ThinkINChina è un’“open academic-café community” attiva a Pechino, luogo di dibattito tra giovani ricercatori e professionisti di varia provenienza impegnati nello studio della Cina contemporanea.
All’inizio di settembre, nel corso di un lungo viaggio in Asia centrale, il Presidente cinese Xi Jinping ha lanciato la proposta di una nuova “Via della seta economica” come spazio di cooperazione tra Cina e paesi dell’Asia centrale. Dopo poche ore, al “China Eurasia Expo” di Urumqi, China Telecom ha firmato un importante accordo con i governi russo, kazako e tagiko rafforzando il ruolo di Urumqi come capitale delle comunicazioni del corridoio euroasiatico. Nel frattempo, a Bishkek in Kirghizistan, si teneva il 13° summit della Shanghai Cooperation Organization (Sco) e Xi discuteva del problema siriano con Putin e gli osservatori iraniani.
In un altro sviluppo emblematico, all’inizio di ottobre la China national precision machinery import-export corporation – una controllata del governo cinese inserita nella black list del Dipartimento di Stato americano per i suoi affari con Iran e Pakistan – si aggiudicava un contratto storico di tre miliardi di dollari Usa per un sistema di difesa aerea da fornire alla Turchia, paese-chiave della Nato.
Non si tratta di episodi isolati, ma dello sviluppo progressivo della xijin (西进), l’espansione cinese verso il continente euroasiatico teorizzata nell’ottobre del 2012 dal prof. Wang Jisi in un influente rapporto del Centro di studi strategici e internazionali dell’Università di Pechino. Il professor Wang – ospite inaugurale dell’avvio della nuova serie di ThinkInChina – ha introdotto la sua idea di una nuova “Marcia verso l’Ovest” (traduzione fin troppo marziale del termine cinese xijin) partendo dalla geografia. Se per l’Occidente la Cina è Oriente – spesso estremo quanto il Giappone – per il prof Wang è “Centro”, ovvero punto di contatto tra Oriente e Occidente: lo Xinjiang la unisce al “Far west” europeo, il Tibet al subcontinente indiano e lo Yunnan al sudest asiatico.
La geografia politica spinge dunque la Cina al centro, mentre la sua demografia e la sua massa economica ne rafforzano il ruolo di equilibrio tra Est e Ovest, di congiunzione tra sviluppo e sottosviluppo: sospesa tra scarsità e abbondanza, la Cina tenta quotidianamente di sintetizzare esperienze e problemi degli estremi del mondo, per tradurli in una nuova concezione della modernità che possa consentirle di reggerne il peso.
Ed è questa dimensione continentale che il prof. Wang vuole riscoprire, per tradurla in un’azione strategica più bilanciata che ricalibri verso ovest l’eccessiva tensione posta sull’espansione marittima dalla Cina export-oriented.
La proposta di Wang non è affatto nuova nel dibattito in Cina, ma assume oggi nuova rilevanza alla luce di due elementi particolarmente significativi: il “Grande programma di sviluppo della Cina occidentale” (xibu da kaifa, 西部大开发) lanciato all’inizio del 2000 dal governo di Pechino per correggere la sperequazione dello sviluppo tra le zone costiere e quelle dell’interno; e il riequilibrio strategico degli Stati Uniti dal Medio Oriente all’Oceano Indiano e Pacifico voluto dall’amministrazione Obama. Nel primo caso si tratta di un importante indirizzo politico interno, particolarmente significativo per alcune aree di confine come lo Xinjiang, dove l’arretratezza e la mancanza di opportunità si combinano con i conflitti etnici tra Han e minoranze locali, alimentando spesso le cause separatiste. La “Via della seta economica” proposta dal Presidente Xi è dunque funzionale a questa logica, che combina sviluppo e sicurezza interna con una propensione all’espansione attiva verso una regione che sembra offrire spazi fruttuosi per il perseguimento degli interessi di Pechino.
Secondo Wang, infatti, il riequilibrio strategico americano verso il Pacifico rischia di entrare in collisione con la crescente presenza navale cinese in quelle aree e di aggravare ulteriormente le già esistenti tensioni con i paesi limitrofi alleati di Washington – come nel caso delle isole Diaoyu/Senkaku con il Giappone o nel Mar cinese meridionale con le Filippine.
In Asia centrale e in Medio Oriente, viceversa, la Cina può trovare spazi utili per il proprio sviluppo approfittando dell’assenza di un ordine regionale predeterminato e di meccanismi di integrazione economica preesistenti. Ciò peraltro consentirebbe ai rapporti tra Pechino e Washington di ritrovare la strada di una fruttuosa cooperazione fondata su una nuova solida piattaforma di interessi condivisi. Il ridimensionamento della presenza americana in Medio Oriente spinge la Cina ad attivarsi con maggiore dinamismo per il mantenimento della stabilità, rafforzando di conseguenza l’interesse americano a collaborare con Pechino.
L’Afghanistan sembrerebbe un caso esemplare: l’imminente ritiro americano e il pericolo del riemergere del radicalismo islamico ai confini della Cina hanno spinto il governo di Pechino a intervenire direttamente all’interno del paese – un intervento “creativo”, che modifica di fatto il tradizionale principio di non-interferenza cinese, come spiega nel suo ultimo libro il prof. Wang Yizhou, prossimo ospite di ThinkInChina. Nel settembre 2012 la storica visita a Kabul di Zhou Yongkang, capo della sicurezza cinese, ha avviato infatti l’impegno di Pechino per il finanziamento e l’addestramento delle forze di polizia afghane e nelle ultime settimane il governo cinese ha esteso il programma anche alle forze diplomatiche – con il coinvolgimento diretto proprio degli americani.
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