Giorgio Gomel, Daniela Marconi, Ignazio Musu, Beniamino Quintieri (a cura di) The Chinese Economy: Recent Trends and Policy Issues Berlin Heidelberg: Springer-Verlag 2013
Nel 2008, la regina Elisabetta II chiese a un professore della London School of Economics come mai gli economisti non fossero stati in grado di predire la crisi finanziaria del 2007. Molti comuni cittadini in realtà, con meno sangue blu nelle vene, si sono spinti al punto di chiedersi a che cosa servano gli economisti, se non riescono ad allertare i politici e l’opinione pubblica sui rischi incombenti di un sistema globale estremamente fragile.
Il libro curato da quattro economisti, di cui due in forze alla Banca d’Italia (Gomel e Marconi), uno all’Università “Ca’ Foscari” di Venezia (Musu), e uno all’Università di Roma Tor Vergata (Quintieri), costituisce una possibile risposta al quesito, seppure in un ambito molto più delimitato: in mezzo a tanti discorsi, spesso superficiali, sulla Cina e sulla sua possibile (temuta o auspicata) futura evoluzione, ecco qui undici robuste analisi condotte con rigore metodologico, dati, cifre, statistiche e regressioni che cercano di fare il punto sugli aspetti più controversi dell’economia cinese. Se non possiamo infatti pretendere che gli economisti abbiano la sfera di cristallo, possiamo almeno chiedere loro di aiutarci a valutare il presente e, come viene detto nell’introduzione, di continuare a migliorare gli strumenti di previsione macroeconomica.
Gli autori degli undici capitoli sono quasi tutti, con un paio di eccezioni cinesi, italiani di diversa affiliazione: oltre a ricercatori di Banca d’Italia e del mondo accademico, si registra la presenza di studiosi di una banca privata (Intesa SanPaolo), di un’associazione di categoria (Confindustria) e dell’ente statistico nazionale (Istat). Il libro raccoglie il materiale presentato a una conferenza organizzata nel novembre 2010 a Venezia dall’Università “Ca’ Foscari”, dalla Venice International University e dalla Fondazione Manlio Masi, ed è diviso in tre parti, dedicate rispettivamente alle questioni statistiche, ai cambiamenti demografici e al risparmio, e alle sfide e opportunità legate al coinvolgimento della Cina nel mercato globale.
A prima vista, la (molta) sostanza del volume non sembra presentare grandi novità: per prevedere il futuro andamento dell’economia mondiale, non si può ormai prescindere dall’Asia emergente; la raccolta dei dati statistici in Cina ha compiuto rilevanti progressi in termini qualitativi, ma molto resta ancora da fare; in un paese con un basso reddito pro-capite, e con una popolazione che invecchia, il fardello pensionistico potrebbe rivelarsi insostenibile; per ridurre la propensione al risparmio occorre ricostruire una parvenza di stato sociale; le esportazioni italiane hanno sofferto, più di quelle di altri paesi, la concorrenza delle esportazioni cinesi; l’evoluzione della coscienza ambientale ha influenzato la generazione di tecnologie verdi all’avanguardia; infine, c’è una classe media/medio-alta che presenta elevati livelli di consumo…
A un esame più attento, però, si scopre che la vera ricchezza del libro (d’altronde, ciò si conviene, in particolare per un testo accademico) sta nel processo di analisi dei fenomeni: attraverso l’uso di modelli, o l’elaborazione di dati statistici, ci viene dimostrato in che modo i trend suddetti siano corroborati dalla ricerca economica. Curioso è il capitolo in cui si evidenzia la particolarità delle imprese che esportano in Cina e in India: esse sono in media più ampie, più produttive e più innovative delle aziende che esportano altrove, una lezione questa particolarmente rilevante per il frammentato quadro produttivo italiano.
Qualche mese dopo avere ascoltato la regina porre quella famosa domanda, un gruppo di economisti e costituzionalisti le rispose, ricordando come, sebbene alcuni avessero suonato il campanello d’allarme su singoli rischi, “il fallimento nel prevedere i tempi, l’ampiezza e la severità della crisi e nell’intercettarla […] sia stato principalmente un fallimento dell’immaginazione collettiva di molte persone brillanti […] nel capire i rischi del sistema nel suo complesso”. Forse al testo che recensiamo questo mese manca questo, un capitolo conclusivo: riducendo a unità i variegati contributi, e alzando lo sguardo, i curatori avrebbero potuto cogliere l’occasione per offrire un quadro riassuntivo dei punti di forza e delle criticità dell’economia cinese, anche in un linguaggio meno tecnico, che avrebbe reso accessibile il testo anche a chi, pur non essendo un economista, dalla lettura paziente di questo volume dovrebbe trarre sicuro giovamento intellettuale per sviluppare le proprie ricerche o per elaborare strategie d’impresa.
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