L’avanzata delle forze politiche populiste in Europa è considerata uno degli sviluppi più importanti nella politica europea contemporanea. Secondo le stime del Guardian, il numero di cittadini europei che vive in un paese il cui governo comprende almeno un esponente populista è incrementato di 13 volte tra il 2008 e il 2018.[1] Si discute diffusamente del fatto che vari leader di formazioni politiche populiste sono entrati nelle assemblee locali, nei parlamenti nazionali e nel Parlamento Europeo, acquisendo sempre maggiore influenza. Tuttavia, “populismo” resta un termine ambiguo: esso è impiegato, sia dai policymaker che da politologi, essenzialmente per indicare una generica ideologia anti-establishment che in ultimo divide la società in due gruppi distinti – il “popolo puro” contro la “élite corrotta” – e che invoca una politica nazionale che rifletta la “volontà generale del popolo”.[2]
La ricerca sul populismo in Europa tende a concentrarsi sull’impatto dei partiti e dei movimenti populisti sulla politica interna dei paesi, mentre le implicazioni per la politica estera risultano meno approfondite. Nell’odierno mondo globalizzato, però, è sempre meno realistico concepire una dinamica politica nazionale come avulsa dal contesto internazionale. Le conseguenze dell’affermazione di agende politiche populiste in Europa sono significative per le relazioni regionali e internazionali. La Cina e l’Unione Europea insieme costituiscono fino al 10% del globo terrestre, il 25% della popolazione mondiale e un terzo del Pil globale. Pertanto, è di assoluta importanza comprendere l’impatto dei movimenti populisti sulle relazioni Cina-Europa: qual è il programma di politica estera delle forze populiste europee? Quale posto occupa la Cina nella loro elaborazione politica e nel loro discorso pubblico? Come sono interpretati i partiti e i movimenti populisti europei in Cina e quale posizione può assumere Pechino rispetto al populismo europeo? Sono questi i quesiti intorno a cui ruota questo contributo.
L’agenda politica del populismo è sempre stata di orizzonte fondamentalmente nazionale. Tuttavia, la crescente rilevanza delle questioni internazionali – globalizzazione e regionalizzazione, integrazione europea, immigrazione, commercio e rifugiati – porta le forze politiche populiste a influire in modo sempre maggiore sulle politiche estere dei rispettivi paesi. Sebbene non esista una “politica estera populista” omogenea, si può osservare una certa affinità nei valori e nelle pratiche ideologiche dei partiti e dei movimenti populisti in Europa. Nel complesso, il populismo offre una visione alternativa delle relazioni internazionali: non si riconosce nell’ordinaria rappresentazione del sistema internazionale, critica le istituzioni internazionali contemporanee e contesta le norme e le regole operative su cui esse si basano (ovvero l’“ordine internazionale liberale”) e che hanno prevalso a partire dalla fine della Seconda guerra mondiale.[3]
Sebbene tutti i partiti e i movimenti populisti affermino di rappresentare la gente comune, in contrapposizione con l’élite tradizionale, ed esprimano analoghe preoccupazioni circa l’erosione della sovranità nazionale e la necessità di difendere gli interessi nazionali, essi non perseguono politiche estere identiche. Differiscono, infatti, nella loro valutazione riguardo al ruolo della comunità internazionale, alla luce del quale distinguono il “popolo puro” dagli “altri”. A questo proposito, Verbeek e Andrej riconoscono quattro tipologie di partiti o movimenti populisti in base alle loro posizioni in materia di politica estera e alle loro ideologie politiche: forze rivolte a sinistra, esponenti di un credo liberale-mercatista, soggetti di ispirazione regionalista, populisti radicali di destra. Queste quattro espressioni del populismo europeo presentano orientamenti distinti sulle questioni di politica internazionale nel loro complesso, sull’integrazione regionale, sulle tematiche finanziarie, sul commercio globale e, infine, sulle migrazioni transnazionali.[4]
L’UE e la Cina sono soggetti di grande importanza l’una per l’altra: l’UE è il principale partner commerciale della Cina e la Cina è il secondo partner commerciale dell’Unione dopo gli Stati Uniti.[5] Sebbene gli investimenti diretti esteri (Ide) cinesi in Europa siano inferiori agli Ide europei in Cina, si è registrato un aumento a tassi di crescita senza precedenti fino al 2016.[6] Da allora, gli investimenti verso l’UE hanno iniziato a diminuire, calando del 33% nel 2019 per riportare il totale al medesimo livello del 2013. Tuttavia, si ritiene che gli Ide cinesi abbiano fornito importanti risorse per l’economia europea.
