Introduzione
La “guerra alla droga” lanciata nelle Filippine dal presidente Rodrigo Duterte ha sconvolto il mondo non solo per aver assunto forme di inaudita violenza di Stato, bensì anche per il sostegno popolare che questa campagna è riuscita a guadagnare. Al fine di analizzare le ragioni sociali e culturali del consenso, il consorzio CRISEA ha finanziato un progetto di ricerca che ha per tema le giustificazioni di stampo religioso che i leader appongono per trovare il sostegno alla campagna antidroga. È importante trovare una risposta a questa domanda dato che le Filippine, oltre a essere un Paese a maggioranza cattolica, sono tra le società più osservanti del mondo. Come una società profondamente religiosa risponda a una campagna politica divenuta celebre per le violazioni dei diritti umani è un importante interrogativo sociologico con implicazioni politiche rilevanti.
I sondaggi rilevano che non solo i filippini sono soddisfatti dell’operato di Duterte, ma anche che, nel 2017, l’88% della popolazione adulta sosteneva la guerra alla droga. Il dato sulla popolarità è confermato anche quando il 73% era convinto che le uccisioni extragiudiziali fossero ancora in corso[1]. Questi numeri indicano la popolarità della campagna antidroga all’interno della società filippina. Le accuse secondo le quali la guerra alla droga starebbe producendo un numero incomparabile di vittime non sembrano affatto influenzare negativamente la popolarità del presidente Duterte[2]. Il Governo si è premurato di giustificare il programma fornendo ciò che ha chiamato “social card” o pubblicando le cifre che ne dimostrano il successo. Recentemente, l’esecutivo ha sostenuto che 5.327 comunità locali sono state dichiarate libere dalla droga e che sono state sequestrate droghe illegali e attrezzatura da laboratorio per un valore di 376 milioni di dollari. Il ragionamento di fondo è che la popolazione sostiene la guerra alla droga proprio perché ora si sente più sicura. Non c’è dunque da stupirsi se, secondo i dati forniti da un altro studio, molte persone considerino le uccisioni accettabili poiché le vittime “rendono le nostre vite miserabili ancor più misere”[3].
Evidenza e analisi
Data la sua natura di provvedimento politico nazionale calato dall’alto, la guerra alla droga si è sviluppata sotto forma di operazioni di polizia che hanno toccato i quartieri del Paese. Questa politica, chiamata Oplan Tokhang, si presume sia trasparente. Tokhang è una combinazione delle parole della lingua cebuana “bussa e implora”. Gli ufficiali di polizia devono far visita alle case abitate da consumatori di droga identificati e intimarli di cambiare stile di vita una volta per tutte. Comunque, il problema è che molte delle visite domiciliari finiscono per essere fatali. Dal 2016 ai primi mesi del 2018, i numeri ufficiali del Governo mostrano che 121.087 persone sono state arrestate, a fronte di 4.021 vittime perite nel corso di operazioni antidroga[4]. Poche comunità, tutte povere, sono diventate veri e propri “hotspot” nella guerra alla droga[5]. Nientemeno che l’ex capo della Dangerous Drugs Board, Dionisio Santiago, ha criticato il programma del Governo per il fatto che continua a mietere vittime nelle aree più povere del Paese.
Il presente policy brief si concentra sullo studio del caso di Payatas, uno dei barangay più poveri di Quezon City. Situato nella parte settentrionale della Metro Manila, Quezon City è conosciuta per la presenza di università di élite, stazioni televisive, eleganti centri commerciali e vari centri sanitari nazionali. Tutto questo sta a indicare quanto sia prospera l’economia della città. Ma a Payatas il 60% dei duecentomila residenti si trova al di sotto della soglia di povertà. Il barangay è conosciuto per la sua discarica, anche se dal 2016 è divenuta famosa per essere una delle zone più calde della campagna antidroga del Governo. Un report di inchiesta redatto da Patricia Evangelista ha documentato il numero delle visite domiciliari eseguite dalla polizia e dai capi quartiere[6]. Col pretesto di volere ottenere informazioni sul nucleo famigliare, le visite hanno in alcuni casi previsto anche test antidroga fatti al momento, senza alcun preavviso. Il governo locale di Quezon City si ostina ad affermare che le autorità di polizia non costringono gli individui a sottoporsi ai test antidroga. La stessa vicesindaca crede che “se questi non hanno nulla da nascondere, non dovrebbe essere un problema per loro sottoporsi al test antidroga”. Fino al 2017, a Payatas, almeno trentasette persone sospettate di un legame con la droga sono state uccise nel corso delle liti con la polizia e ventotto durante le operazioni cosiddette buy-bust[7].
