Il 15 febbraio 1942, il tenente generale Arthur Percival, comandante delle Forze imperiali britanniche di stanza in Malaya, si arrese all’esercito giapponese, ponendo così fine al drammatico assedio di Singapore durato una settimana. La caduta dell’“inespugnabile fortezza” britannica dell’Estremo Oriente generò un grande senso di shock in tutta l’Australia. Con l’ottava divisione fatta prigioniera e altre tre divisioni schierate in Medio Oriente, l’Australia appariva improvvisamente esposta a un attacco giapponese. Benché un’invasione da parte dell’esercito del Sol Levante non si sia mai materializzata, i policymaker australiani del Secondo dopoguerra trassero tre lezioni chiave da quella che il primo ministro britannico Winston Churchill definì come la peggiore sconfitta militare della Gran Bretagna.
Il primo insegnamento fu che Londra non avrebbe potuto, né tantomeno voluto, proteggere l’Australia ad ogni costo. La seconda lezione fu che solo gli Stati Uniti, in considerazione della propria notevole potenza militare, avrebbero potuto porre un argine efficace alle minacce regionali. Terzo insegnamento, forse il più importante, fu che la penisola malese e l’arcipelago indonesiano non potevano più essere considerati una barriera contro gli attacchi militari provenienti dal nord[1]. Con il Giappone completamente sconfitto nell’agosto 1945, nessuna minaccia imminente sembrava profilarsi nell’immediato sull’orizzonte strategico di Canberra, ma l’inizio della Guerra fredda alla fine degli anni Quaranta cambiò le carte in tavola. Tra il 1948 e il 1949, il Dipartimento Australiano degli Affari Esteri (DAE) cominciò a preoccuparsi seriamente dei crescenti disordini nel Sud-Est asiatico e della possibilità che la Cina potesse rappresentare un ostacolo nell’area. Sostenendo che nessun governo cinese avrebbe potuto trascurare il Sud-Est asiatico ricco di risorse dovendo quest’ultimo colmare la mancanza di risorse naturali della Cina, il DAE si attendeva che la presenza cinese nella regione sarebbe presto cresciuta, specialmente se le forze comuniste di Mao Zedong avessero avuto la meglio sul Guomindang di Chang Kai-shek nella Guerra civile cinese. Il punto di vista del dipartimento era che una Cina comunista avrebbe cercato di acquisire una quota sempre più cospicua di risorse dalla regione non tanto attraverso un’invasione militare, bensì tramite il metodo della sovversione, sfruttando la presenza considerevole di comunità di immigrati cinesi sparse in tutto il Sud-Est asiatico[2].
Le implicazioni strategiche di tale ragionamento apparivano ovvie. Se una potenza relativamente piccola ma ostinata come il Giappone aveva posto una seria minaccia all’Australia, perché mai una Cina ostile, con un grosso punto di appoggio nel Sud-Est asiatico, non avrebbe potuto fare lo stesso? Perciò, il DAE sollecitò il governo, allora guidato dal primo ministro laburista Ben Chifley, a prendere in considerazione le contromisure militari necessarie nel caso in cui il paese si trovasse coinvolto in un conflitto nel Sud-Est asiatico e, al tempo stesso, ad adottare una serie di misure tese, principalmente, ad andare incontro ai bisogni economici e di sviluppo della regione. In questo senso, l’idea di fondo era che solo grazie al progresso economico si sarebbe potuto porre freno alle sirene dell’ideologia comunista nella regione. Non tutti a Canberra, però, condividevano le valutazioni strategiche del DAE. Ad esempio, il Dipartimento della Difesa (DD) non riteneva che la sovversione comunista nel Sud-Est asiatico dovesse comportare il dispiegamento di un nutrito numero di forze militari australiane in quel teatro strategico. Fino a quel momento, il DD aveva sottovalutato la minaccia posta dalla Cina e riteneva invece che la sorte del Sud-Est asiatico sarebbe dipesa dall’esito di una guerra globale che vedeva contrapposti l’Unione Sovietica e gli Stati Uniti: un conflitto che, in ordine di probabilità, si sarebbe sviluppato in Europa, Medio Oriente ed Estremo Oriente[3]. Di conseguenza, le capacità militari dell’Australia dovevano essere dispiegate in Medio Oriente o altrove in Estremo Oriente, dove potevano risultare più utili a contenere le forze sovietiche[4]. Il DD, però, non aveva mai suggerito che il Sud-Est asiatico avrebbe dovuto essere abbandonato al proprio destino. Anzi, stabilì che ogni sovvertimento comunista doveva essere contrastato attraverso l’adozione di misure politiche ed economiche, in collaborazione con gli alleati dell’Australia[5].