Nonostante la crescente influenza della Cina in Europa, i populisti europei non si sono tradizionalmente focalizzati su di essa in modo marcato. Tuttavia, quella cinese è un’area del mondo che sta acquisendo un’importanza sempre maggiore man mano che le relazioni sino-europee crescono e che le idee populiste appaiono più integrate nel panorama politico europeo. La Cina è oggetto di maggiore attenzione a causa della rapidità del suo sviluppo e del suo crescente potere, non di rado motivo di inquietudine per l’opinione pubblica europea. Il commercio e gli investimenti sono al centro delle relazioni tra Europa e Cina. In generale, sono due le posizioni principali nei confronti del commercio estero e degli investimenti in Europa: da un lato, l’idea protezionistica secondo cui i sistemi locali debbano rimanere isolati onde evitare una dipendenza da terzi e una perdita di posti di lavoro dovuta all’arrivo di immigrati; dall’altro una posizione favorevole alle logiche del mercato, secondo la quale gli Stati dovrebbero essere aperti al commercio internazionale favorendo mercati aperti e senza vincoli. I partiti populisti europei si affacciano a queste idee in modo diverso, con opinioni differenti su come gestire le squilibrate relazioni commerciali e di investimento dell’Europa con la Cina. Tali opinioni si sono riverberate sulla politica estera degli Stati europei e dell’UE nei confronti della Rpc, non generando tuttavia necessariamente conseguenze negative. È interessante notare che non si osserva un chiaro deterioramento delle relazioni tra Cina e Stati europei sotto i governi populisti. Al contrario, sono i paesi governati da partiti mainstream, a partire dai “tre grandi” (Germania, Francia e Regno Unito), a mostrare un crescente scetticismo sulle attività della Cina e sulla sua influenza economica in Europa.
In tutta Europa le opinioni populiste sono penetrate nel dibattito politico e hanno influenzato il discorso pubblico su questioni che spaziano dall’immigrazione al commercio internazionale. Fondamentalmente, il populismo europeo articola il diffuso timore di perdere il controllo sui destini nazionali. Le retoriche e le narrazioni della maggior parte dei partiti populisti in Europa sono articolate attorno al concetto di “riprendere il controllo” dei confini territoriali, dell’economia, della cultura, dell’identità, ecc. Una ramificazione dell’ascesa del populismo europeo è la crescente popolarità della questione cinese nella dialettica politica a livello nazionale e locale, non soltanto nei media, ma anche nell’azione di governo, con impatto sull’azione legislativa. Secondo il Pew Global Attidudes Survey, la maggior parte dei paesi non europei riconosce gli Stati Uniti come la principale economia mondiale, mentre solo in Europa è maggioritario il numero dei paesi che assegnano il primo posto alla Cina, in leggera prevalenza rispetto agli Stati Uniti (Figura 1).[7]
La diffusa consapevolezza tra la popolazione europea del potere economico della Cina è stata accompagnata da ampie discussioni sul ruolo internazionale della Rpc. Nelle arene politiche, il dibattito su come interagire con la Cina è stato spesso acceso. Alle elezioni del Parlamento Europeo del 2014 la vittoria di partiti come il Front National francese, l’Ukip e il Partito popolare danese ha portato a un “terremoto populista”. Tuttavia, come illustrato nella Figura 2, la Cina veniva discussa molto più frequentemente prima dell’ascesa dei partiti populisti di destra alle elezioni del Parlamento Europeo del 2014, con oltre 170 documenti legislativi relativi alla Cina sia nel settimo (2004-2019) che nell’ottavo (2009-2014) Parlamento Europeo, rispetto ai 128 documenti legislativi del nono Parlamento Europeo (2014-2019). Inoltre, i documenti che riflettono un atteggiamento positivo, neutro o negativo risultavano distribuiti quasi uniformemente. I partiti non populisti sembravano essere maggiormente negativi nei confronti della Cina: il Partito popolare europeo (29,4% dei seggi) e l’Alleanza progressista dei socialisti e dei democratici (25,4% dei seggi) erano responsabili di più della metà degli atti. I partiti populisti hanno assunto un quarto dei seggi, prendendo tuttavia l’iniziativa in meno del 15% degli atti legati alla Cina, laddove i conservatori e riformisti (9,3% dei seggi) erano responsabili per quasi l’8% degli atti totali. Nonostante leader europei come Jean-Claude Junker e Manfred Weber avessero preso una posizione dura nei confronti della Cina, criticando apertamente le attività economiche della Cina in Europa, i politici populisti al Parlamento Europeo non hanno giocato di frequente la “carta cinese”. Il “terremoto populista” alle elezioni del Parlamento Europeo del 2014 e la sua scossa di assestamento non hanno portato, quindi, a una svolta negativa dell’atteggiamento dell’UE nei confronti della Cina.
