Intervista con Stefano Pelaggi. Stefano Pelaggi è Professore Aggregato di “Development and processes of colonisation and decolonisation” presso l’Università di Roma “La Sapienza”, attualmente in Myanmar per un periodo di ricerca. RISE l’ha intervistato per capire l’atmosfera che si respirava a Yangon durante la campagna elettorale e le elezioni democratiche dell’8 novembre 2015.
Qual è il lascito più importante delle prime elezioni libere in Myanmar?
La giornata delle votazioni in Myanmar ha rappresentato una svolta epocale per il Paese, al di là del trionfale risultato alle urne per la National League for Democracy (NLD): il corretto svolgimento delle procedure elettorali in tutte le regioni è un importante segnale per il futuro.
L’andamento del voto ha dunque rispecchiato le previsioni…
Gli analisti erano concordi nella previsione di un andamento sereno delle consultazioni: in fondo, gli investimenti stranieri e i fondi strutturali di sviluppo che hanno sostenuto l’incredibile crescita economica in Myanmar sono strettamente legati al lento processo di democratizzazione iniziato dalla giunta militare nel 2011.
Com’era il clima a Yangon alla vigilia delle elezioni?
Nei giorni immediatamente precedenti l’8 novembre, il ricordo delle elezioni del 1990, quando la NLD vinse in maniera schiacciante e il risultato non fu accettato dalle forze armate che diedero il via a una vera e propria dittatura, ha turbato i sonni di molti birmani. Molti testimoni diretti hanno rievocato i numerosi momenti cruciali nella storia recente del Paese in cui la speranza per un cambiamento politico era apparsa vicina e tangibile. Fino alla giornata delle elezioni queste speranze erano sempre andate perdute, perché si erano scontrate immancabilmente con ondate di repressione e vendetta nei confronti dei protagonisti diretti dei movimenti di protesta.
E per quanto riguarda la campagna elettorale?
La campagna elettorale si è svolta in maniera sostanzialmente corretta. In realtà, le dinamiche del voto in anticipo per i cittadini che erano impossibilitati a votare nella propria circoscrizione elettorale nella giornata di domenica hanno destato più di una perplessità, ma si trattava comunque di un numero esiguo di votanti. Una serie di arresti originata da messaggi satirici postati sui social networks ha mostrato come le aperture del regime fossero per certi versi limitate e circoscritte, mentre alcuni episodi di violenza politica a opera dei nazionalisti buddisti hanno esacerbato gli animi e alzato la tensione.
La tornata elettorale è stata giudicata “free and fair” tra gli altri dagli Stati Uniti, mentre Aung San Suu Kyi l’ha definita “not fair, but largely free”. Com’è stato monitorato il processo di voto?
Nel giorno delle elezioni centinaia di osservatori internazionali hanno monitorato lo svolgimento delle consultazioni in tutto il Paese, anche nei seggi più remoti, mentre migliaia di giornalisti accreditati si aggiravano tra le strade e i vicoli di Yangon. I festeggiamenti davanti alla sede della NLD di domenica 8 novembre, ancora prima della chiusura dei seggi, hanno sancito il libero esercizio di voto dei birmani.
Già la sera stessa era dunque chiaro che non ci sarebbe stato nessun colpo di coda da parte dei militari?
Nonostante la consapevolezza che l’esigenza di riconciliazione tra le parti e le manovre per direzionare e controllare il cambiamento nella vita politica del Paese rappresentano ora sfide cruciali per Aung San Suu Kyi e i quadri della NLD, in quel momento, davanti alle dichiarazioni di tutti gli osservatori internazionali e dei giornalisti che testimoniavano la correttezza delle consultazioni, i birmani hanno compreso che questa volta il cambiamento era finalmente compiuto e che era giunto il momento di festeggiare.
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