In questa diatriba prolungata tra il DAE e il DD, l’esecutivo si trovò sulla stessa lunghezza d’onda del primo. In effetti, i ministri del governo federale non avevano mai condiviso l’impegno delle forze australiane per la difesa del Medio Oriente[6], né avevano, ad ogni modo, fretta di lanciarsi a capofitto in un impegno gravoso per la difesa del Sud-Est asiatico accanto ai britannici. Al contrario, chiarirono che la partecipazione alla difesa del Commonwealth britannico non implicava, da parte australiana, l’obbligo di impegnare risorse per la Malaya britannica[7]. Sebbene fosse preoccupato dal quadro di instabilità dell’Asia del Secondo dopoguerra e ansioso di lavorare a fianco della Gran Bretagna vista la perdurante riluttanza di Washington nell’ accettare un ruolo di primo piano nella difesa del Sud-Est asiatico, il governo laburista di Chifley non aveva intenzione di far da stampella alla traballante presenza coloniale britannica in quell’area. L’Australia appariva più incline a simpatizzare per i nazionalisti asiatici, a maggior ragione proprio in un periodo in cui era stata avviata la repressione olandese nei confronti degli indipendentisti indonesiani.
L’elezione, nel dicembre 1949, del governo della “Coalizione” (un’alleanza politico-elettorale di stampo conservatore formata dai partiti liberale e agrario) guidato da Sir Robert Gordon Menzies condusse presto ad un cambio di marcia australiano sulle questioni regionali. Del resto, le insurrezioni comuniste in Birmania (oggi Myanmar), Filippine, Malaya e Indonesia nel corso del 1948 – senza menzionare le coeve sollevazioni dei Viet Minh in Indocina – avevano già ampiamente dimostrato non solo quanto fosse concreto il rischio di rivolte in tutto il Sud-Est asiatico, ma anche quanto i movimenti comunisti locali fossero in grado di sfruttare a proprio favore le tensioni economiche e sociali che agitavano la popolazione[8]. Alle elezioni federali del 1949, la Coalizione si spese in un’intensa campagna anticomunista e si dimostrò particolarmente sensibile alla minaccia del comunismo internazionale[9]. Tuttavia, una volta entrato in carica, il nuovo governo, nonostante continuasse ad essere in apprensione per il quadro di incertezza che contraddistingueva il Sud-Est asiatico, diede priorità al Medio Oriente, visto come un’area di primaria importanza strategica nel contesto della Guerra fredda che si andava stagliando. Riguardo all’Unione Sovietica come principale minaccia alla stabilità internazionale, il governo considerava che ogni possibile conflitto futuro tra Mosca e l’Occidente non solo avrebbe avuto natura globale, bensì si sarebbe combattuto principalmente in Europa e in Medio Oriente. In tale contesto, l’esito della guerra in questi due importanti teatri avrebbe determinato il futuro del Sud-Est asiatico. Il governo Menzies era propenso a condividere le valutazioni strategiche britanniche sulla rilevanza del Medio Oriente nella difesa dell’Europa, rappresentando questa regione una base ideale da cui lanciare un contrattacco nucleare contro l’Unione Sovietica[10]. Quindi, nell’eventualità di una guerra globale, Canberra si mostrò incline a impiegare le proprie forze militari nel teatro mediorientale[11]. Ad ogni modo, almeno all’inizio, il governo operò abbastanza cautamente e si limitò ad accordarsi per sviluppare piani concomitanti di dispiegamento delle forze militari australiane in Medio Oriente o nel Sud-Est asiatico. Ogni decisione sulla loro destinazione finale sarebbe dipesa dalla natura della minaccia[12]. Solo nel dicembre 1951 Canberra prese la decisione di inviare rinforzi in Medio Oriente in tempo di guerra[13].
