I democratici birmani e le sfide del futuro

Quando l’8 novembre 2015 i birmani sono andati a votare c’erano grandi aspettative che elezioni libere e competitive avrebbero garantito una vittoria schiacciante alla Lega Nazionale per la Democrazia (in inglese, National League for Democracy, o NLD) di Aung San Suu Kyi. Il suo partito aveva svolto un’intensa campagna elettorale portando un messaggio di speranza e cambiamento in ogni angolo del Paese e insistendo sul fatto che solo un governo guidato dalla NLD avrebbe potuto portare a compimento il processo di democratizzazione. Tuttavia, nonostante la popolarità d ell’icona democratica Aung San Suu Kyi non fosse in discussione, forti perplessità riguardavano la qualità del voto così come il rischio che il sistema elettorale uninominale maggioritario secco potesse generare risultati poco chiari.

Gli analisti hanno avuto l’arduo compito di prevedere chi avrebbe avuto la meglio in assenza di sondaggi affidabili per valutare l’umore della nazione e alla vigilia del voto c’era un sostanziale consenso sul fatto che la NLD avrebbe ottenuto la maggioranza dei seggi nel voto popolare, ma che il Partito dell’Unione dello Sviluppo e della Solidarietà (in inglese, Union Solidarity and Development Party, o USDP) – una reincarnazione della vecchia dittatura militare – avrebbe almeno in parte mantenuto la propria influenza. L’USDP godeva, infatti, in quanto padrino della transizione post-autoritaria, dei numerosi vantaggi derivanti dall’essere al potere e poteva contare su un vasto supporto tra i vertici militari. Cercando di far leva su tale argomento, gli attivisti politici dell’USDP nel corso dei comizi pre-elettorali incitavano la popolazione a votare il partito che aveva deciso la fine del regime militare, ma lo slogan risultava sempre piuttosto debole, dato il forte risentimento popolare nei confronti della dittatura per le opportunità che aveva negato al Paese.

Alla fine, nel giorno delle elezioni la NLD ha annientato l’USDP, ottenendo anche una netta vittoria nella maggior parte delle aree popolate dalle minoranze etniche. Dalle montagne alle zone paludose, dal cuore del paese dominato dalla maggioranza Bamar alle sperdute regioni delle minoranze, il popolo birmano ha dunque espresso il proprio appassionato sostegno per la NLD. Il messaggio degli elettori è stato chiaro: i democratici di Aung San Suu Kyi rappresentano la scelta del popolo per la prossima fase di sviluppo del Myanmar. Contemporaneamente l’USDP è stato ridotto, in tutte le 16 assemblee legislative del Paese, a un’esigua rappresentanza e potrebbe non riprendersi. I politici dell’USDP che avevano im maginato un altro tranquillo mandato a Naypyitaw saranno ora costretti a cercarsi un impiego alternativo: una nuova generazione della NLD occuperà i loro seggi.

Questi neo-eletti parlamentari della NLD, per la gran parte relativamente sconosciuti anche ai loro stessi elettori, hanno di fronte una sfida in salita avendo ereditato problemi di natura economica, sociale, politica, costituzionale, legale, ambientale e strategica che metterebbero a dura prova anche il più efficace dei governi. Nel caso del Myanmar cinque decenni di regime militare hanno annichilito energia e creatività, lasciando un vuoto politico troppo spesso colmato dall’opportunismo e da una gestione erratica. Solo negli ultimi anni risposte più aggressive ed efficaci ad alcuni atavici problemi hanno iniziato a cambiare l’equazione, ma molto resta da fare in particolare per quanto riguarda le incancrenite linee di faglia etniche e religiose.

