“Nel novembre 2016, quando attaccammo la “105-Mile Trade Zone” a Muse, al confine con la Cina, lo facemmo in parte per ragioni simili: volevamo che le persone sapessero. Perché il conflitto avviene nelle nostre aree, nelle foreste e sulle montagne, e di conseguenza le persone in altre zone non sanno ciò che accade qui e perché combattiamo”. Mentre ci sediamo a tavola per un tè, uno dei membri della leadership del Palaung State Liberation Front/Ta’ang National Liberation Army (PSLF/TNLA) traccia questo parallelo per illustrarmi il suo punto di vista a proposito del recente attacco all’Accademia del Genio militare di Pyin Oo Lwin[1], in Myanmar, perpetrato da una alleanza di tre organizzazioni etniche armate lo scorso Ferragosto.
L’eco dei conflitti armati che attraversano il lato birmano delle terre di confine tra lo Stato Shan e la Cina solo saltuariamente e parzialmente raggiunge l’orecchio della stampa nazionale, per non parlare di quello dei media internazionali normalmente sintonizzato su tutt’altre frequenze e latitudini. Dal punto di vista del PSLF/TNLA – l’odierna organizzazione politico-armata della popolazione Ta’ang che traccia le sue origini guardando indietro alla prima insurrezione del 1963 – tre obbiettivi giustificano il conflitto: la liberazione dei Ta’ang da tutte le forme di oppressione; la creazione di uno stato di autonomia Ta’ang; e il raggiungimento della pace tra il governo centrale e i vari gruppi etnici armati tramite la creazione di un sistema federale democratico. La prospettiva delle autorità centrali birmane invece pone l’accento sull’illegittimità dell’organizzazione, argomentando che le sue forze armate (TNLA) furono costituite dopo l’adozione di una nuova (autoritaria) Costituzione nel 2008 e in seguito ad una complessa traiettoria di intricate transizioni. Il fronte politico del PSLF infatti emerse nel 1992 dopo che, l’anno prima, il precedente gruppo politico-armato Ta’ang aveva deciso di accettare i termini di un cessate il fuoco imposto dal governo militare culminato poi con il disarmo ufficiale del 2005 e la creazione di una nuova forza armata da parte del PSLF nel 2009.
Nonostante tali eccezionali involuzioni ed evoluzioni, nel caso delle insurrezioni Ta’ang in Myanmar si può intravedere una sorta di ritmo circadiano, cadenzato da picchi di violenza armata organizzata e processi di militarizzazione dell’azione socio-politica, che evidenzia più in generale quello che è l’elemento carsico che caratterizza i conflitti armati nel Paese da ormai sette decenni, fatti di costanti ritorni e rimandi[2]. Cercando di assumere le prospettive da cui questi ritmi si generano, che cosa possiamo trarre dalle innumerevoli transizioni che diverse organizzazioni politico-armate delle minoranze etniche del Myanmar hanno sperimentato nella loro storia, al di là di facili commenti che dipingono esse e i loro conflitti come l’unico scoglio alla democratizzazione del Paese? Un occhio induttivo alle singolarità caratterizzanti le transizioni che hanno portato all’attuale conflitto tra Naypyidaw e il PSLF/TNLA può forse fornire qualche elemento per rispondere a questa domanda.
I conflitti più lunghi al mondo: militarizzazione, nazionalismo e delimitazioni territoriali
Prima di immergersi nel caso delle transizioni delle insurrezioni Ta’ang nello stato di Shan è bene rammentare brevemente come la capacità delle organizzazioni politiche a base etnico-nazionale di militarizzare le loro strutture sia stata spesso accompagnata da forme di nazionalismo estremizzato e dalla delimitazione di spazi fisico-politici da parte dello Stato.