Nondimeno, dato che il pericolo di un conflitto globale tra i due blocchi si stava progressivamente allontanando e la guerra in Corea andava incontro a una fase di stallo, il governo Menzies riprese a focalizzarsi sul Sud-Est asiatico. I pianificatori militari australiani prevedevano allora una lunga Guerra fredda regionale che avrebbe richiesto un coinvolgimento più ampio da parte di Canberra[14]. Nel 1953, lo spettro di una crescita dell’influenza comunista nel Sud-Est asiatico, reso sempre più probabile da un tracollo francese in Indocina, accrebbe ulteriormente i timori dell’Australia. A Canberra, i ministri colsero la sfida. Nel settembre 1954, l’Australia divenne uno dei membri fondatori della South-East Asian Treaty Organisation (SEATO). Pochi mesi dopo, il Paese decise di inviare truppe in Malaya nell’ambito della “Riserva strategica del Commonwealth” a guida britannica e incrementò gli sforzi per assicurare un più significativo impegno statunitense alla difesa del Sud-Est asiatico, da quel momento oramai a tutti gli effetti la principale area di interesse strategico per l’Australia. L’adozione da parte del governo Menzies di una strategia di “difesa avanzata” in Asia, in collaborazione con i suoi più stretti alleati occidentali, rappresentò una tappa inedita nella storia australiana. In questo modo, l’Australia annunciò la propria disponibilità a garantire un più ampio coinvolgimento in questa regione.
Il crescente coinvolgimento dell’Australia nel Sud-Est asiatico avvenne in un contesto di rapidi e profondi cambiamenti a livello regionale. Quando la Guerra fredda si espanse in Asia, cominciò a prendere slancio in questa parte del mondo il processo di decolonizzazione. L’interazione di questi due importanti processi storici presentò una sfida rilevante per l’Australia e i suoi alleati occidentali, dal momento che non era fuori luogo ipotizzare che la fine della colonizzazione europea nel Sud-Est asiatico finisse per fare il gioco dell’Unione Sovietica e della Cina. Cosicché, se il Partito laburista aveva complessivamente adottato un approccio solidale nei confronti dei movimenti nazionalisti della regione, il governo della Coalizione assunse, comprensibilmente, toni ben più cauti[15]. Se dai banchi dell’opposizione Menzies era apparso ben poco favorevole alla prospettiva di autogoverno in Indonesia, lo fu ancor meno quando, una volta al governo, dovette prendere posizione sulla questione dell’indipendenza vietnamita. In seguito, alla metà degli anni Cinquanta, il governo Menzies reagì con qualche preoccupazione al nuovo piano di autogoverno disposto dai britannici per la Malaya e Singapore, sulla base del fatto che era destinato a condizionare in maniera considerevole la posizione strategica del Commonwealth su queste aree. Dato che gli australiani consideravano la difesa della Malaya una condizione essenziale per la difesa del proprio territorio e della regione più prossima, i ministri della Coalizione non poterono che essere in apprensione per le incertezze derivanti dalla marcia spedita della Malaya e di Singapore verso l’autogoverno[16]. E pur tuttavia, malgrado il suo approccio alla decolonizzazione fosse principalmente guidato da considerazioni di natura difensiva, la politica regionale portata avanti dalla Coalizione fu lontana dall’essere sfavorevole. Contrariamente all’opinione diffusa all’interno del mondo accademico australiano[17], l’approccio avuto dalla Coalizione fu, per necessità, sia prudente sia pragmatico. Prudente perché un Sud-Est asiatico comunista e decolonizzato non era né nell’interesse