Guardando al livello nazionale, e al caso specifico dell’Italia, dalla XII legislatura del 1994, quando il Parlamento italiano ha prodotto il primo atto relativo alla Cina, fino alla fine del 2019, sono stati 308 gli atti oggetto di dibattito parlamentare[8]. Come illustrato nella Figura 3, il tema Cina è diventato sempre più caldo: il rapporto tra atti parlamentari e durata della legislatura è costantemente aumentato negli ultimi venticinque anni. Tuttavia, non è possibile trarre conclusioni chiare circa il ruolo delle forze populiste nell’incoraggiare od ostacolare le relazioni tra Italia e Cina. Sebbene l’attuale XVIII legislatura, che in origine ha espresso un Governo composto esclusivamente da partiti populisti (la coalizione tra Lega e Movimento Cinque Stelle), sembrasse rendere più probabile la produzione di atti negativi riferiti alla Cina, ciò non si è verificato. Le legislature che hanno espresso un orientamento più sfavorevole verso la Cina sono state quelle considerate “populiste lievi” o mainstream, in cui non è stato avviato alcun atto positivo, o in cui il rapporto negativo/positivo era piuttosto alto. Nel complesso, il Parlamento italiano nel primo decennio del XXI secolo ha assunto una posizione più negativa nei confronti della Cina, indipendentemente dal fatto che i partiti populisti fossero inclusi o meno nel governo. Ciò potrebbe avere a che fare con lo squilibrio nelle relazioni commerciali tra Italia e Cina a partire dalla fine degli anni Novanta, aggravatosi all’inizio degli anni Duemila in seguito all’adesione della Cina all’OMC (2001).
L’interesse verso la Cina è aumentato anche al di fuori delle arene politiche. Ad esempio, una semplice ricerca della parola “Cina” nella sezione “Notizie” di Google rivela che il numero di volte in cui la Cina è stata citata dalle principali agenzie di stampa internazionali è aumentato rapidamente da meno di 20.000 items all’inizio del 2000 a più di 300.000 alla fine del 2019. Sebbene la Cina non sia diventata un tema di attualità dominante nei media europei, la copertura mediatica sulla Cina è aumentata negli ultimi decenni, con il crescere dell’importanza delle questioni legate all’economia nazionale e al commercio internazionale.[9] Nimmegeers ha condotto una ricerca sulla rappresentazione della Cina su giornali e blog online britannici, olandesi e belgi, scoprendo che le argomentazioni relative alla Cina erano per lo più negative.[10] Queste fonti mediatiche tendevano spesso a sottolineare la questione della minaccia cinese e a concentrarsi sui grandi problemi della Cina piuttosto che sui suoi “grandi risultati”.
È bene sottolineare che, nel complesso, le percezioni del pubblico nei confronti della Cina hanno mostrato una svolta negativa nella maggior parte dei paesi europei dall’inizio del XXI secolo (Figura 4).[11] Il Pew Research Center ha sondato un campione di cittadini in undici Stati membri dell’UE nel 2019, rilevando che le opinioni sulla Cina nel complesso sono peggiorate in tutta Europa, con un 37% degli intervistati a favore e 60% a sfavore, registrando rispettivamente un calo del 5% e un aumento del 6% rispetto al 2018.[12] La percentuale di rispondenti che valuta positivamente la Cina è scesa di due cifre in quasi la metà dei paesi intervistati, tra cui Svezia (-17%), Paesi Bassi (-11%) e il Regno Unito (-11%). La diminuzione della percentuale a favore e la crescente percentuale a sfavore hanno coinciso con l’ascesa del populismo in Europa. Tuttavia, è difficile verificare l’esistenza di una relazione causale tra questi elementi. Ad esempio, i dati del Pew Research Center mostrano anche che le opinioni sulla Cina sono nettamente migliorate nei principali paesi populisti, come la Grecia e l’Italia. Inoltre, più bulgari, lituani e polacchi nutrono opinioni favorevoli che sfavorevoli sulla Cina.
Modificando i termini del dibattito sulle principali questioni (in particolare immigrazione, commercio e investimenti), i populisti hanno già esercitato un’influenza sulle politiche europee relative alla Cina. Alcuni governi populisti vedono favorevolmente il commercio con la Cina, gli Ide cinesi e la piattaforma 17+1 che è stata cooptata nella più ampia Belt and Road Initiative (BRI) cinese. Ad esempio, il governo populista italiano Conte I, scettico nei confronti dell’UE, ha elaborato una politica cinese senza precedenti e ha deciso di aderire alla BRI, nonostante l’opposizione di Germania e Francia, che hanno tentato di esercitare pressioni contrarie attraverso canali diplomatici.[13] Anche la cooperazione tra Cina ed Europa centrale e orientale (CESEE) sotto l’egida dell’iniziativa “17+1” ha continuato a svilupparsi negli ultimi dieci anni. Sebbene il populismo abbia avuto un profondo impatto sulla politica della regione, i paesi dell’Europa centrale e orientale sono stati generalmente ricettivi nei confronti della Cina. In Grecia, le élite politiche dichiarano apertamente di accogliere con favore la Cina, che riempie il vuoto lasciato dall’UE. Sotto il governo guidato dal Partito diritto e giustizia (PiS), la Polonia ha partecipato attivamente alla BRI ed è stata un membro fondatore della Banca asiatica d’investimento per le infrastrutture (AIIB)[14]. L’Ungheria vede la BRI come un modo per il paese di mitigare la sua dipendenza dall’UE e dagli altri Stati europei. Nell’ottobre 2016 il partito ungherese Fidesz, un partito populista ben consolidato guidato da Viktor Orban, ha annunciato la politica di “apertura verso est”, sottolineando il potenziale di una rete di infrastrutture che partono da Shanghai e passano attraverso la Russia, con il fine di collegare l’Europa orientale ai mercati asiatici.[15] La Bulgaria, guidata dal leader anti-establishment Bojko Borisov, ha ospitato il vertice Cina-CESEE 2018 a Sofia nonostante la contrarietà dell’UE.