I due principali fili rossi lungo cui i conflitti civili del Myanmar si muovono sono solitamente individuati tra il movimento di democratizzazione del paese e le forze armate del Myanmar (Tatmadaw) da un lato e, tra quest’ultime, la maggioranza etnica dei Bamar e una serie di popolazioni minoritarie dall’altro. Negli ultimi settant’anni le terre di confine del Myanmar tra India, Cina, e Thailandia sono state attraversate da una cacofonia di organizzazioni politico-armate delle minoranze rivendicanti uguaglianza e autodeterminazione all’interno di un complesso processo di formazione statale tutt’oggi in divenire. Con le autorità statali dominate dalla maggioranza Bamar che dipingono questo processo con i colori della “burmanizzazione” dal centro alla periferia, la finalità di costituire e preservare un ordine politico statuale è stata spesso sovrapposta alla creazione e al consolidamento della nazionalità birmana. Mentre negli ultimi decenni il movimento democratico di Daw Aung San Su Kyi ha catalizzato l’attenzione dei commentatori internazionali, la maggioranza di quest’ultimi ha faticato a mettere a fuoco le complesse lotte per l’uguaglianza e l’autonomia combattute dalle minoranze nelle aree di confine.
Al di là del Tatmadaw, tra le forze che operano nel Paese si annoverano una ventina circa di eserciti non-governativi – per un totale approssimativo di 80 mila elementi – e un ancor più impressionante numero di milizie con diversi gradi di connessione con l’esercito[3]. Una caratteristica chiave dei conflitti del Myanmar infatti è stata l’abilità delle organizzazioni etniche di porre in essere, mantenere e, a volte, resuscitare le loro forme di autorità e governo nelle zone di confine anche se con considerevoli fluttuazioni in termini temporali e/o spaziali[4]. Tale abilità è stata sorretta dalla disponibilità di fonti di armi, forniture e conoscenze militari a cui alcuni di questi gruppi hanno avuto accesso e dalla loro capacità di trasformare movimenti politici in strutture militari[5]. Trasformazioni che sono state legate a doppio filo ai contesti sociali ed economici particolari dei singoli movimenti, così come alle pratiche e strategie delle autorità statali, tanto birmane quanto transfrontaliere. Nei territori di confine le relazioni con le autorità centrali sono infatti rimaste complesse: qui la presenza statale o ha brillato per carenza di servizi, o si è manifestata tramite pratiche oppressive e marginalizzanti di proiezione dell’autorità in specifici siti di rilevanza economica, nelle aree urbane e lungo le principali arterie e infrastrutture.
Sin dai primi anni Duemila – quando fu avviata una transizione politica all’interno del regime militare dello State Peace and Development Council (SPDC) con il Generale Khin Nyunt come primo ministro – i governi centrali del Myanmar hanno cercato di spingere le organizzazioni etniche armate a navigare nella direzione opposta, ovvero verso la trasformazione in partiti politici ufficiali e l’integrazione delle loro forze armate sotto il controllo dell’esercito. Tuttavia, tali acque appaiono impraticabili per almeno due principali ragioni. Primo, esse rimangono all’interno del perimetro della Costituzione del 2008 che in combinato con altre leggi e politiche dell’Unione essenzialmente riperpetuano quella fusione tra processo di formazione dello Stato e creazione di un’identità nazionale unica e “birmanizzata”, assegnando inoltre al Tatmadaw il ruolo di paladino dell’unità del Paese nella realizzazione di tale progetto. Secondo, esse circumnavigano i principali punti di ancoraggio attorno a cui le richieste delle organizzazioni etniche armate e della società civile galleggiano, vale a dire, la possibilità di mantenere forze armate territoriali all’interno dell’esercito dell’Unione o quantomeno ottenere una riforma democratica del settore della sicurezza; la determinazione di entità territoriali autonome; e la decentralizzazione della proprietà fondiaria e delle strutture di governance nelle aree delle minoranze. Gli ostacoli davanti a cui le organizzazioni politico-armate si sono venute a trovare durante questi sbilanciati tentativi di transizione sono tanto politici quanto pratici e intrinsecamente connessi alla loro legittimità e abilità di governo.