dell’Australia né avrebbe tantomeno apportato benefici alle popolazioni locali. Allo stesso tempo, può ritenersi pragmatico in quanto solo attraverso una strategia ben calibrata, centrata sulla deterrenza militare approntata dal sistema di sicurezza occidentale e sugli aiuti economici che l’Occidente inviava ai Paesi non comunisti della regione (ne era un esempio il “Piano di Colombo”), poteva rendere il Sud-Est asiatico sicuro nel contesto di decolonizzazione. E, più precisamente, fu grazie a questo approccio politico che l’Australia, nei due decenni che seguirono la fine della Seconda guerra mondiale, riuscì con successo a espandere e rafforzare i suoi legami politici ed economici con la sua regione limitrofa. Come annotato dai funzionari del segretariato indonesiano dell’Association of South-East Asian Nations (ASEAN) in un documento riservato compilato poco prima della visita del Premier laburista Gough Whitlam (1972-75) a Giacarta agli inizi del 1973, l’impegno australiano nella regione si era allora talmente intensificato che “la posizione dell’Australia e perfino il suo interesse nazionale non [potevano] più essere separati dalla regione del Sud-Est asiatico”[18]. Per un governo ancor oggi criticato negli ambienti accademici australiani per la sua (presunta) scarsa propensione verso il mondo asiatico, questo era tutt’altro che un riconoscimento di poco conto.
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[1] Benvenuti, A. (2017), Cold War and Decolonisation: Australia’s Policy Towards Britain’s End of Empire in Southeast Asia, Singapore: NUS Press, pp. 13-14.
[2] Horner, D. (2000), Defence Supremo: Sir Frederick Shedden and the Making of Australian Defence Policy, Sydney: Allen & Unwin, p. 272.
[3] Edwards, P. con Pemberton, G. (1992), Crises and Commitments: The Politics and Diplomacy of Australia’s Involvement in Southeast Asian Conflicts, 1948–1965, Sydney: Allen & Unwin, p. 55.
[4] National Archives of Australia, Canberra [da qui in avanti, NAA], A816, 19/301/1207, Burton to Prime Minister, 30 settembre 1948; Minute by the Defence Committee, 31 marzo 1949; JPC Report no. 10/49, 18 marzo 1949.
[5] Ibid.; NAA, A816, 19/301/1207, Minute by the Defence Committee, 31 marzo 1949.
[6] Edwards, P. con Pemberton, G. (1992), Crises and Commitments, cit., p. 13.
[7] The National Archives of the United Kingdom, CAB 21/9030, D(52)48, The Future of ANZAM. Appendix A: History of the ANZAM Region, 3 dicembre 1952.
[8] Sulle insurrezioni comuniste nel Sud-Est asiatico, si veda ad esempio Mason, R. (2009), “Revisiting 1948 Insurgencies and the Cold War in Southeast Asia”, Kajian Malaysia, 27 (1/2), pp. 1-9.
[9] Lee, D. (2006), Australia and the World in the Twentieth Century: International Relations since Federation, Melbourne: Circa, p. 92.
[10] Ivi, p. 93; Hack, K. (2001), Defence and Decolonisation in Southeast Asia 1941–1968, Richmond: Curzon Press, pp. 26-27, 76-80.
[11] Ivi, p. 79.
[12] Ibid.
[13] Ivi, pp. 80.
[14] Ivi, pp. 80-81.
[15] Sulla posizione dei laburisti, si faccia riferimento a Edwards P. con Pemberton, G. (1992), Crises and Commitments, cit., p. 14.
[16] Benvenuti, A. (2017), Cold War and Decolonisation, cit.
[17] Su questo punto, si veda Benvenuti, A. e Jones, D.M. (2011), “Myth and Misrepresentation in Australian Foreign Policy: Menzies and Engagement with Asia”, Journal of Cold War Studies, 13 (4), pp. 57-78.
[18] NAA, A1838, 3004/13/21/3 part 1, Material from the National Secretariat for ASEAN concerning Australian-ASEAN cooperation, 30 gennaio 1973.
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