[LA RECENSIONE] La Cina e la questione ambientale

Alessandro Gobbicchi, La Cina e la questione ambientale Milano, FrancoAngeli, 2012, pp. 229

 

Il tumultuoso sviluppo dell’industria in Cina negli ultimi trent’anni è avvenuto in presenza di sprechi e inefficienze nell’uso delle risorse primarie, lasciando alle generazioni future una pesante eredità in termini di inquinamento della terra, dell’aria e delle falde acquifere. Il paese è afflitto da una vera e propria “questione ambientale”, sempre più studiata da diverse prospettive. In questo filone di ricerca si inserisce l’interessante lavoro di Alessandro Gobbicchi, Visiting Research Fellow presso l’American University, Washington DC.

Articolato in sette capitoli, in realtà il libro è diviso sostanzialmente in due parti: la prima di matrice essenzialmente giuridica, la seconda più attenta ai risvolti politici e sociali. L’autore dedica infatti all’incirca metà libro all’esame dettagliato della normativa ambientale dal 1972 ai giorni nostri, esaminando istituzioni, leggi, regolamenti, rapporti ufficiali del governo e del partito, ma è nella seconda metà che la sua analisi – dedicata all’effettiva applicazione delle norme (la law in action, contrapposta alla law in the books), all’impiego degli strumenti fiscali e finanziari, alla percezione sociale del problema, e più in generale al discorso politico del governo – appare particolarmente originale e acuta.

Il disastro ambientale cinese ha costi umani impressionanti: ad esempio, apprendiamo che “le malattie causate dall’inquinamento” sono “il doppio rispetto ad altri paesi in via di sviluppo, che portano al 21.2% la percentuale di decessi causati dal solo inquinamento atmosferico” (p. 53). Nonostante il governo sia fortemente consapevole della necessità di affrontare con efficacia il problema, a volte “è il governo stesso a porsi contro la legge”, come avvenne quando si decise di costruire la diga di Zingpu “nonostante il parere negativo dell’Ufficio Terremoti”: nel maggio 2008 un sisma, dovuto probabilmente all’“eccessivo peso dell’acqua contenuta nella riserva”, causò 80.000 morti (p. 57). Le vittime dell’inquinamento non fanno rumore e notizia, ma dovrebbero farci invece riflettere sul significato dello sviluppo economico, e se abbia ormai senso misurarlo in termini esclusivi di produzione industriale e di consumo individuale (curiosamente, “lo shopping [è divenuto] un’abitudine che coinvolge i cinesi dieci ore alla settimana, contro le quattro degli americani”, p. 178). Peraltro, bisogna dire che se avessimo a disposizione le cifre dei danni alla salute subiti dai cittadini europei e americani nel periodo delle rivoluzioni industriali in Occidente forse potremmo vedere il dilemma cinese dello sviluppo e della qualità della vita in un’altra luce; inoltre, conosciamo fin troppo bene i disastri causati a casa nostra dal mancato rispetto delle perizie idrogeologiche.

Gobbicchi dedica ampio spazio all’inerzia dei governi locali nell’applicare le leggi centrali, laddove queste tendono a frenare la crescita: esiste “un modus operandi per il quale l’esistenza di una normativa costituisce solo un rumore di sfondo che non influenza direttamente il comportamento degli attori coinvolti, i quali mirano essenzialmente al perseguimento dei propri interessi” (p. 135). Nemmeno la diffusione dell’economia circolare (con il riutilizzo degli scarti del processo produttivo) o della green economy sembra avere la meglio di fronte all’imperativo della crescita: ad esempio, la Cina è il primo produttore al mondo di pannelli fotovoltaici, ma sapevate che “per la produzione di una tonnellata di polisiliconato, il componente principale, vengono prodotti più di quattro tonnellate di materiali chimici di scarto altamente tossici”? (p. 160).

In un contesto sociale in cui l’opinione pubblica sembra generalmente accettare i costi ambientali di uno sviluppo economico che ha prodotto crescente benessere, e limita le proprie proteste a singoli episodi locali di violazione della legge, il governo e il partito si sono abilmente impadroniti del discorso sull’ambiente, impedendo così che esso potesse essere sfruttato da potenziali sovvertitori dell’ordine costituito. L’autore parla, quindi, di “autoritarismo ecologico”: “il controllo del sapere consente la gestione dell’incertezza e in questo modo vincola la possibilità di stabilire nessi causali tra inquinamento e malattie limitando la possibilità, e la volontà, di azioni collettive” (p. 220). Il cantiere ambientale è tuttavia aperto, e sarà interessante osservarne gli sviluppi.

Anche se la scrittura è a tratti barocca, e l’eccessiva lunghezza di alcuni periodi rende la lettura non sempre agevole, soprattutto nella prima parte, La Cina e la questione ambientale è frutto di un ottimo lavoro di ricerca. Peccato per l’assenza di un indice degli acronimi, e di una bibliografia finale, che avrebbe reso più fruibile a fini di ricerca o di insegnamento la grande mole di citazioni e di riferimenti: il libro presenta infatti un impressionante apparato di note, che ne fa un testo rigoroso ed esaustivo, imprescindibile per coloro che a vario titolo in Italia sono interessati a questo argomento, così cruciale per i destini del pianeta.

Published in:

  • Events & Training Programs

Copyright © 2024. Torino World Affairs Institute All rights reserved

  • Privacy Policy
  • Cookie Policy