Il cosiddetto processo di pace iniziato dal governo Thein Sein nel 2011, il quale ha portato poi al National Ceasefire Agreement (NCA) del 2015, è stato accompagnato da protratte offensive militari che hanno contribuito a mettere sotto pressione le organizzazioni etniche armate. Queste ultime infatti sono state chiamate a dimostrare la loro legittimità politica davanti alle minoranze etniche e alle loro autorità presenti sul territorio. Da un lato, ai gruppi politico-armati è stato richiesto di prendere parte all’NCA al fine di acquisire legittimità di fronte al governo e all’esercito e, dall’altro, il Tatmadaw ha continuato a esercitare pressione militare al fine di negare, destabilizzare, o delimitare la presenza territoriale di alcuni di essi – in particolare quelli che hanno rifiutato i termini dell’NCA e quelli che sono considerati illegittimi dalle autorità statali. In entrambi i casi, per le organizzazioni etniche armate la questione del controllo territoriale è emersa come elemento sempre più cruciale al fine di poter mantenere e dimostrare autorità e legittimità politica, la quale consente di rafforzare la posizione delle organizzazioni stesse come attori di governo alla luce delle loro posizioni autonomiste. In tali scenari, il territorio non va inteso in termini puramente materiali o geografici ma in modo più complesso. La ricerca e creazione di uno spazio territoriale in termini militari, fisico-materiali, così come nella sfera della politica formale è paradigmatica di più ampie dispute e negoziazioni che concernono gli spazi sociali e politici all’interno delle configurazioni di autorità e governance nello Stato del Myanmar. Dispute e negoziazioni che non si muovono solamente sui binari “centro-periferia” ma che hanno a che fare anche con le relazioni sociali tra i diversi gruppi etnici così come al loro “interno”.
Alla luce delle dinamiche generali qui brevemente illustrate, le specifiche transizioni e traiettorie delle insurrezioni Ta’ang – le sole a passare attraverso un processo di disarmo ufficiale e a riarmarsi negli anni successivi – appaiono particolarmente esemplificative.
Traiettorie e transizioni delle insurrezioni Ta’ang nello stato settentrionale di Shan
I Ta’ang sono una minoranza etnica appartenente al gruppo linguistico Mon-Khmer che vive principalmente nello stato di Shan in Myanmar, nella provincia dello Yunnan in Cina e nel nord della Thailandia, con comunità della diaspora in diverse aree di questi tre Paesi. Nel 1963 i Ta’ang – che la maggioranza etnica birmana identifica con l’esonimo “Palaung” – costituirono un primo movimento insurrezionale, il Palaung National Force (PNF), che nel 1976 si trasformò nel Palaung State Liberation Organisation/Army (PSLO/A) e sviluppò strette relazioni politiche e militari con il più noto Kachin Independence Organization/Army (KIO/A). Nei tre decenni successivi, il PSLO/A fu in grado di consolidarsi, divenendo un attore importante nel panorama insurrezionale dello stato settentrionale di Shan facente base nelle municipalità di Manton e Namhsan e con presenza nelle zone limitrofe, dal distretto di Kyaukme a quello di Namhkam.