Tuttavia, esistono molte questioni controverse tra la Cina e i paesi europei, comprese le preoccupazioni per i deficit commerciali, la protezione dei diritti di proprietà intellettuale, le condizioni di accesso al mercato cinese e le grandi fusioni e acquisizioni condotte da aziende cinesi. Per queste ragioni, altri leader populisti sono stati molto più scettici circa l’engagement tra Cina ed Europa. Ad esempio, in Italia, Umberto Bossi, fondatore della Lega Nord, considera le esportazioni tessili cinesi come una minaccia per il settore tessile italiano.[16] Di particolare importanza sono i partiti nazionalisti nei paesi maggiori come Germania, Francia e Regno Unito e l’effetto che potrebbero avere sul resto d’Europa e oltre. Marine Le Pen, a capo del partito di destra francese Rassemblement National (precedentemente noto come Front National), è stata molto critica nei confronti della Cina, descrivendo la crescente presenza della Cina in Europa come uno “tsunami distruttivo” in un comunicato stampa del Front National nel 2015.[17] Dopo anni passati a corteggiare legami economici più stretti con la Cina, l’UE e alcuni paesi europei hanno intensificato la propria retorica e le proprie politiche contro la Rpc. Come affermato nella comunicazione congiunta presentata nel marzo 2019 dalla Commissione Europea e dall’Alto Rappresentante dell’Unione Europea per gli Affari Esteri e la Politica di Sicurezza, Ue-Cina – Una prospettiva strategica, l’UE mira a rendere la sua strategia verso la Cina più realistica, assertiva e multiforme. I segni della crescente assertività dell’Europa nel trattare con la Cina possono essere colti nell’aumento del protezionismo commerciale, nello screening degli Ide, nel sospetto nutrito verso la piattaforma 17+1 e nel diffondersi del sentimento anti-cinese.
Il 25° Global Trade Alert Report mostra come la crescente assertività dell’Europa si sia tradotta in restrizioni al libero commercio.[18] I dati mostrano che il mondo ha assistito a un maggiore protezionismo commerciale negli ultimi dieci anni. Considerando l’UE come entità unitaria, un totale di quindici attori globali sono stati responsabili della maggior parte delle nuove distorsioni commerciali messe in atto durante questo periodo[19]. La Figura 5 presenta il numero di politiche discriminatorie attuate dai maggiori paesi europei a partire dal 2009. Sebbene Francia, Germania, Italia e Regno Unito siano diventate più protettive nella loro politica commerciale, la Germania ha adottato misure più discriminatorie di altri. Di fronte al rallentamento della crescita, gli Stati europei sono passati a una modalità più aggressiva e incentrata sullo Stato per proteggere i propri interessi nazionali.
Un altro indicatore della crescente assertività dell’UE sono i suoi strumenti di screening per gli Ide, che implicitamente hanno preso di mira le acquisizioni condotte da imprese cinesi. Negli ultimi anni molti governi europei, tra cui i “tre grandi”, hanno istituito o intensificato il loro regime di screening degli Ide, aumentando il controllo sulle fusioni e acquisizioni estere in ragione dei potenziali rischi per la sicurezza nazionale.[20] Nell’aprile 2019 è entrato in vigore il meccanismo di screening degli investimenti esteri dell’UE. Un anno dopo, la Commissione Europea ha ulteriormente esortato gli Stati membri ad aumentare il controllo sulle offerte straniere per l’acquisizione di partecipazioni in società europee. Rispecchiando queste preoccupazioni, il governo tedesco ha approvato la 15ª bozza di emendamento al Regolamento sul commercio estero e sui pagamenti, che amplia notevolmente la portata dell’intervento del governo al fine di proteggere le sue risorse e tecnologie critiche. Anche Francia, Italia, Spagna e Regno Unito hanno introdotto nuove misure per migliorare lo screening degli investimenti esteri[21].
Sebbene la Cina non sia la destinataria esplicita delle misure, il quadro di screening intensificato è visto come una scelta in gran parte guidata dal desiderio di evitare fusioni e acquisizioni di società europee da parte di entità cinesi, che è la principale forma di investimento cinese in Europa.[22] Gli Ide cinesi sono cresciuti in modo significativo fino al 2016: fusioni e acquisizioni di successo includono l’acquisizione da parte di COSCO (China Ocean Shipping Company) di una quota di maggioranza nel porto più grande della Grecia, il Pireo, l’acquisizione da parte di Geely della London Electric Vehicle Company nel 2013 e l’investimento nella casa automobilistica tedesca Daimler. Il rafforzamento dei meccanismi di screening degli Ide in Europa ha interrotto questa tendenza crescente. I governi europei hanno bloccato o impedito le acquisizioni cinesi che avrebbero dato agli investitori accesso a tecnologie critiche, informazioni sensibili o influenza su infrastrutture strategiche, ripetendo quanto avvenuto in occasione dell’acquisizione da parte di Midea del produttore avanzato di robotica tedesco Kuka.
