Con il suo recente viaggio lungo quella che un tempo era nota come Via della seta, il Presidente Xi Jinping ha visitato le repubbliche centro-asiatiche, partendo dal primo partner della Cina per investimenti diretti: il Kazakistan. Xi ha ribadito con i fatti l’intenzione di proseguire una massiccia politica di investimenti nell’area, dove il solo Kazakistan raccoglie investimenti diretti esteri cinesi per un totale di 30 miliardi di dollari Usa.
Il discorso tenuto da Xi presso l’Università Nazarbayev di Astana ha posto l’accento sul rilancio dei rapporti economico-culturali che legavano l’Asia Centrale e la Cina durante il passato splendore della Via della seta, puntando alla rinascita di una Silk road economic belt. Centrale per il rilancio dell’area sarebbero il libero transito di merci, l’abbattimento di barriere doganali, la piena convertibilità delle valute e una modernizzazione delle infrastrutture logistiche.
La linea espressa da Pechino risulta in netto contrasto con la visione eurasiatica del Presidente russo Vladimir Putin, la cui Unione doganale – che include lo stesso Kazakistan – intende contrastare l’invasione di prodotti made in China nell’area.
Intanto la politica di sicurezza energetica intrapresa da Pechino negli scorsi anni in Asia centrale prosegue con maggior impeto, con il lancio del nuovo gasdotto Beineu-Bozoy-Shymkent, la cessione dell’8% dei diritti di estrazione nelle aree di Kashagan e di quelli off-shore nel Mar Caspio alla China national petroleum corporation (Cnpc) (cinque e tre miliardi di dollari Usa rispettivamente) e il recente accordo con il Turkmenistan per la fornitura annuale di 25 miliardi di metri cubi di gas.
Anche la tappa a Dushanbe del tour di Xi ha avuto l’energia come tema centrale. Il Presidente tagiko Emomali Rakhmon ha concordato sulla necessità di avviare al più presto la costruzione della tratta D del gasdotto che collega l’Asia centrale alla Cina.
Al tempo stesso, la volontà espressa da Rakhmon di instaurare un partenariato strategico con la Cina è in linea con le dichiarazioni del Presidente kazako Nazurbayev, che mira a portare a 40 miliardi di dollari Usa l’interscambio tra la Cina e il Kazakistan entro il 2015, mettendo in luce il futuro ruolo che lo yuan avrà rispetto al rublo nelle economie locali.
Anche in Uzbekistan, seconda tappa del tour centro-asiatico, gli investimenti infrastrutturali cinesi sono stati al centro degli incontri. La firma degli accordi per il potenziamento delle linee ferroviarie che collegano Kirghizistan, Uzbekistan e Cina e l’ambizioso progetto lanciato alcuni anni or sono per la connessione ferroviaria Uzbekistan-Pakistan-Afghanistan porteranno all’integrazione dei mercati attraverso treni e tunnel, destinati a divenire via d’accesso privilegiata per i manufatti cinesi nella regione. Inoltre è prevedibile che l’incremento dell’intercambio commerciale in tutta l’area avrà ricadute positive sul processo di stabilizzazione afghano, anche in vista del prossimo ritiro delle forze della Nato.
Per quanto concerne la sicurezza, la lotta al terrorismo e il contrasto al traffico di droga e armi sono rimasti in secondo piano durante i vari incontri bilaterali, ma sono stati discussi durante la riunione della Shanghai cooperation organization (Sco) tenutasi a Bishkek in Kirghizistan. La riunione della Sco ha dato inoltre la possibilità al presidente Xi di incontrare il presidente iraniano Rohani, che partecipa come osservatore: un’importante opportunità per discutere dell’apporto di Teheran alla sicurezza in Asia centrale e meridionale.
Ogni paese dell’Asia centrale è conscio di come ulteriori investimenti cinesi nell’area possano rafforzare l’influenza politica della Cina negli anni a venire, mettendo fine all’odierna politica multi-vettoriale di attrazione degli investimenti cinesi e di contestuale mantenimento dei legami con la Russia.
Mentre i paesi con abbondanti risorse naturali come il Turkmenistan, il Kazakistan e l’Uzbekistan hanno più potere negoziale sui termini degli investimenti diretti esteri cinesi, Tagikistan e Kirghizistan hanno margini di manovra ben più stretti. Questi ultimi due paesi hanno la necessità di mantenere le importazioni di prodotti cinesi a basso costo senza però compromettere i legami con la Russia, meta dei lavoratori migranti dalle cui rimesse dipende buona parte del prodotto interno lordo nazionale.
La stabilità dell’area è del resto fondamentale per le politiche di sicurezza cinesi sui confini occidentali del paese. La fragilità interna del Kirghizistan e del Tagikistan, la porosità dei confini ai traffici di droga e armi provenienti dall’Afghanistan, nonché l’imprevedibilità legata alla successione dei leader storici al potere in Uzbekistan e Kazakistan possono avere gravi ricadute sulla proiezione economica cinese. Nel contempo, una crisi in Asia centrale potrebbe alimentare i focolai di indipendentismo islamico nella provincia autonoma cinese dello Xinjiang.
L’impegno del leader cinese per l’integrazione logistica dell’Asia centrale favorirebbe l’inclusione commerciale dell’Afghanistan nel club della Sco, avviando un processo di stabilizzazione con ricadute positive al di fuori dei confini regionali. Nel frattempo, il vuoto di potere che si andrà a creare nel 2014 potrebbe nell’immediato stimolare una possibile cooperazione tra Kazakistan e Uzbekistan, consci che né la Sco né la Collective security treaty organization (Csto) a guida russa possono assumere il ruolo precedentemente giocato dalla missione Nato (Isaf). Nel breve termine, nonostante i notevoli investimenti cinesi nella modernizzazione del proprio apparato militare, lo strumento principale di Pechino per influenzare le sorti regionali resta ancora quello economico. La diplomazia economica cinese progredisce sulla strada dell’integrazione senza accennare a volersi sostituire alla Federazione russa nel monopolio della sicurezza: le Forze armate di tutte le Repubbliche centro-asiatiche continuano a condividere lingua, dottrina e attrezzature dell’esercito russo, retaggio della precedente Armata rossa. Nel frattempo l’impellente problema della sicurezza dei confini e delle infiltrazioni di guerriglieri di matrice islamica fa sì che rimanga in primo piano, anche sul piano retorico, la lotta a terrorismo, separatismo ed estremismo, senza che emerga però una strategia regionale comune a più lungo termine.
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