Questa ricerca è stata condotta da una squadra di ricercatori dell’Università Ateneo de Manila coordinata da Jayeel Cornelio, sociologo e direttore del programma relativo agli studi sullo sviluppo, affiancato da Erron Medina, ricercatore presso il medesimo dipartimento. Il team si è inizialmente concentrato sulla parrocchia di Payatas, con l’intento di indagare in che termini gli sforzi hanno forgiato la presa di posizione critica del Cattolicesimo istituzionale[8]. Oltre alle parrocchie cattoliche, Payatas ospita anche un variegato universo di denominazioni cristiane quali i battisti, gli evangelici, i carismatici, l’Iglesia ni Cristo (InC)[9] e l’Ang Dating Daan (ADD)[10]. Successivamente, il progetto si è pian piano ampliato setacciando, per prima cosa, le risposte provenienti dai differenti gruppi cristiani lungo linee confessionali. I ricercatori sono stati guidati dalle seguenti domande: quali differenze è possibile riscontrare nei comportamenti di questi gruppi tenuti nei confronti della guerra alla droga a Payatas? In che modo hanno risposto? Come si spiegano le differenze di opinione?
Per rispondere a queste domande, è stata data priorità a quattro punti principali. Per prima cosa, il team voleva conoscere le esperienze dei ministri religiosi a Payatas. In secondo luogo, le domande vertevano sulla familiarità che i leader avevano con la guerra alla droga e con le dichiarazioni antidroga del presidente Duterte. In terzo luogo, il gruppo di ricerca ha chiesto ai leader religiosi quali fossero i loro specifici argomenti per affrontare la questione. Da ultimo, le domande concernevano anche la natura dei rispettivi ruoli all’interno delle comunità che guidano, in relazione alla società e alla politica filippina. Durante le interviste sono emerse alcune domande, collegate al tema principale, che avevano lo scopo di desumere le riflessioni di questi leader sulla governance e sulla giustizia.
Il gruppo di ricerca ha intervistato diversi leader religiosi. L’arco temporale entro il quale la ricerca sul campo è stata condotta (2017-2018) è importante perché sono emerse, come non mai, le reazioni significative del pubblico verso la campagna antidroga, soprattutto quelle provenienti dalla Chiesa Cattolica. La squadra ha fatto affidamento sulle interviste qualitative poiché era interessata a capire ciò che i leader religiosi stessero facendo e per quale motivo. Da queste interviste è emerso una tacita comprensione della guerra alla droga come essa si è svolta sul campo. In questo senso, possiamo dire che il progetto è complementare all’accurata cronaca giornalistica[11]. Una volta predisposte le interviste, i membri del gruppo hanno mappato sul luogo i siti delle diverse chiese e, successivamente, hanno iniziato a interagire con i sacerdoti cattolici. Questi ultimi sono stati utilizzati come tramite tra gli intervistatori e gli intervistati che presentavano delle riserve iniziali, dato il carattere controverso della ricerca. Il gruppo di ricerca si rese conto immediatamente che le interviste potevano destare sospetti tra i partecipanti, che congetturavano come i suoi membri fossero dipendenti di alcune agenzie governative. Tra coloro che furono intervistati comparivano dei pastori evangelici, un leader dei Carismatici, un predicatore battista e due leader laici (un capo della pastorale giovanile di una chiesa evangelica e il coordinatore delle comunità ecclesiali di base). Tutti questi leader religiosi risiedono a Payatas, anche se durante la ricerca sono stati coinvolti nelle interviste sul campo, per un raffronto, anche alcune figure che vivevano al di fuori del barangay. Tra questi si annoverano un insegnante in un vicino seminario di una congregazione protestante e una serie di ministri di culto di una chiesa evangelica adiacente al luogo, tutti comunque coinvolti nella guerra alla droga. Malgrado la vicinanza territoriale a Payatas, il seminario protestante decise di spendere le proprie forze per aiutare un’altra comunità di Manila vessata dai raid antidroga della polizia. Al contrario, la Congregazione evangelica ha direttamente collaborato con le forze di sicurezza invece di occuparsi delle comunità colpite dalla guerra alla droga.