Un terzo segno della crescente assertività dell’Europa osservabile nella politica estera verso la Cina è il crescente sospetto nutrito verso la piattaforma 17+1.[23] Diversi paesi dell’Europa centrale e orientale hanno mostrato freddezza e persino ostilità verso la Cina, in particolare nel 2020. Nella Repubblica Ceca guidata dal populista Andrej Babiš, il Consiglio comunale di Praga ha approvato un accordo di gemellaggio con Taipei dopo la “rottura” con Pechino nel marzo 2020[24]. La visita a Taiwan del Presidente del Senato ceco ha inasprito ulteriormente le relazioni della Repubblica Ceca con la Rpc, che considera Taiwan come una Provincia ribelle.[25] A maggio, il Ministro degli esteri lituano ha invitato Taiwan a ricandidarsi quale osservatore presso l’Organizzazione mondiale della sanità, a dispetto del parere contrario di Pechino[26]. Lo stesso mese, il governo rumeno ha annullato un accordo con la China General Nuclear Power Corporation per la costruzione dell’unica centrale nucleare del paese a Cernavoda.[27] Dopo gli Stati Uniti e il Regno Unito, anche Repubblica Ceca, Estonia, Grecia, Lettonia, Polonia e Romania hanno indicato che utilizzeranno fornitori diversi dalla società cinese Huawei nelle loro reti 5G. Tali tendenze non sono di buon auspicio per le relazioni della Cina con i paesi dell’Europa centrale e orientale.[28]
Infine, i movimenti populisti in Europa hanno già contribuito all’indurimento delle politiche di immigrazione, all’aumento del nazionalismo e persino della xenofobia. Come risultato di questa ondata populista, l’Europa sta chiudendo i propri confini e costruendo muri, riducendo le opportunità di immigrazione. Una conseguenza indiretta e forse implicita di questo cambiamento è l’aumento del sentimento anti-cinese che si ritiene abbia avuto un impatto sulle condizioni di vita dei cinesi in Europa in diversi modi.[29] Il Report of the State of Overseas Chinese ha stimato che il numero di cinesi continentali immigrati in Europa è aumentato da 50.000 negli anni Ottanta ai 3 milioni di oggi, la maggior parte dei quali sono nuovi immigrati. Il Regno Unito è il più grande paese ospitante (circa 700.000), seguito da Francia (circa 60.000), Italia (35.000), Spagna (20.000), Paesi Bassi (16.000) e Germania (16.000). Secondo un sondaggio sui residenti cinesi in diversi paesi europei condotto dall’Institute of Overseas Chinese dell’Università di Jinan nel 2018, in media il 45,5% degli intervistati ha percepito un aumento del sentimento anti-straniero. L’intensità di tale sentimento appare fortemente correlata all’influenza dei movimenti populisti nei vari paesi: gli intervistati in Italia, Francia e Spagna percepivano questo sentimento più intensamente rispetto alle controparti nel Regno Unito e nei Paesi Bassi. Ad esempio, il 70% degli intervistati in Italia ha riferito che le proprie condizioni di vita erano peggiorate e l’80% di essi ha riferito di aver subito discriminazioni sul lavoro o a scuola. [30]
Le forze populiste presentano nuove sfide per la Cina nella gestione delle sue complesse relazioni con l’Europa. In primo luogo, l’ascesa del populismo preoccupa la Cina in due sensi. Da un lato, le forze populiste e anti-establishment hanno frammentato la politica europea e hanno contribuito ad accrescere incertezze e rischi che la Cina deve affrontare. In particolare, il nazionalismo populista ha costituito un nuovo fattore che influenza le valutazioni da parte della Cina rispetto ai propri rapporti con l’UE e con i paesi europei. Preoccupa la tendenza dell’Europa a diventare più nazionalista, protettiva, isolata o addirittura caotica. La Cina è fermamente contraria al protezionismo, denunciando i governi protezionisti come una minaccia all’ordine internazionale. D’altra parte, la Cina ha una comprensione limitata dei movimenti populistici di per sé, e in particolare delle loro implicazioni per le relazioni Cina-Europa (soprattutto sulla questione dirimente se i populisti europei siano amici o nemici della Cina).
