La recente visita del Presidente statunitense Barack Obama in Vietnam dal 22 al 24 maggio ha avuto una forte eco sulla stampa internazionale, soprattutto grazie alla revoca totale dell’embargo americano sulle armi, in vigore da cinquant’anni. Questa svolta è stata letta principalmente come conseguenza della necessità di contenere la Cina rinvigorendo il pivot statunitense verso l’Asia – la strategia di riorientamento strategico lanciata nel 2011 proprio da Obama – attraverso una più stretta cooperazione militare con un attore chiave come il Vietnam (si veda l’articolo a firma di Borroz e Myint su RISE/2). Tuttavia, se la variabile cinese e la dimensione strategica appaiono indubbiamente cruciali, ridurre l’analisi della visita di Obama e della revoca dell’embargo sulle armi alla competizione tra le due grandi potenze rischia di semplificare e trascurare tanto i fattori che hanno portato a tale svolta, quanto i suoi possibili effetti.
Innanzitutto si corre il rischio di sottovalutare gli elementi di continuità della relazione bilaterale tra Hanoi e Washington che ha sì raggiunto con la visita di Obama un punto apicale, ma che poggia su solide basi politiche ed economiche che, a partire dal 1995(anno in cui furono ristabilite le relazioni diplomatiche) hanno determinato un riavvicinamento progressivo tra i due ex nemici. Il Vietnam ha trovato negli Stati Uniti un importatore fondamentale di materie prime e manufatti che in meno di vent’anni è divenuto il primo cliente del paese (nel 2015 il 21,2% delle esportazioni vietnamite ha raggiunto le coste statunitensi, davanti al 13,3% verso la Cina e all’8,4% verso il Giappone). I numeri dell’interscambio commerciale, passato dal miliardo di dollari del 2000 ai 45 miliardi dello scorso anno, mostrano che il boom si è registrato in seguito all’entrata in vigore dell’accordo commerciale bilaterale a fine 2001 che ha portato alla concessione da parte di Washington dello status di Normal Trade Relations nel 2002 (clausola della nazione più favorita), divenuto poi permanente nel 2007 con l’ingresso del Vietnam nell’Organizzazione mondiale del commercio(OMC). Parallelamente, Hanoi e Washington hanno innalzato il livello della relazione anche sul fronte politico avviando nel 2010 un dialogo sulla difesa che ha portato un anno più tardi al primo accordo militare dalla fine della guerra e alla dichiarazione congiunta ‘Joint Vision Statement on Defense Relations’ nel corso della visita negli Stati Uniti del Segretario Generale del Partito Comunista del Vietnam (PCV) Nguyen Phu Trong del luglio 2015. Due anni prima i due paesi avevano invece firmato una Comprehensive Partnership. La stessa revoca dell’embargo, del resto, era stata ampiamente prevista e ha seguito la revoca parziale annunciata dal Segretario di Stato americano John Kerry nel 2014, che aveva permesso la vendita di armi previa approvazione caso per caso. L’ascesa e la crescente assertività della Cina hanno sicuramente spinto sia Hanoi sia Washington a normalizzare e rafforzare i propri rapporti bilaterali, ma si tratta di una convergenza strategica che si è sviluppata gradualmente a partire dalla seconda metà degli anni Novanta e che si è nutrita non solo della ‘comune minaccia’ cinese, ma anche di una marcata complementarietà commerciale e del mutato contesto strategico del Sud-est asiatico dopo la fine della Guerra fredda. Alla luce di ciò, la revoca dell’embargo sulle armi non può essere vista solo come una risposta tattica all’interno della competizione sino-statunitense, pur se tale competizione ha verosimilmente contribuito ad accorciare i tempi e a far passare in secondo piano le richieste statunitensi relative ai diritti umani.
In secondo luogo, guardando solo all’aspetto geopolitico e alla dicotomia Washington-Pechino si rischia di trascurare sia i possibili effetti specifici, sia le implicazioni non strettamente strategiche della fine dell’embargo sulle armi. Infatti, come ha sottolineato Carlyle Thayer, professore emerito della University of New South Wales e fondatore della società di consulenza strategica Thayer Consultancy, dopo la revoca dell’embargo il Vietnam probabilmente non effettuerà acquisti massicci di armamenti e piattaforme dagli Stati Uniti, ma più verosimilmente punterà ad acquisire tecnologie necessarie a sviluppare i settori delle comunicazioni, dell’intelligence, della sorveglianza e del riconoscimento e, compatibilmente con il budget di Hanoi, di radar e aerei per il pattugliamento marittimo. Se però le future scelte d’acquisto di Hanoi nel settore della difesa restano oggetto di stime e necessitano di essere monitorate, un effetto sicuro e probabilmente di breve-medio periodo si avrà sul fronte dei prezzi e delle condizioni che il Vietnam, forte dell’apertura statunitense, sarà ora in grado di negoziare con gli altri fornitori. Sarà pertanto la Russia, che tra il 2000 e il 2015 ha fornito al Vietnam il 90% dell’import di armamenti – seguita ad abissale distanza da Israele (3,3%) e Ucraina (3%) – per un valore di quasi 5 miliardi di dollari, a subire maggiormente l’accresciuto potere negoziale di Hanoi e la concorrenza degli Stati Uniti.
Cionondimeno, come già sostenuto, la variabile cinese ha giocato, e gioca, un ruolo primario, come si può facilmente evincere dal discorso pronunciato da Obama il 24 maggio al National Convention Center di Hanoi di fronte a oltre duemila giovani vietnamiti. Affrontando i temi della sicurezza e della disputa nel Mar Cinese Meridionale (che il Vietnam chiama Mare Orientale), il presidente statunitense ha, infatti, utilizzato varie espressioni che, pur senza menzionare esplicitamente la Cina, lasciano pochi dubbi circa il reale destinatario del messaggio. Parlando genericamente di sicurezza Obama ha prima promesso di proseguire nel sostegno al rafforzamento delle capacità navali del Vietnam e ha poi enfaticamente declamato: “le nazioni sono sovrane e, indipendentemente dalla loro dimensione, la loro sovranità deve essere rispettata”. Passando alla questione specifica del Mar Cinese Meridionale, il presidente americano ha poi ribadito la posizione degli Stati Uniti fondata sul sostegno ai propri partner e sui principi della libertà di navigazione, sorvolo e commercio.
Per concludere, se dunque il ‘grande gioco’ sino-americano non può che essere la cornice principale entro cui interpretare la revoca dell’embargo sulle armi annunciata da Obama a Hanoi, sembra al contempo necessario andare oltre tale schema per riuscire ad apprezzarne appieno cause ed effetti. Non si può, infatti, dimenticare che il rafforzamento progressivo dei rapporti bilaterali con il Vietnam non solo rappresenta l’esito di un processo ventennale, ma si inserisce coerentemente nella vocazione strategica di Washington di continuare a essere una potenza del Pacifico nel 21° secolo. In ultima analisi, il caso del Vietnam dimostra chiaramente i limiti di una visione dell’Asia-Pacifico esclusivamente “bipolare”, dal momento che sarà un terzo attore, la Russia, e non la Cina a subire maggiormente gli effetti della fine dell’embargo tanto in termini strategici quanto economici.
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