Il parziale accordo per il cessate-il-fuoco (Nationwide Ceasefire Agreement) firmato nell’ottobre 2015 è un buon esempio: mentre otto gruppi etnici armati hanno firmato la tregua, i più potenti eserciti ribelli (United Wa State Army, Shan State Army-North e Kachin Independence Army) ne sono rimasti fuori in attesa di capire chi avrebbe vinto le elezioni per intavolare i negoziati. Ciò costituisce una grossa responsabilità per la NLD che nei prossimi mesi e anni, forte dell’inequivocabile mandato popolare, dovrà riuscire a instaurare interazioni più pacifiche con questi cruciali gruppi etnici. A tal proposito occorre anche sottolineare il magro risultato elettorale dei partiti etnici, a lungo ritenuti seri concorrenti dei partiti politici nazionali in alcune aree. La maggior parte è riuscita a conquistare solo pochi seggi all’interno dei seggi dei parlamenti degli stati, e nel 2016 solamente 56 rappresentanti dei partiti etnici dovranno intraprendere il lungo viaggio verso Naypyitaw, mentre la maggioranza dei collegi elettorali delle aree etniche sarà rappresentata dalla NLD.

Per parte sua, la NLD ha superato le aspettative assicurandosi circa il 60 per cento dei seggi nell’Assemblea dell’Unione e oltre il 50 per cento nei 14 parlamenti degli stati e delle regioni in cui è diviso il Myanmar. Ciò significa che la NLD avrà un margine di sicurezza nell’Assemblea dell’Unione, che comprende le due camere del parlamento. Come previsto la NLD ha dominato nelle aree urbane di Yangon, Mandalay e Naypyitaw, ma il travolgente sostegno ottenuto nelle aree rurali e nelle remote municipalità delle minoranze etniche è stato sorprendente. C’è stata solo un’eccezione di rilievo a questo trend nazionale: lo Stato Rakhine, dove l’Arakan National Party (ANP) ha battuto sia la NLD sia l’USDP conquistando 22 seggi nell’Assemblea dell’Unione e 23 nel parlamento dello Stato Rakhine.

Lo Stato Rakhine sarà cruciale anche perché racchiude numerose sfide sociali e politiche, e Aung San Suu Kyi non potrà evitare serrati confronti. Restano, infatti, alte la conflittualità e l’esasperazione tra la comunità musulmana e quella buddista, particolarmente nell’area settentrionale dello Stato Rakhine. A causa della matematica elettorale la NLD è stata determinata nell’evitare di inimicarsi i buddisti nazionalisti, cosicché l’esclusione dei Rohingya e di molti altri musulmani dalle elezioni del 2015 ha rovinato quello che, sotto molti altri aspetti, è stato senz’altro un processo gestito egregiamente. Una divisione sociale così profonda e potenzialmente pericolosa necessiterà dell’intervento diretto di Aung San Suu Kyi e di una nuova strategia, se non vuole offrire ai propri nemici un’altra opportunità di minare il suo potere.

Dopo il trionfo della NLD anche le forze armate, che hanno goduto di decenni di primato politico, dovranno adeguare le proprie aspettative. Qualche autoritario vecchio stile potrebbe lamentarsi che l’esercito stia cedendo troppo e troppo in fretta, ma sembra che il Presidente Thein Sein e il Generale Min Aung Hlaing, Comandante in capo delle forze armate, siano entrambi pronti a sostenere un trasferimento di potere pacifico. Del resto, grazie a un vincolo costituzionale che non può essere facilmente smantellato, personale militare in uniforme continuerà a occupare il 25 per cento dei seggi in tutte le assemblee. Ci sono poi gli ostacoli costituzionali che precludono la presidenza ad Aung San Suu Kyi, la quale per precauzione ha ricordato al popolo del Myanmar che intende essere “al di sopra del presidente”, possibilmente con un ruolo non costituzionale di sua stessa creazione.

Dopo così tanti decenni di paralisi politica e il recente moto di esuberanza suscitato dalla c.d. ‘democrazia disciplinata’, un sistema genuinamente democratico è un terreno inesplorato per il Myanmar. Dato che l’elezione del presidente da parte del Parlamento si terrà probabilmente a inizio 2016 c’è ancora tempo per mosse e contromosse. Tuttavia appare plausibile che l’USDP e i suoi sostenitori nell’esercito si impegnino a rinunciare a gran parte del loro potere e a trasferirlo alla NLD. Milioni di persone hanno combattuto, per generazioni, per questo risultato e quindi le loro aspettative sono comprensibilmente elevate. Tuttavia per trasformare questo storico momento politico in un successo nazionale di lungo termine c’è bisogno di decisioni prudenti da parte di tutti.

 

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