Queste incognite hanno spinto gli studiosi cinesi a condurre varie ricerche sul populismo in Europa. Dal 1990 all’agosto 2020 nel database CNKI (China National Knowledge Infrastructure), la più grande biblioteca accademica online in Cina, è possibile trovare un totale di 501 pubblicazioni accademiche relative all’argomento. Tuttavia, la crescita esponenziale della ricerca non si è verificata fino a tempi recenti. Come mostrato nella Figura 6, alla fine degli anni Novanta la ricerca sul populismo europeo era estremamente limitata. Fino all’inizio del 2010 sono stati pubblicati in media meno di 10 articoli accademici all’anno. Questo numero è salito a 48 nel 2016 dopo l’apice della cosiddetta crisi dei rifugiati in Europa. Dopodiché, è maturata un’ondata di pubblicazioni sul populismo nel 2017 (141 articoli pubblicati) a seguito del voto sulla Brexit, evento che ha messo seriamente in dubbio l’integrazione europea. Anche se vi è stato un calo nel 2018, le pubblicazioni sono poi risalite a un livello elevato nel 2019. Pochi temi inerenti alla politica europea hanno ricevuto tanta attenzione da parte degli studiosi cinesi quanto l’ascesa del populismo negli anni passati. Tuttavia, gran parte della ricerca si è concentrata sulla natura e sulle dinamiche elettorali dei partiti populisti, mentre le implicazioni del populismo europeo sulle relazioni Cina-Europa rimangono sotto-esplorate.
Non possono non destare preoccupazione presso la dirigenza cinese i sentimenti anti-globalizzazione e anti-multilateralismo che spesso accompagnano i movimenti populisti. La Cina persegue una politica di apertura, favorevole alla globalizzazione e al multilateralismo, tutti obiettivi in larga misura non condivisi dai populisti. Sebbene finora i partiti populisti europei, e in particolare quelli attualmente al potere, sembrino essere molto pragmatici e si siano impegnati a promuovere buoni rapporti con la Cina, la loro retorica e il loro programma anti-globalista e protezionista potrebbero in effetti andare contro gli interessi della Rpc.
Essendo uno dei principali motori della globalizzazione nel mondo, la Cina è anche preoccupata dal fatto che i movimenti anti-globalizzazione in Europa, spinti dai populisti, possano avere effetti a cascata in altre parti del mondo, da sempre sensibili alle dinamiche europee. Nel complesso, orientarsi nelle relazioni Cina-Europa in tempi di populismo è una sfida complessa per Pechino. Che l’era populista implichi difficoltà per il governo cinese è dimostrato anche dal trend crescente dei progetti sostenuti dal National Social Science Fund of China (NSSFC), concepito per finanziare ricerca ai massimi livelli scientifici e strategici sullo sviluppo economico e sociale della Cina e sulle sue relazioni internazionali.[31] L’NSSFC non ha iniziato a finanziare ricerca su temi relativi al populismo europeo fino al 2010. Negli ultimi dieci anni ha fornito sostegno finanziario a 73 progetti, passando da pochi progetti all’anno negli anni Duemila a più di dieci progetti all’anno nel 2010. Come mostrato nella Figura 6, le pubblicazioni accademiche che beneficiano del sostegno finanziario della NSSFC hanno raggiunto il massimo storico di 32 progetti nel 2019.
L’Europa è ben lungi dall’essere unita su un’ampia varietà di questioni, incluso l’engagement con la Cina. L’UE, così come i governi nazionali europei, ha adottato un approccio frammentato e incoerente nei confronti della Rpc. Complicando la ricerca del consenso e l’elaborazione di compromessi, l’ascesa del populismo acuisce ulteriormente tale frammentazione e incoerenza sia nell’UE che tra i paesi europei. Tutto questo presenta significative sfide per la Cina, che fatica a orientarsi nelle relazioni sino-europee. Tuttavia, l’impatto del populismo sulla politica estera dell’Europa nei confronti della Cina non dovrebbe essere né esagerato, né ignorato. La posizione generale che i partiti populisti adottano nei confronti degli investimenti e del commercio cinesi è positiva nella maggior parte dei paesi, ma recentemente ha preso una svolta negativa tra attori importanti come Francia e Regno Unito. Fortunatamente, finora, i populisti in Europa non hanno eccessivamente concentrato le proprie energie sull’articolazione di un discorso critico nei confronti della Cina. Il governo cinese ha sottolineato che, in linea di principio, la Cina non intende essere coinvolta negli affari interni di alcuno Stato sovrano ed è pienamente impegnata nella cooperazione internazionale indipendentemente dall’orientamento ideologico delle sue controparti straniere. Pertanto, Pechino non si oppone all’approfondimento dei legami economici e politici con i governi populisti europei che desiderano sviluppare ulteriormente le proprie relazioni con la Rpc. Nella visione della Cina, la cooperazione internazionale sino-europea non si limita alle questioni economiche, ma mira anche a promuovere comprensione e fiducia reciproche, creando un clima positivo per consolidare le basi delle relazioni bilaterali e multilaterali. Il governo cinese auspica che tale tentativo possa aiutare a resistere alle tentazioni del protezionismo a cui sovente si richiama il populismo, e ad alleviare le preoccupazioni e le ansie che l’Europa esprime riguardo all’ascesa della Cina. Anzitutto in considerazione dell’esacerbarsi delle divisioni tra paesi europei nell’era del populismo, la Cina deve adattare le proprie politiche alle mutate circostanze, che richiedono un focus maggiormente differenziato e un nuovo modo di pensare.
