Indubbiamente il 2020 verrà ricordato come l’anno della pandemia globale, dei confinamenti e dello “stato di eccezione”. L’anno che sta per concludersi, però, è stato caratterizzato anche da importanti eventi politici, in primis le elezioni presidenziali negli Stati Uniti d’America. Ed è proprio dagli Stati Uniti che parte questo numero di Human Security. Se la vittoria di Joe Biden sembra far intravedere la “fine dell’era Trump” e, intuitivamente, nuova linfa per la promozione dell’ordine liberale a livello globale, nel suo articolo Gabriele Natalizia – docente di Scienza Politica e ricercatore presso la Sapienza Università di Roma – traccia la storia della risposta statunitense al “dilemma della democrazia” dalla Guerra fredda a oggi, delineando una soluzione di continuità tutt’altro che scontata nell’approccio strategico delle Amministrazioni Obama, Trump e, con tutta probabilità, Biden.
Sempre nel 2020, la (bio)securitizzazione delle relazioni tra stato e società che ha caratterizzato molti paesi nel mondo è stata accompagnata dall’emergere o dal perdurare di diversi movimenti di protesta. In Bielorussia, le elezioni presidenziali hanno confermato “l’ultimo dittatore d’Europa” alla guida di un paese lacerato dalla situazione economica, sanitaria e sociale. Le elezioni hanno però anche portato nelle piazze bielorusse migliaia di persone a supporto della leadership tutta al femminile dell’opposizione politica, dando una spinta dal basso al processo di democratizzazione. Ce lo racconta Mara Morini – esperta di politica russa e docente di Scienza Politica all’Università di Genova – che, oltre a ripercorrere gli eventi degli ultimi cinque mesi, descrive puntualmente le reazioni di Unione Europea e Russia alla “crisi Lukashenko”.
Anche le piazze di Hong Kong hanno continuato a essere teatro di manifestazioni e scontri. Il 1° luglio 2020 è entrata in vigore la nuova legge sulla sicurezza nazionale che, nei fatti, delegittima e criminalizza il movimento di protesta nato nella primavera del 2019. Come spiega Gaia Perini – sinologa e docente all’Università di Bologna – il pugno di ferro di Pechino ha per ora messo un freno all’attivismo politico e sindacale di Hong Kong, ma, col tempo, questo non può che acuire le ragioni della contestazione e del dissenso, riportando alla memoria l’adagio socialista “dove c’è oppressione, lì scatta la rivolta”. Rimanendo in Asia, l’articolo che segue, firmato da Devparna Roy – docente di Sociologia e Antropologia al Nazareth College di Rochester – sposta il focus di Human Security sulla più grande democrazia al mondo, l’India, descrivendone luci ed ombre a partire dal delicato rapporto tra religione, nazione e tolleranza politica in un paese dal patrimonio culturale estremamente ricco e variegato.
Gli ultimi due articoli di questo numero di Human Security su elezioni e democrazia guardano invece al continente africano e, in particolare, alla Costa d’Avorio e all’Etiopia. Partendo dalla rielezione del Presidente ivoriano Ouattara (in carica dal 2010), Andrea Cassani – docente di Scienze Politiche e ricercatore presso l’Università degli Studi di Milano – affronta il tema del consolidamento delle istituzioni democratiche, analizzando la questione del rispetto e della manipolazione dei limiti di mandato presidenziale in Africa sub-sahariana. Con altrettanto rigore, Anna Myriam Roccatello e Ilaria Martorelli – rispettivamente Deputy Executive Director e Program Expert dell’International Center for Transitional Justice (ICTJ) – offrono un’analisi del difficile processo di riconciliazione e transizione democratica in Etiopia, interrotto dagli scontri politici e armati scatenati dalla gestione unilaterale delle elezioni nazionali (rimandate) e nella regione del Tigrai (tenutesi nonostante il divieto di Addis Abeba).
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