Nel 1991 una parte della leadership del PSLO/A decise di accettare un armistizio imposto dal regime militare nonostante divergenze interne all’organizzazione. Sono due i principali fattori alla base della decisione di aderire all’accordo. Primo, il dispiegamento da parte dell’esercito della strategia contro insurrezionale cosiddetta “4-cuts” nei villaggi Ta’ang, specialmente nelle aree di controllo o influenza del PSLO/A[6], e la rottura interna all’alleato KIO/A che portò alla separazione con la 4° Brigata l’anno precedente e alla conseguente ostruzione del principale canale di accesso ai munizionamenti del gruppo. Secondo, la minaccia da parte del governo centrale di attuare sanzioni economiche contro le aree Ta’ang in combinato con la promessa di concedere autonomia economico-amministrativa all’organizzazione all’interno del territorio di circa dieci municipalità nello stato settentrionale di Shan. Non più tardi di un anno dopo, nel 1992, alcuni membri della leadership di PSLO/A insieme ad alcune nuove figure decisero di ristrutturarsi formando un nuovo fronte politico con base al confine tra Myanmar e Thailandia, a Manerplaw prima e Mae Sot e Chiang Mai poi. Al termine del cessate il fuoco, il PSLO/A e alcuni dei suoi membri ricevettero vantaggi marginali e concessioni economiche. Allo stesso tempo però, le promesse di autonomia non si materializzarono mentre l’esercito delimitava progressivamente la presenza del PSLO/A, costruendo nuove basi e avamposti e incentivando la formazione di milizie locali ad esso collegate nelle aree Ta’ang. Queste strategie economiche e militari furono cruciali nell’esaurire progressivamente le risorse sociali e politiche del gruppo, restringere il suo controllo territoriale e, da ultimo, creare un’area di virtuale autonomia per i Ta’ang, limitata alle municipalità di Manton e Namhsan. In parallelo, l’economia politica locale basata sulla coltivazione di tè e altre colture venne completamente stravolta in seguito alla liberalizzazione di fatto della produzione di oppio attuata dal governo militare accompagnata dalla proliferazione di milizie locali. Molte comunità nelle aree Ta’ang videro confiscarsi la terra o furono allontanate a seguito di tali processi tramite cui le autorità centrali consolidavano il loro controllo indiretto sulle zone rurali e occupavano fisicamente i principali centri e arterie.
La militarizzazione della regione e la creazione di milizie locali durante il periodo del cessate il fuoco generarono una sorta di zona cuscinetto attorno all’area di autonomia concessa con l’armistizio. Di conseguenza, quest’ultima venne progressivamente esclusa dalle potenziali opportunità economiche generate dal confine sino-birmano e dai network a maglie estese delle zone transfrontaliere. Tali sviluppi portarono inoltre a una riarticolazione del panorama delle autorità informali locali delle comunità Ta’ang nel nord dello stato di Shan. Un drastico aumento del consumo di stupefacenti si riverberò negativamente sui rapporti intrafamiliari e nella società Ta’ang, mentre la presenza di milizie – progressivamente radicate nel territorio come proiezioni dell’autorità statale centrale – contribuì ad alterare i rapporti di autorità intra e intercomunitari. Simultaneamente, da un lato, la legittimità e la presa concreta delle strutture di governance del PSLO/A sul territorio andava sgretolandosi e, dall’altro, sull’orizzonte politico non appariva nessun’altra valida alternativa in grado di incanalare le istanze politiche latenti nel tessuto sociale.
Nell’aprile del 2005 il PSLO/A decise, infine, di accettare le pressanti richieste di disarmo e smobilitazione del governo centrale, sebbene molti comandanti e membri decisero di non deporre le armi. Alcuni transitarono nei ranghi delle milizie locali affiliate al Tatmadaw, mentre altri nascosero le armi ma rifiutarono la decisione della leadership. Al confine birmano-thailandese, il disarmo ufficiale e lo smantellamento del PSLO/A, in combinato con la conseguente ulteriore militarizzazione delle aree Ta’ang e la protratta destabilizzazione del tessuto sociale ed economico, rappresentarono un duro colpo per il fronte politico del PSLF formatosi nel 1992. Un colpo che negli anni immediatamente successivi portò il PSLF a prendere la decisione di riarmarsi costituendo da ultimo il TNLA alla fine del 2009.
Dietro le quinte del riarmo: traumi ed esperienze passate, senso di (s)fiducia e/o opportunità?
Una complessa miscela di esperienze passate, senso di sfiducia e insicurezza nei confronti delle autorità centrali Bamar e delle organizzazioni etniche armate delle altre minoranze, accompagnata da nuove pressioni e opportunità nel contesto politico dello stato di Shan, furono alla base della decisione del PSLF di armarsi.