Le interviste offrono un interessante spaccato dei divergenti punti di vista religiosi. Il principale risultato derivante dalla ricerca mostra come la capacità di risposta di una comunità religiosa nei confronti della guerra alla droga discenda fortemente dal modo in cui questa intende la natura della dipendenza dalla droga. I consumatori di droga sono esseri umani peccatori oppure vittime di ingiustizie sociali più diffuse, come la povertà. Questa seconda visione è stata seppellita dal dibattito in corso e, prima di dimostrare l’importanza di questo aspetto, è necessario fornire degli esempi.
Secondo alcuni intervistati, fare uso di droga illegalmente è, in quanto atto deliberato di peccato, una conseguenza dell’allontanamento della persona da Dio. Questo punto è ripetutamente evidenziato dai pastori Nick e Julius (i nomi sono stati cambiati), che a Payatas sovrintendono le attività delle congregazioni, rispettivamente, evangelica e battista. Per entrambi, il problema dell’abuso di sostanze stupefacenti evidenzia il fallimento della relazione che l’uomo ha con lo Spirito Santo. Infatti, il pastore Julius è arrivato a paragonare i tossicodipendenti ai maiali e ha invocato la parola di Gesù che prescrive “di non gettare le perle ai porci affinché non le calpestino sotto le loro zampe e si rivoltino contro di voi per sbranarvi” [12]. La prima motivazione che il pastore adduce è che se la Chiesa concentrasse tutti i suoi sforzi sui tossicodipendenti lascerebbe ai margini “i gruppi più importanti” di persone a Payatas come donne e bambini. Egli fa notare che “a Payatas ci sono più bambini che tossicodipendenti”, ma crede anche che condividere la Parola di Dio con coloro che fanno uso di droghe non possa avere molta utilità perché non vi potrebbero prestare attenzione vista “la condizione mentale” in cui versano. A conclusione del suo ragionamento, il pastore afferma che l’elezione di Duterte alla presidenza della Repubblica è stata un chiaro atto di Dio cha ha inteso “impartire una lezione al Paese”. Il pastore Julius ritiene che la dipendenza dalle droghe sia una condizione peccaminosa che determina specifiche conseguenze. Da una parte, sostiene, la violenza generata dalla guerra alla droga è un verdetto divino e lascia mani libere al Governo su come portarla avanti pienamente. Dall’altra, afferma, la campagna antidroga ha l’obiettivo di convincere il resto della popolazione qual è il destino che spetta ai peccatori.
Per contro, uno sparuto gruppo di intervistati vede i tossicodipendenti come “vittime”. L’uso delle droghe non è il risultato di scelte individuali, bensì di cause strutturali come l’estrema povertà, la disoccupazione e le pessime condizioni sociali. Questo punto è ben articolato dai preti cattolici, dai teologi protestanti e da un leader evangelico. Come spiegano il vittimismo? I tossicodipendenti sono poveri non solo spiritualmente ma anche da un punto di vista materiale[13]. Il team di ricerca si aspettava che questa risposta arrivasse dai tre preti cattolici intervistati, ovvero frate Martin, frate Marcelo e frate Patrick. Tutti e tre hanno un rapporto di lunga data con Payatas in quanto essa si configura come un’estensione delle rispettive comunità religiose, che si trovano in altre aree di Quezon City. Secondo loro, i tossicodipendenti sono il “pubblico” della Chiesa ed è quindi un obbligo dedicarsi alle loro condizioni sociali e materiali per aiutarli a superare i loro problemi legati alla droga. Allo stesso tempo, la guerra alla droga ha acuito le condizioni di povertà di molte delle famiglie dell’area che fanno affidamento sul padre. In un’intervista, un prete ha raccontato la sua indignazione riguardo a questa situazione:
“Il Governo ha forse fatto qualcosa per aiutare queste famiglie? Hanno per caso fatto visita ai bambini? Hanno dato loro un aiuto psicologico? Che ne è del sostegno scolastico? Del cibo? Dei mezzi di sostentamento? Sigh. L’ho chiesto ai leader locali e sapete cosa mi hanno risposto? No!
