Nel 1292 – come gli indonesiani imparano a scuola – Kublai Khan inviò una spedizione punitiva a Giava. Un emissario, inviato a Giava per richiedere il pagamento del tributo alla dinastia Yuan, ne aveva fatto ritorno mutilato. L’isola riuscì però a respingere l‘invasione cinese. La vittoria avrebbe segnato l’ascesa di Majapahit, l’impero che i nazionalisti indonesiani considerano antenato storico del loro paese. L’aneddoto serve a ricordare quanto sia lunga – in Indonesia – la storia dei timori verso la Cina.
Il disagio dell’Indonesia moderna verso il vicino settentrionale ha molteplici ragioni. Sin dallo stabilimento delle relazioni diplomatiche nel luglio 1950 – le prime tra la Cina comunista e un paese del Sudest asiatico – il sostegno di Pechino al Partito comunista indonesiano e le intercessioni a favore della minoranza etnica cinese presente nel paese furono per Giacarta motivo di forte irritazione. La svolta a sinistra dell’Indonesia nei primi anni Sessanta allineò momentaneamente i due paesi, ma il fallito colpo di Stato del 1965 – che sarebbe stato organizzato dai comunisti indonesiani con la complicità cinese – portò a un precipitoso deterioramento delle relazioni bilaterali. Mentre le forze armate indonesiane e i loro complici nella società indonesiana prendevano di mira i comunisti – veri o immaginari –, i legami diplomatici tra Pechino e Giacarta si rompevano nell’ottobre 1967.
Il successivo regime indonesiano – l’autoritario e repressivo Ordine Nuovo – faceva dell’anticomunismo la sua principale fonte di legittimazione: salvata la nazione dalla conquista comunista, il governo era ora vigile contro ogni tentativo radicale – vale a dire cinese – di sovversione. Le ripetute smentite cinesi di un coinvolgimento diretto nel colpo fallito del 1965 non ebbero effetto. Secondo l’Ordine Nuovo il legame tra la Cina comunista, la minoranza cinese in Indonesia – economicamente potente ma politicamente marginale – e il Partito comunista indonesiano – di fatto neutralizzato – continuavano a minacciare la sicurezza del paese.
Questa linea di inflessibilità precluse ogni progresso nel senso del ristabilimento delle relazioni diplomatiche, anche quando la Cina si sbarazzò infine della propria politica estera maoista e iniziò il processo di riforma economica nel 1978. Nel febbraio del 1989, però, in occasione del funerale dell’imperatore Hirohito a Tokyo, il ministro degli esteri cinese Qian Qichen incontrò il presidente indonesiano Suharto. Dopo anni di contatti soltanto in ambito economico si raggiunse un accordo sul pieno ripristino delle relazioni bilaterali: i legami diplomatici furono infine normalizzati nell’agosto del 1990.
Ci vollero tuttavia anni perché i due paesi superassero la sfiducia reciproca e comprendessero ciascuno ciò che l’altro aveva da offrire. Per la Cina l’Indonesia è cruciale per le dimensioni del suo mercato interno, per le risorse naturali che detiene e per la sua posizione strategica, passaggio obbligato per le importazioni cinesi di idrocarburi. Per l’Indonesia la Cina rappresenta come minimo un’opportunità economica, ma anche una leva per accrescere il proprio spazio internazionale e il proprio prestigio.
Dagli anni Novanta il sostegno cinese al regionalismo asiatico e l’attenta risposta di Pechino alla crisi finanziaria asiatica e alle gravi difficoltà che negli anni successivi avrebbero destabilizzato l’Indonesia, uniti alla charm offensive cinese verso i paesi del Sudest asiatico hanno contribuito al miglioramento delle relazioni sino-indonesiane. Oltre a modificare il contesto politico interno – non da ultimo con progressi nella posizione della comunità cinese all’interno della società indonesiana –, la transizione dell’Indonesia alla democrazia nel 1998 ha reso possibile una nuova politica di impegno attivo verso la Cina. Nel 1999 Abdurrahman Wahid, primo presidente indonesiano democraticamente eletto, è stato il primo leader del paese a visitare la Cina in oltre tre decenni. Questa politica di impegno attivo verso la Cina continua sotto l’attuale presidente Susilo Bambang Yudhoyono. Sullo sfondo di un interscambio commerciale in forte crescita, il presidente Yudhoyono e il presidente Hu Jintao hanno firmato nell’aprile 2005 un accordo di partnership strategica che mira a una cooperazione a tutto tondo in diversi settori, tra cui l’energia, la sicurezza e la difesa. Il volume del commercio bilaterale è cresciuto da 1,48 miliardi di dollari nel 1990 a 3,75 miliardi di dollari nel 1997, per raggiungere i 12,5 miliardi di dollari nel 2005. Nel 2011 la Cina è diventata il secondo maggior partner commerciale dell’Indonesia, con il commercio totale tra i due partner pari ormai a 49,2 miliardi di dollari. Per assicurare la prosecuzione di questa fase positiva, a marzo di quest’anno il presidente Yudhoyono ha compiuto una visita di stato in Cina.
Nonostante ciò, le relazioni sino-indonesiane presentano tuttora alcuni limiti. In Indonesia preoccupazioni di carattere economico e strategico potrebbero rallentare l’evoluzione dei rapporti con la Cina, esattamente come – in passato – i problemi interni hanno condizionato le relazioni bilaterali. L’Accordo di libero scambio Asean-Cina, che regola oggi l’interscambio commerciale tra i due paesi, non è gradito a tutti in Indonesia, a causa del sistematico avanzo commerciale conseguito dalla Cina, accompagnato dalla percezione che i prodotti cinesi stiano espellendo le manifatture indonesiane dal mercato interno. Da ultimo, la percezione che la Cina abbia giocato un ruolo nell’impedire all’Asean di adottare un comunicato congiunto al vertice di luglio a Phnom Penh alimenta sospetti sulle reali intenzioni della Cina nel Mar Cinese Meridionale. Se lasciate senza risposta, queste preoccupazioni potrebbero mettere a rischio il futuro delle relazioni sino-indonesiane.
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