Alla creazione del TNLA nel 2009, non solo le rivendicazioni politiche alla base dei movimenti di protesta Ta’ang dei precedenti quarant’anni erano rimaste irrisolte ma, al contempo, le congiunture securitarie ed economiche successive all’armistizio erano venute a dispiegarsi in modo particolarmente violento, repressivo e destabilizzante sulle società Ta’ang. Lo sgretolarsi delle strutture informali di governo del PSLO/A, combinato con la militarizzazione ed occupazione del territorio, lasciò su molti un segno indelebile. Dal punto di vista Ta’ang, la cerimonia ufficiale di disarmo del 2005 in questo senso divenne l’epitome tanto della deprivazione di spazio sociale e opportunità di sviluppo sotto vari punti di vista quanto della perdita di sicurezza. Tali esperienze e percezioni erano legate a doppio filo con i fallimenti del governo centrale, il quale aveva mancato di tenere fede alle promesse fatte con l’accordo di disarmo. Queste mancanze avevano contribuito ad alimentare un certo diffuso senso di sfiducia nei confronti delle istituzioni statali Bamar, in particolare dell’esercito.
Inoltre, mentre la decisione di armarsi da parte del fronte politico del PSLF era maturata attraverso tali esperienze, cruciale per la costituzione del TNLA fu anche l’allinearsi di una serie di congiunture. Dopo la proclamazione della nuova costituzione nel maggio 2008, il Tatmadaw iniziò a esigere che tutte le organizzazioni etniche armate coperte da armistizi bilaterali concordati nelle decadi precedenti transitassero all’interno della struttura e sotto il controllo dell’esercito trasformandosi nelle cosiddette “Border Guard Forces” (BGFs) o “People Militia Forces” (PMFs). Pertanto, nel nord del Paese, quei gruppi politico-armati che si rifiutarono di accomodare tali richieste, come ad esempio il KIO/A o lo Shan State Progressive Party/Shan State Army (SSPP/SSA), vennero fatti oggetto di intensificate offensive militari a partire dal 2009. In questo contesto, la volontà del PSLF di creare una forza armata nelle aree Ta’ang nello stato di Shan si allineò con l’esigenza di KIO/A e SSPP/SSA di far fronte alle pressioni esercitate dal Tatmadaw. I primi considerevoli passi nella costituzione di TNLA infatti furono mossi tramite connessioni con ex-membri dell’ormai defunto PSLO/A e il supporto del gruppo armato Shan e di quello Kachin.
Negli anni iniziali di attività, fra il 2011 e il 2013, il TNLA fu in grado di affermare velocemente la sua presenza nelle municipalità di Namhsan, Manton, Namtu, Namhkan, e nelle zone più a nord di quelle di Kyaukme e Hsipaw. Nel consolidarsi a queste latitudini, il PSLF operò in diversi modi al fine di tracciare connessioni simboliche tra i suoi obiettivi primari (vale a dire, la costituzione di uno spazio di autonomia e autodeterminazione Ta’ang all’interno di uno stato federale), la formazione di una geografia auto-identificata della cosiddetta “Ta’ang Land” e il ruolo strumentale della neonata forza armata. Il TNLA re-istituzionalizzò i territori su cui il PSLO/A si era precedentemente innestato svolgendo attività di contrasto alla produzione e traffico di narcotici, mettendo in pratica meccanismi di tassazione e reclutamento e ricostituendo la sua presenza materiale tramite la creazione di basi e campi temporanei e mobili. Lungi dal dipanarsi senza contestazioni, queste attività spesso presero corpo in opposizione a o in sovrapposizione con quelle di altre organizzazioni etniche armate e/o milizie esercitanti autorità. Interessante notare come, all’interno della complessa morfologia sociale e politica degli scenari delle terre di confine dello stato di Shan, il riarmo da parte del PSLF/TNLA non fu un mero esercizio bellico-insurrezionale ma si focalizzò prima di tutto sulla creazione di istituzioni, connessioni con il tessuto civile e le società Ta’ang e il rafforzamento delle strutture di governance informale – sebbene tutto questo avvenisse tramite la militarizzazione dell’azione politica e il TNLA. Più che il controllo territoriale, fu l’istituzionalizzazione del territorio ad assumere un ruolo centrale.