Tuttavia, per gran parte dei leader religiosi i consumatori di droghe sono peccatori la cui “perfidia” e i cui crimini devono essere estirpati. Tale opinione evidenzia un implicito sostegno religioso per la guerra alla droga. Come principale intuizione della nostra ricerca, questa scoperta aggiunge una sfumatura all’argomento, avanzato da politologi e da altri sociologi, secondo cui il sostegno alla campagna antidroga dipende dalle preoccupazioni del cittadino per la sicurezza.
La prospettiva che i tossicodipendenti sono vittime di gravi ingiustizie sociali potrebbe essere minoritaria. Tuttavia, i leader delle chiese che condividono questa visione – e tra questi vi sono sia preti cattolici sia pastori evangelici – hanno previsto un certo numero di interventi rivolti alle famiglie delle vittime dimenticate dalla guerra di Duterte. Alcuni di loro hanno dedicato, dai rispettivi pulpiti, l’omelia agli eccessi della campagna; altri hanno invece sostenuto le famiglie delle vittime lasciate al proprio destino. Questi interventi, di natura sia sociale sia politica, sono finalizzati ad affrontare “le cause profonde e le conseguenze” della guerra alla droga.
I preti cattolici hanno senza dubbio trovato metodi di intervento più completi. Oltre all’aiuto psicologico, hanno esteso l’assistenza per prendersi cura delle famiglie private della loro unica fonte di reddito nel corso delle operazioni antidroga. Le parrocchie locali hanno anche elargito sovvenzioni ai bambini indigenti per l’acquisto di uniformi scolastiche, libri e altro materiale di prima necessità.
Dato che generalmente la gente teme di fare ricorso a provvedimenti legali nei confronti dello Stato e delle forze di polizia, i preti hanno offerto una mano d’aiuto per affrontare legalmente alcune situazioni che, si credeva, potessero configurarsi come casi di uccisioni extragiudiziali a Payatas. Questo sentimento è comprensibile viste le asimmetriche relazioni di potere. Allo stesso tempo, diversi giornalisti investigativi hanno documentato ciò che la polizia ha fatto in nome dell’analisi comportamentale della comunità[14]. Padre Robert, evangelico, nelle vesti di avvocato aiuta le famiglie, con almeno uno dei membri rimasto ucciso per mano delle autorità, a intentare una causa. Intervistato dal gruppo di ricerca, ha inquadrato l’intervento della sua congregazione in questi termini:
“Aiuti l’indigente promuovendo una causa in tribunale. Noi non stiamo lottando contro la campagna antidroga, ma contro le esecuzioni sommarie che annientano il Bill of Rights, il vero pilastro della nostra democrazia”.
Implicazioni di policy e raccomandazioni
La presente ricerca lascia certamente aperte una serie di interrogativi, come ad esempio il motivo per cui una prospettiva religiosa sopravanza su un’altra. Ad ogni modo, essa ha inteso dimostrare che i fondamenti religiosi dovrebbero essere presi in considerazione per fronteggiare il sostegno popolare (e populista) alla guerra alla droga nelle Filippine. Una visione morale del mondo relativa alla giustizia entra in gioco allorché le vite dei criminali, in quanto irredimibili, possono essere sacrificate: si tratta di un aspetto che politici e organizzazioni della società civile devono riconoscere e tenere in debito conto. Nei fatti, il risultato di questa ricerca potrebbe spiegare il motivo per cui le richieste sul rispetto dei diritti umani nelle Filippine avanzate dall’Unione Europea e da altre agenzie globali non abbiano ottenuto popolarità.
Questo studio ha inoltre suggerito che all’interno dei medesimi gruppi religiosi mancano opportunità di riflessione sulla complessità della governance, sui diritti umani e sull’accountability. La politica dovrebbe, dunque, fornire un sostegno diplomatico al lavoro di comunità e avviare una discussione partecipativa sul bene comune nella società filippina contemporanea.
Come è stato rilevato in precedenza, il gruppo di ricerca ha dimostrato che le parrocchie cattoliche e le altre chiese cristiane hanno predisposto meccanismi di supporto alla scolarizzazione dei bambini e al sostentamento delle donne, in modo da far fronte ai costi economici derivanti dalla perdita del capofamiglia. Il supporto legale è stato organizzato in quei casi in cui i leader religiosi credevano di trovarsi davanti a delle uccisioni extragiudiziali commesse dalla polizia. Un’altra implicazione di policy sarebbe quella di estendere, di conseguenza, il sostegno che le organizzazioni religiose possono fornire alle comunità direttamente colpite dalla guerra alla droga. Non bisogna escludere che il Governo possa prevedere, da un giorno all’altro, possibili restrizioni all’utilizzo di fondi pubblici per tali gruppi religiosi, benché il sostegno alle associazioni che considerano la guerra alla droga come una politica ingiusta risulti essenziale in quanto esse sono ben radicate all’interno delle comunità. Questa necessità appare certamente ancor più importante adesso che la copertura dei media della guerra alla droga si è già annichilita.
