[LA RECENSIONE] La Cina contemporanea

Ignazio Musu La Cina contemporanea Il Mulino, Bologna 2011

 

Non era facile condensare in sole 194 pagine il complesso percorso di trasformazione economica della Repubblica popolare cinese dal 1978 ad oggi: lode quindi a Ignazio Musu, che in questo libro presenta un grande affresco della Cina post-maoista. L’autore è un docente dell’Università Ca’ Foscari di Venezia molto attento alla dimensione sociale e storica dell’agire economico. Il volume si segnala non solo per l’ampio quadro storico, ma anche per la ricchezza dei dettagli che ne fanno un libro denso, in cui ogni singola riga è fondamentale, così come nei quadri del Canaletto l’immagine di Venezia è frutto della somma di tanti minuti personaggi, cose e animali, raffigurati nella loro unicità. E in tutto questo non c’è alcuna traccia di orientalismo: i riferimenti al confucianesimo, per esempio, si contano sulle dita di una mano.

Ignazio Musu osserva i pregi e i difetti della crescita economica cinese, dando ampio spazio alle criticità e alle distorsioni: in particolare, viene analizzato il problema dell’iniqua distribuzione della ricchezza (il coefficiente di Gini, che misura le diseguaglianze esistenti in una determinata società, ha raggiunto livelli sudamericani) e vengono osservate le ripercussioni negative di un sistema in cui una massiccia e inusitata quota del Pil è costituita dagli investimenti. Un altro occhio di riguardo è riservato alla “liberalizzazione, questa sì “selvaggia”, di tutta l’organizzazione dei servizi sociali, per molti aspetti molto più radicale di quella economica” (p. 9).

Evitare la trappola dell’orientalismo non significa scordarsi delle specificità storiche e culturali: il primo capitolo parte addirittura dall’epoca degli “stati combattenti” per sottolineare alcuni elementi di continuità nella storia cinese, a cominciare dal ruolo della burocrazia. Ci sono poi tutti gli ingredienti della “ricetta” economica cinese (dallo “sviluppismo locale” delle township and village enterprises al processo di insider privatization delle aziende di stato) di cui vengono sfatati alcuni “miti”: è vero per esempio che lo sviluppo è stato trainato dalle esportazioni, ma non si deve trascurare il ruolo fondamentale svolto dal capitale umano e dall’innovazione tecnologica; sul fronte degli squilibri internazionali, non è detto che una rivalutazione del renminbi porti a un aumento dei prezzi delle esportazioni (e a una conseguente riduzione dei volumi), poiché causerebbe al contempo l’aumento dei prezzi di molti beni intermedi importati e assemblati (per la ri-esportazione) in Cina. L’autore passa quindi in rassegna le grandi sfide che il paese deve affrontare: la realizzazione della società armoniosa, il dualismo tra città e campagna, i problemi del mercato del lavoro, l’invecchiamento della popolazione, la ristrutturazione del sistema pensionistico e sanitario. Un intero capitolo è dedicato allo sviluppo sostenibile, e quindi alla questione ambientale e a quella energetica, sulle quali Musu può vantare una notevole competenza, in quanto insegna anche economia dell’ambiente ed è presidente di TENCenter (Thematic Environmental Networks) della Venice International University.

Se ci si può attendere che la Cina “cercherà di apparire sempre di più come un ponte tra paesi sviluppati e paesi in via di sviluppo” (p. 194), la strada che porta ad un alto livello di sviluppo non misurato solo in termini di crescita del Pil è ancora molto lunga: come si nota nelle conclusioni, ad esempio, nell’indice di sviluppo umano dell’Undp la Cina occupa solamente l’ottantanovesima posizione, e nella classifica della performance ambientale stilata dall’Università di Yale si colloca addirittura al centoventunesimo posto.

In ultima analisi, la sfida cruciale che deve affrontare il paese è di natura politica. Riusciranno il governo e il partito a passare dalla legittimazione (basata sulla capacità di produrre ricchezza) e dalla repressione al consenso, in una società sempre più diversificata? Riuscirà Pechino a gestire senza traumi la più grande migrazione interna della storia? Nel 2030, infatti, la popolazione urbana rappresenterà il 65% della popolazione totale, e il 70% dei nuovi residenti urbani sarà costituito da lavoratori migranti. Come realizzare efficacemente obiettivi il cui raggiungimento, se solo si legge il nuovo piano quinquennale, la leadership ritiene (più o meno retoricamente) cruciale per la tenuta del sistema? Come evitare che “un eccesso di potere dei governi locali” tenga in ostaggio l’esecuzione di decisioni di cruciale importanza? Fino a che punto la corruzione può “funzionare” nel processo economico, e quando invece diventa un “fattore di erosione della fiducia della popolazione nei confronti dell’integrità” (p. 185) dei funzionari, arrivando a far perdere loro il “mandato del cielo”? Domande che attendono risposte…

La Cina contemporanea è in equilibrio perfetto tra sintesi e analisi e, in tempi di crisi economica, un libro di spessore che costa solamente 13 euro è un vero regalo per il pensiero, una bussola a prezzo di saldo per entrare nel labirinto cinese. Temiamo però che, purtroppo, il volume non sia destinato a diventare un best-seller, forse perché non ha un titolo “roboante” che faccia riferimento ai grandi nomi dei leader cinesi, noti nel vasto pubblico italiano ormai più come icone-pop che come figure politiche storiche. Pazienza: noi che l’abbiamo letto giungendo alla conclusione che si tratta probabilmente del miglior testo in italiano sull’economia cinese pubblicato negli ultimi anni, lo consigliamo a tutti, a cominciare dagli studenti.

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