Nel frattempo, nel 2015 il processo di pace del governo Thein Sein sembrava aver raggiunto una situazione di stallo. Infatti, dopo la conclusione di diversi armistizi bilaterali con varie organizzazioni etniche armate e dell’NCA nell’ottobre 2015, il Tatmadaw aveva intensificato le operazioni in Kachin e l’area settentrionale di Shan, incluse le aree Ta’ang. Qui l’esercito ha operato e tuttora opera tramite l’ausilio di una delle organizzazioni firmatarie del cessate il fuoco nazionale, il Revolutionary Council of Shan State/Shan State Army-South (RCSS/SSA-S), la cui forza armata agisce per procura ed è stata autorizzata informalmente a stabilirsi nel nord dello stato di Shan dalla fine del 2015. Data la composizione eterogenea delle comunità in queste aree, spesso composte sia da famiglie Shan che da famiglie Ta’ang, l’arrivo del RCSS/SSA-S ha avviato una riconfigurazione del panorama dell’autorità e governance locale. Il gruppo si è posizionato in maniera permanente sulle cime delle montagne e nei villaggi nelle aree Ta’ang, generando ulteriore conflitto interetnico con il TNLA e il SSPP/SSA.
Sul finire del 2016, in risposta a queste dinamiche politico-militari, diverse organizzazioni decisero di costituire una coalizione militare denominata Northern Alliance (NA), nella quale il TNLA figura insieme ad altri tre gruppi[7]. Tale mossa è da interpretarsi alla luce di un più ampio allineamento politico verificatosi dopo la conclusione dell’NCA che ha visto lo United Wa State Army (UWSA) – l’organizzazione etnica armata più importante del Myanmar – emergere come figura politica chiave per le organizzazioni che hanno rifiutato il cessate il fuoco nazionale. Un allineamento formalizzatosi poi nella creazione di un comitato politico di coordinamento denominato Federal Political Negotiation and Consultative Committee (FPNCC)[8].
In tutto questo, dalla sua formazione ad oggi, il TNLA è emerso come un attore chiave nella regione, riuscendo a ritagliarsi un considerevole spazio d’azione a ridosso di alcuni corridoi strategici nelle terre transfrontaliere dello stato di Shan. Le aree in cui l’organizzazione mantiene controllo e influenza rimangono sì periferiche, ma comunque a ridosso della Union Highway che collega Mandalay a Muse – la strada più trafficata del Paese attraverso cui si muove il grosso del commercio e dei carichi su ruota da e verso la Cina – così come alla zona di commercio frontaliera di Muse “105-Mile”. Inoltre, da Muse giù verso sud-ovest, lungo l’oleodotto Shwe, e verso sud in direzione di Kutkai, Hseni e Lashio, questi territori si trovano in posizioni cruciali sulle mappe dei progetti economico-infrastrutturali variamente sussunti sotto l’ombrello della Belt and Road Initiative (BRI).
Conclusioni
Le transizioni sperimentate dalle insurrezioni Ta’ang nel nord dello stato di Shan dagli anni Novanta ad oggi rivelano almeno tre principali punti riguardo all’impasse che caratterizza i conflitti civili del Myanmar, in cui nazionalismo, politica militarizzata e questioni territoriali sembrano essere indistricabili e mutualmente connessi.
Primo, non tutte le organizzazioni etniche armate utilizzano e controllano i mezzi della violenza, vale a dire le loro forze armate, per lo stesso scopo. Il controllo sui mezzi della violenza che questi attori esercitano può essere incardinato in processi di creazione di istituzioni informali, sia all’interno delle organizzazioni stesse ma anche e soprattutto in relazione alle società civili con cui il gruppo si interfaccia. In questo senso, se e quando il focus delle organizzazioni etniche armate si sposta dalla mera azione militare e controllo fisico del territorio allo sviluppo “sociale” ecco che si possono aprire spazi per modificare l’utilizzo del nazionalismo a base etnica come principale coordinata di azione politica. Porre l’accento sulla creazione di strutture di governance inclusive all’interno della società nelle aree di confine sotto il controllo o influenza delle organizzazioni etniche armate fornisce una valida opportunità per evitare concezioni nazionaliste estreme che invece sono legate intimamente alla creazione di confini, barriere ed esclusioni sociali. Tutto questo diviene particolarmente rilevante nel presente contesto di sfruttamento economico estrattivo che da tempo affligge lo stato di Shan, in cui opportunità economiche di stampo privatistico vengono generate a fronte di rivendicazioni rispetto alla proprietà e gestione della terra e degli ecosistemi locali.