Traduzione dall’inglese a cura di Raimondo Neironi
Note bilbiografiche
[1] Pulse Asia (2017), “September 2017 Nationwide Survey on the Campaign Against Illegal Drugs”, disponibile online al link http://www.pulseasia.ph/september-2017-nationwide-survey-on-the-campaign-against-illegal-drugs/.
[2] Social Weather Stations (2018), “First Quarter 2018 Social Weather Survey: Pres. Duterte’s Net Satisfaction Rating a ‘Very Good’ +56”, Social Weather Stations, disponibile online al link https://www.sws.org.ph/swsmain/artcldisppage/?artcsyscode=ART-20180411144206.
[3] Arguelles, C. (2017), Grounding Populism: Perspectives from the Populist Publics, tesi non pubblicata, Central European University; Cabañes J. e Cornelio, J. (2017), “The Rise of Trolls in the Philippines (and What we Can Do About It)”, in Curato, N. (a cura di), A Duterte Reader: Critical Essays on Duterte’s Early Presidency, Quezon City and New York: Ateneo de Manila University Press e Cornell University Press, pp. 231-250.
[4] Philippine Information Agency (2018), “#RealNumbersPH Update: Towards a Drug-free Philippines”; Pulse Asia (2017), “September 2017 Nationwide Survey on the Campaign Against Illegal Drugs”, disponibile online al link http://www.pulseasia.ph/september-2017-nationwide-survey-on-the-campaign-against-illegal-drugs/.
[5] L’agenzia di stampa Reuters ha dedicato un’estesa copertura alla campagna, tant’è che i giornalisti che l’hanno curata si sono guadagnati il Premio Pulitzer 2018 dedicato alla sezione report internazionali, cfr. “Inside the Bloody Drug Crackdown in the Philippines”, disponibile online al link https://www.reuters.com/investigates/section/philippines-drugs/
[6] Evangelista, P. (2017), “The Red Mark”, Rappler, disponibile online al link https://www.rappler.com/newsbreak/investigative/188916-drugtesting-payatas-quezon-city-police-drug-war.
[7] Questo tipo di operazione è una trappola messa a punto da poliziotti in borghese, che si presentano davanti a uno spacciatore con l’intento di acquistare la droga [N.d.T.].
[8] In un comunicato ampiamente letto in tutto il Paese, il cardinale Luis Antonio Tagle scrisse che “una nazione non può essere governata da assassini”. Il comunicato continuava facendo appello a “coloro che feriscono o uccidono di ascoltare le proprie coscienze, la voce di Dio che ci invita a commettere buone azioni”. I leader della Chiesa cattolica romana hanno fatto sentire sempre di più la loro voce quando si è scoperto che tra le vittime comparivano anche giovani ragazzi disarmati, portando la Chiesa Cattolica a essere elogiata quale “voce contro una campagna violenta”.
[9] Dalla parola tagalog “La Chiesa di Cristo”, è un movimento religioso cristiano internazionale fondato da Félix Ysagun Manalo nel 1914. La InC fa affidamento alla teologia unitaria, secondo la quale Gesù Cristo sarebbe il figlio di Dio, il Salvatore inviato sulla terra, ma non sarebbe egli stesso una divinità. Ad oggi, questa Chiesa può contare oltre due milioni di adepti in più di cento Paesi del mondo [N.d.T.].
[10] Dalla parola tagalog “Il vecchio percorso”, questa comunità religiosa cristiana è famosa nelle Filippine per trasmettere in televisione le prediche del suo fondatore, Eli Soriano, scomparso lo scorso febbraio all’età di 73 anni [N.d.T.].
[11] Evangelista, P., op. cit.
[12] Dal Vangelo di Matteo 7,6, Nuovo Testamento.
[13] L’enfasi è stata posta dagli autori [N.d.T.].
[14] Evangelista, P., op. cit.
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