[1] Paul Lewis et al., “Revealed: one in four Europeans vote populist”, The Guardian, 20 novembre 2018, disponibile all’Url https://www.theguardian.com/world/ng-interactive/2018/nov/20/revealed-one-in-four-europeans-vote-populist.
[2] Cas Mudde, “The populist Zeitgeist”, Government and Opposition 39 (2004) 1: 542-563. È opportuno notare come, nel complesso, la polarità sinistra-destra resti più ampiamente utilizzata rispetto alla nozione di “populismo” per definire lo spettro di orientamenti politici rispetto al quale classificare ideologie e partiti. Questo avviene nonostante su un tema particolarmente centrale per l’opinione pubblica europea – l’opinione in merito al futuro dell’integrazione europea – si possa constatare una diversa polarità, definita da un estremo populista scettico e un estremo opposto rappresentato dalle forze politiche tradizionali più favorevoli. Il populismo non è intrinsecamente di sinistra o destra: la combinazione tra orientamento ideologico sinistra-destra e posizioni anti-establishment porta all’identificazione di almeno due tipologie principali di populismo: populisti di sinistra (come il Partito socialdemocratico in Germania, Syriza in Grecia, il Partito socialista in Olanda) e populisti di destra (Fidesz in Ungheria e PiS in Polonia).
[3] Per approfondimenti si vedano: Rosa Balfour et al., “Divide and obstruct: populist parties and EU foreign policy”, The German Marshall Fund of the United States, 27 maggio 2019, disponibile all’Url https://www.gmfus.org/publications/divide-and-obstruct-populist-parties-and-eu-foreign-policy; Dani Rodrik, “Populism and the economics of globalization”, Journal of International Business Policy 1 (2018) 1:12–33; Christina Schori Liang, “Europe for the Europeans: The Foreign and Security Policy of the Populist Radical Right,” in Europe for the Europeans: The Foreign and Security Policy of the Populist Radical Right, a cura di Christina Schori Liang (Aldershot: Ashgate, 2007), 1–30.
[4] Per maggiori dettagli si veda: Bertjan Verbeek e Andrej Zaslove, “Populism and Foreign Policy”, in The Oxford Handbook of Populism, a cura di Cristóbal Rovira Kaltwasser et al., (Oxford: Oxford University Press, 2017).
[5] Per le stime esatte si consulti Eurostat: https://ec.europa.eu/eurostat/statistics-explained/index.php/China-EU_-_international_trade_in_goods_statistics.
[6] Secondo le statistiche del Rhodium Group, gli Ide cinesi sono passati da meno di 840 milioni di dollari USA nel 2008 a 42 miliardi di dollari nel 2016 (pari a un incremento di quasi 50 volte in soli otto anni). Per maggiori dettagli si veda: Valbona Zeneli, “Mapping China’s investments in Europe”, The Diplomat, 14 marzo 2019, disponibile all’Url https://thediplomat.com/2019/03/mapping-chinas-investments-in-europe/.
[7] Laura Silver et al., “China’s growth mostly welcomed in emerging markets, but neighbors wary of its influence”, Pew Research Center, 5 dicembre 2019, disponibile all’Url https://www.pewresearch.org/global/2019/12/05/chinas-economic-growth-mostly-welcomed-in-emerging-markets-but-neighbors-wary-of-its-influence.
[8] I documenti includono risoluzioni, ordini del giorno e interrogazioni scritte e orali. Per ottenere i documenti, sono state specificate quattro parole chiave fondamentali utilizzando la ricerca avanzata fornita dal database della documentazione del Parlamento italiano (http://aic.camera.it/aic/query.html), tra cui “Cina”, “cinese”, “cinesi” e “Prc”. Si ringrazia in questa sede il dott. Luca Spinosa per la sua assistenza nella ricerca.
[9] Lars Willnat e Yunjuan Luo, “Watching the Dragon: global television news about China”, Chinese Journal of Communication 4 (2011) 3: 255–73.
[10] Dirk Nimmegeers, “Presentation of China in online West European media: more fairness and accuracy required” International Communication Gazette 78 (2016) 1-2: 104-20.
[11] BBC World Service, “BBC Polling Data Observed Similarly Low Favorability toward China across Europe”, 4 luglio 2017, disponibile all’Url https://globescan.com/images/images/pressreleases/bbc2017_country_ratings/BBC2017_Country_Ratings_Poll.pdf.
[12] Nel sondaggio del 2019, le valutazioni più positive della Cina provenivano da Grecia (51% favorevole), Spagna (39%) e Regno Unito (38%). I riscontri più negativi riguardano Svezia (70% sfavorevole), Francia (62%) e Paesi Bassi (58%).