Secondo, a fronte della mancanza di significative opportunità e servizi forniti dalle autorità centrali in modo equo e inclusivo, la creazione di network e interconnessioni tra attori non statali diviene il principale canale di diffusione della conoscenza e sviluppo delle capacità. Questo è vero per attori e forme di conoscenza di disparata natura, tanto organizzazioni della società civile quanto gruppi politico-armati. Pertanto, le compenetrazioni di questi diversi ambienti offrono svariate opportunità di fertilizzare gli uni o gli altri al fine di rielaborare questioni del conflitto apparentemente intrattabili come l’utilizzo del nazionalismo e della politica militarizzata, poste in essere in primis dal Tatmadaw.
Da ultimo, emerge chiaramente come il nazionalismo e la militarizzazione della politica non siano funzione unica della presenza repressiva delle autorità statali o della loro assenza in termini di governance e servizi, ma abbiano anche a che fare con le complesse interrelazioni tra i numerosi gruppi delle minoranze etnico-nazionali che vivono nelle terre di confine del Myanmar.
—
[1] Si tratta della Defence Services Technological Academy (DSTA).
[2] Francesco Strazzari utilizza il termine “carsico” per indicare le dinamiche di quei conflitti che – come l’azione dell’acqua sulle rocce idrosolubili nel fenomeno del carsismo – affiorano e tornano latenti, sparendo per poi riapparire con modalità irregolari.
[3] Le stime del numero di milizie presenti in Myanmar oscillano tra l’ordine delle centinaia e delle migliaia. La stima più alta riportata sarebbe di 5.023 gruppi per un totale di 180 mila membri, cfr. Min Zaw Oo (2014), Understanding Myanmar’s Peace Process: Ceasefire Agreements, Yangon: Swiss Peace, p. 33, disponibile online al sito https://www.swisspeace.ch/fileadmin/user_upload/Media/Publications/Catalyzing_Reflections_2_2014_online.pdf ; si veda anche Buchanan J. (2016), “Militias in Myanmar”, The Asia Foundation, disponibile online al sito http://asiafoundation.org/wp-content/uploads/2016/07/Militias-in-Myanmar.pdf.
[4] Smith M. (1999), Burma. Insurgency and the Politics of Ethnicity, London: Zed Books; South, A. (2017), “Hybrid Governance and the Politics of Legitimacy in the Myanmar Peace Process”, Journal of Contemporary Asia, 48 (1), pp. 50-66.
[5] Cfr. in particolare Smith M. (2007), State of Strife. The Dynamics of Ethnic Conflict in Burma, Singapore: ISEAS Publishing, pp. 15-20.
[6] La strategia contro-insurrezionale “4-cuts” consiste nell’adottare qualsiasi tipo di misura atta a tagliare le fonti insurrezionali di fondi, forniture, cibo e comunicazioni tra la popolazione civile.
[7] Il KIA, il Kokang Myanmar National Democratic Alliance Army (MNDAA), e l’Arakan Army (AA).
[8] Le organizzazioni parte del FPNCC sono il Kachin Independence Army (KIA), il Myanmar National Democratic Alliance Army (MNDAA), l’AA, il TNLA, il National Democratic Alliance Army (NDAA), l’(UWSA), l’SSPP/SSA-N.
—
“La (de)militarizzazione, il disarmo, e il controllo di armi e mezzi della violenza rappresentano questioni sociali ed economiche centrali rispetto agli eventi che in... Read More
Copyright © 2024. Torino World Affairs Institute All rights reserved