politica. L’articolo di Qiushi chiariva dunque che lo scopo principale dell’“amministrazione della società” è rafforzare la stabilità, contenere l’attivismo sociale, e dunque ostacolare l’emergere di una cultura dei diritti.
Il termine guanli implica un riferimento al razionalismo scientifico che il “governo benevolo” deve dimostrare nell’amministrazione del “grande paese”. Il sillogismo sottinteso a questo principio è il seguente: il governo si prende cura del popolo e, per il bene del popolo, governa l’intera società con metodo scientifico. In un certo senso questo è un tentativo di risolvere i problemi derivanti dalla “rule by man” (renzhi, 人 治), poiché per questa via si elimina il fattore della discrezionalità umana e si supera il dibattito tra “governare il paese con la virtù” (yide zhiguo, 以德治国) – il che a sua volta pone il problema di chi stabilisca cosa sia la virtù – e “governare il paese con la legge” (yifa zhiguo, 依法治国).
Nei fatti, i cinque editoriali pubblicati sul Renmin Ribao nel maggio del 2011 erano solo una cortina fumogena. Già il 21 febbraio 2011 lo stesso quotidiano aveva scritto che “il presidente cinese Hu Jintao ha auspicato una più efficace amministrazione della società e innovazioni in questo ambito che consentano di assicurare una società armoniosa e stabile (hexie wending, 和谐稳定) piena di vitalità”. Il giorno dopo, durante un seminario con funzionari di livello provinciale e ministeriale, Zhou Yongkang (membro del Comitato permanente dell’Ufficio politico del Pcc) sottolineava “la necessità di costruire un’amministrazione socialista del sistema sociale con caratteristiche cinesi, consolidare la posizione di governo del Partito e salvaguardare gli interessi fondamentali del popolo”. Da quel momento in poi, il nuovo mantra era “rafforzare e promuovere l’amministrazione della società” al fine di garantire la stabilità a lungo termine.
Il 25 giugno 2011 Hu Xiongdu, professore di economia all’Istituto di Tecnologia di Pechino, dichiarava: “Siccome non c’è una definizione chiara di ‘amministrazione della società’, le autorità locali tendono a utilizzare il pugno di ferro per il mantenimento della stabilità, ma la stabilità ottenuta in questo modo poggia sulla cima di una polveriera”. Queste considerazioni riecheggiano le recenti accuse mosse dall’“avvocato scalzo” Chen Guangcheng (ora negli Stati Uniti) sull’“illegalità della Cina”. Secondo Chen “in Cina non mancano le leggi, bensì la rule of law”: in ultima istanza, proprio questa illegalità è la principale minaccia alla stabilità politica.
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