[ThinkINChina] FDI cinesi in Europa tra opportunità e criticità

ThinkINChina è un’“open academic-café community” attiva a Pechino, luogo di dibattito tra giovani ricercatori e professionisti di varia provenienza impegnati nello studio della Cina contemporanea.

 

A novembre il forum di ThinkINChina ha ospitato Zhao Changhui, senior country risk analyst presso la Export-Import Bank, per discutere di investimenti cinesi in Europa. Zhao ha inaugurato il suo intervento criticando le politiche di austerity che sono state promosse da diversi paesi europei come soluzione alla crisi finanziaria degli ultimi anni, ma che finiscono per colpire anche la Cina.

L’austerity, sottolinea Zhao, non solo deprime la crescita del Vecchio Continente ma contrae l’interscambio con Pechino attraverso i suoi effetti depressivi sulla domanda europea di prodotti cinesi e attraverso il calo degli investimenti diretti europei in Cina. Nei primi tre trimestri del 2012 il volume degli scambi commerciali tra la Cina e l’Eurozona ha subito infatti una flessione del 2,7% rispetto all’anno precedente, per un totale di 411 miliardi di dollari contro i 423 miliardi del 2011. Nello stesso periodo i 27 paesi dell’Unione hanno visto ridursi del 6,3% il volume dei loro investimenti in Cina, da 5,2 a 4,8 miliardi di dollari.

Secondo Zhao l’Unione europea (Ue) ha davanti a sé un futuro estremamente incerto in termini di ripresa economica, tanto che si è reso necessario un cambiamento radicale in materia di politica economica e finanziaria. Gli analisti cinesi sembrano abbastanza critici rispetto alle misure adottate dai paesi europei per fare fronte alla crisi. Ai loro occhi le manovre di politica economica varate dai governi dell’Ue si sono concentrate troppo sui problemi strutturali di queste economie piuttosto che sulla ricerca di un rimedio immediato ai problemi contingenti. Pechino al contrario ha combinato una politica di espansione monetaria a uno stimolo dell’economia fondato su programmi di investimento statali che si concentrano sul settore degli immobili e delle infrastrutture, controbilanciando così il declino degli investimenti.

Il risultato delle politiche economiche restrittive ispirate da Berlino è stato invece l’adozione di misure altamente impopolari e persino inefficienti, che hanno imposto ai cittadini e alle imprese europee una tassazione irragionevole e controproducente. Zhao sembra non essere l’unico di questo parere: poco tempo fa Jin Liqun, funzionario di vertice del fondo sovrano cinese (China Investment Corporation), si è pronunciato in termini piuttosto critici riguardo all’austerity europea in occasione della visita a Manila del direttore del Fondo monetario internazionale (Fmi) Christine Lagarde. Secondo Jin, i governi dell’Eurozona, e in particolare quello greco, stanno mettendo a dura prova la tolleranza della popolazione, rischiando così di far saltare l’intera manovra di risanamento.

Anche secondo Zhao i pacchetti di austerity adottati da paesi come l’Italia, la Spagna e la Grecia non hanno fatto altro che congelare l’attività economica e provocare ripercussioni negative sulla produttività nel lungo termine. Nelle sue parole: “quando si è seriamente malati è necessario pensare prima a guarire e poi a fare bodybuilding, non il contrario”. È quindi in un contesto di severa contrazione della crescita economica europea che si inserisce la penetrazione economica della Cina.

Come spesso ribadito dai leader cinesi, Pechino ha tutta l’intenzione di offrire il suo sostegno a Bruxelles e facilitare l’uscita dalla crisi dei paesi europei, ma il suo spazio di manovra è limitato, e le frequenti rassicurazioni della cancelliera tedesca Angela Merkel non sembrano essere sufficienti. La Cina ha tutto l’interesse a spendere parte del suo enorme surplus, soprattutto in vista di un deprezzamento del renminbi e nell’ottica di una diversificazione degli investimenti rispetto ai titoli di stato americani. Per adesso però, solo un quarto delle sue riserve estere, stimate intorno ai 480-600 miliardi di dollari, è detenuto in euro, anche a causa dell’elevato rischio creditizio associato ai 6.500 miliardi di euro in titoli di debito emessi dai governi dell’Eurozona per fronteggiare la crisi.

Al momento, l’impatto degli investimenti cinesi in Europa resta ancora limitato, anche se sta assumendo nuove forme e si prevede che segua un trend crescente. Da un iniziale focus sull’industria pesante e sulle infrastrutture, gli investimenti cinesi si stanno spostando gradualmente verso il settore dei servizi – la sanità, la finanza, i media –, e i settori infrastrutturali liberalizzati, prima di tutto le telecomunicazioni. Si tratta di una dinamica coerente con il piano Go global, la politica intrapresa del governo cinese per incoraggiare gli investimenti esteri delle imprese cinesi, soprattutto delle State Owned Enterprises (Soe). Introdotta nel 1999 con l’obiettivo di promuovere l’internazionalizzazione delle aziende nazionali e allentare i controlli sugli investimenti fuori dalla Cina, la nuova politica ha creato un sistema di sostegno tecnico e finanziario alla “go out strategy” di società come Chinalco o Lenovo. È poi stata incorporata nel decimo Piano quinquennale (2001-2005) e in particolare nel dodicesimo (2011-2015), che ha individuato nuovi settori-chiave nella tecnologia di fascia alta e nell’innovazione. D’altra parte però, come fa notare Zhao, per i cinesi non sempre è semplice capire i meccanismi interni all’Unione né le dinamiche dei rapporti tra gli Stati membri. A ciò si aggiungono alcune dispute commerciali irrisolte e il problema di una potenziale chiusura in senso protezionistico dell’Unione europea, che sarebbe particolarmente preoccupante per la Cina, soprattutto se letta in parallelo al ritorno sulla scena internazionale di pulsioni nazionalistiche di varia natura.

Agli occhi di Zhao l’azione della Export-Import Bank nei confronti dell’Ue segue logiche puramente economiche, completamente slegate da calcoli politici che rischiano invece di essere volatili e facilmente reversibili, come il caso libico ha dimostrato. Gli investimenti diretti, a differenza dell’acquisto di pacchetti azionari, sono per natura fortemente esposti ai mutamenti politici, in quanto difficilmente liquidabili in tempi brevi. Tuttavia, se, da un lato, le opportunità create dagli investimenti cinesi possono avere un effetto decisamente benefico sulla ripresa dei paesi europei, dall’altro esse possono anche influenzare negativamente il processo di integrazione europea, incentivando la competizione tra singoli paesi e inasprendo le spinte centripete in Europa, già aggravate dalla crisi finanziaria.

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