[13] Lucrezia Poggetti, “Italy charts risky course with China-friendly policy”, 11 ottobre 2018, disponibile all’Url https://merics.org/en/analysis/italy-charts-risky-course-china-friendly-policy.
[14] Patrycja Pendrakoska, “Poland perspective on the Belt and Road Initiative,” Journal of Contemporary East Asia Studies 7 (2019) 2: 190-2016; David Cadier, “How populism spills over into foreign policy,” Carnegie Europe, 10 gennaio 2019, disponibile all’Url https://carnegieeurope.eu/strategiceurope/78102.
[15] John Macri, “How Hungary’s path leads to China’s Belt and Road,” The Diplomat, 11 aprile 2019, disponibile all’Url https://thediplomat.com/2019/04/how-hungarys-path-leads-to-chinas-belt-and-road/.
[16] Dwayne Woods, “Pockets of resistance to globalization: the case of the Lega Nord”, Patterns of Prejudice 43 (2009) 2:161-177.
[17] Si veda: Frank Esparraga, “Rhetoric of the right: European populist’s view of China”, Policy Brief of the Institute for Security & Development Policy 205 (2017), disponibile all’Url https://isdp.eu/content/uploads/2017/09/2017-205-right-wing-populist-view-china.pdf.
[18] Simon J. Evenett e Johannes Fritz, “Going it alone? Trade policy after three years of populism”, 25th Global Trade Alert Report, 22 dicembre 2019, disponibile all’Url https://www.globaltradealert.org/reports/48.
[19] Il database del Global Trade Alert ha documentato interventi di liberalizzazione e protezione delle politiche pubbliche adottati dai governi del G20 dal 2009 al 2019. Il database è disponibile all’Url https://www.globaltradealert.org/data_extraction.
[20] Henry Smith, “The Rise of investment screening in Western Europe”, Control Risk, 4 agosto 2020, disponibile all’Url https://www.controlrisks.com/our-thinking/insights/the-rise-of-investment-screening-in-western-europe.
[21] Ibidem.
[22] Gli investimenti greenfield consistono in media in meno del 10% degli Ide cinesi in Europa.
[23] La piattaforma è stata lanciata nell’aprile 2012 tra la Cina e 16 paesi dell’Europa centrale e orientale (inclusi 11 Stati membri dell’UE) con una forte enfasi su potenziali investimenti cinesi che avrebbero dato impulso alle economie regionali. La Grecia si è unita come 17° membro nel 2019.
[24] Henry Smith, “The Rise of investment screening in Western Europe”, Control Risk, 4 agosto 2020, disponibile all’Url https://www.controlrisks.com/our-thinking/insights/the-rise-of-investment-screening-in-western-europe.
[25] Robert Muller et al., “Czech Senate speaker to visit Taiwan in trip that could irk China”, Reuters, 9 giugno 2020, disponibile all’Url https://www.reuters.com/article/us-czech-taiwan/czech-senate-speaker-to-visit-taiwan-in-trip-that-could-irk-china-idUSKBN23G139.
[26]“Lithuanian Foreign Minister urges WHO to invite Taiwan to international assembly”, The Baltic Times, 13 maggio 2020, disponibile all’Url https://www.baltictimes.com/lithuanian_foreign_minister_urges_who_to_invite_taiwan_to_international_assembly/.
[27] Madalin Necsutu, “Romania Cancels Deals with China to Build Nuclear Reactors”, BalkanInsight, 27 maggio 2020, disponibile all’Url https://balkaninsight.com/2020/05/27/romania-cancels-deal-with-china-to-build-nuclear-reactors.
[28]Emilian Kavalski, “How China squandered eight years of economic opportunities in Central and Eastern Europe”, Scroll.in, 1 agosto 2020, disponibile all’Url https://scroll.in/article/968806/how-china-squandered-eight-years-of-economic-opportunities-in-central-and-eastern-europe; Emilian Kavalski, “How China lost Central and Eastern Europe”, MENAFN, 27 luglio 2020, disponibile all’Url https://menafn.com/1100550876/How-China-lost-central-and-eastern-Europe.
[29] Sebbene parte del continente abbia attraversato un decennio di stagnazione economica, le attività di proprietà cinese in Europa sono state fiorenti, con oltre 200.000 aziende fondate dai cinesi fino al 2019, fatto che potrebbe avere esacerbato questa percezione negativa. Si veda: Wang Huiyao e Kang Rongping, “Report of Overseas Chinese Entrepreneurs 2019”, Center for China & Globalization, 3 agosto 2020, disponibile all’Url http://www.ccg.org.cn/archives/58162.
[30] Feng Wen, “Perceptions of overseas Chinese on right-wing populism: based on a survey across Europe”, Research on Overseas Chinese 2 (2019), 22-31.
[31] Il fondo venne istituito nel 1986 dal Comitato centrale del Partito comunista cinese. Si veda “China’s social science fund to be used more efficiently”, Xinhua, 26 maggio 2011, disponibile all’Url http://www.china.org.cn/china/2011-05/26/content_22649899.htm.
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