Mentre il numero di morti dalla data del golpe si aggira attorno a 1.160 e i conflitti armati si intensificano in tutto il paese, uno spettro aleggia sull’attuale panorama politico del Myanmar: la proliferazione di armi leggere e di piccolo calibro. La questione è emersa in tutta la sua rilevanza e multidimensionalità sin dal 1° febbraio 2021, data in cui il Tatmadaw – le forze armate del Myanmar – ha espanso le sue prerogative di governo oltre i limiti della costituzione (illiberale) che esso stesso aveva disegnato nel 2008. In poco tempo – mentre le persone scendevano nelle strade per protestare contro il Tatmadaw e quest’ultimo reprimeva con la forza – pistole, fucili automatici, munizioni di gomma e non, armi artigianali ad aria compressa, ma anche granate e artiglierie varie si sono diffuse anche nelle zone centrali del paese relativamente meno esposte a settant’anni di conflitti armati nei territori di confine.
I media hanno proposto analogie tra gli avvenimenti in Myanmar e le proteste e ribellioni avvenute in Siria per quanto riguarda la possibilità che la repressione statale crescente conduca sempre più persone a imbracciare le armi generando uno scenario di resistenza armata altamente frammentato. Tuttavia, c’è un elemento importante da considerare quando si cerca di comprendere come la proliferazione di armi contribuisca a modellare le attuali turbolenze politiche in Myanmar: il ruolo centrale che (storicamente) i movimenti ribelli politico-armati hanno svolto nel regolare l’acquisizione e il controllo di armi leggere. La proliferazione di armi avrà anche caratterizzato da più di sette decenni la cosiddetta “insurgency as a way of life” (letteralmente, “l’insurrezione come stile di vita”), ma ciò non significa che gli armamenti siano prontamente disponibili ovunque, per chiunque, in qualsiasi momento. L’accesso alle armi rimane infatti regolato da alcuni attori e dalle loro relazioni politiche ed economiche.
Una finestra sulle dinamiche di proliferazione delle armi leggere nel Myanmar post-golpe si aprì agli inizi di marzo, quando vari bossoli calibro 12 marcati “Cheddite” – la ditta italo-francese produttrice di munizionamenti ed esplosivi con base a Livorno – vennero rinvenuti in diverse zone del paese dopo essere stati esplosi contro manifestanti e unità di pronto soccorso. Sebbene non sia possibile tracciare con certezza il percorso delle munizioni, rimane plausibile che le cartucce siano arrivate in Myanmar tramite aziende di armamenti turche (un dato che, tra gli altri, anche Amnesty International ha riportato). In ogni caso, il ritrovamento di munizionamenti d’importazione costituisce una dinamica inusuale, o quantomeno marginale, dato che la quasi totalità delle armi leggere delle forze armate e di sicurezza del Myanmar – incluse le munizioni – sono normalmente prodotte nel paese. Esistono delle eccezioni tuttavia. Alcune armi – in particolare nell’ambito del cosiddetto “controllo della folla” o dei beni a duplice uso – vengono acquisite dal Tatmadaw tramite operazioni commerciali di diversa natura, mentre parte delle armi leggere in dotazione alla polizia del Myanmar e di quelle assegnate a milizie di difesa locale connesse al Tatmadaw nelle aree di confine sono spesso armi riciclate (ovvero armi previamente confiscate ai movimenti politico-armati di resistenza). In tal senso, i bossoli della Cheddite illuminano al contempo le due principali dimensioni della proliferazione e controllo di armi leggere in Myanmar: da un lato la graduale monopolizzazione della produzione di armamenti da parte del Tatmadaw, e dall’altro la mobilitazione di movimenti politico-armati al fine di contrastare il Tatmadaw.
Costituito dal Tatmadaw dopo l’indipendenza del 1948, il Direttorato delle Industrie della Difesa (Karkweye Pyitsu Setyoun, o Ka-Pa-Sa) iniziò a fabbricare armi leggere tramite produzione su licenza di pistole mitragliatrici di progettazione italiana. Durante gli anni cinquanta e sessanta il regime del Consiglio Rivoluzionario dell’Unione e il Partito del Programma Socialista della Birmania intrecciarono strette relazioni con alcune aziende di armamenti tedesche, consolidando così l’importazione e la produzione su licenza di armi leggere da parte del Ka-Pa-Sa. Mentre le connessioni con industrie tedesche sono continuate fino almeno agli inizi degli anni duemila tramite il trasferimento di beni di doppio utilizzo come macchinari e materie prime per la produzione, già nel 1988 il Ka-Pa-Sa aveva lanciato un importante programma di sostituzione delle importazioni. La repressione delle proteste del 1988 e l’embargo sul commercio di armamenti da parte dell’allora Comunità Europea che ne seguì portarono il Tatmadaw a intessere stretti rapporti con le industrie armiere di Singapore e Israele al fine di rafforzare le capacità di progettazione e manifattura di armi leggere del Ka-Pa-Sa. Progressivamente, e in particolare durante gli ultimi tre decenni, il Ka-Pa-Sa è riuscito a rendere il Tatmadaw e le forze di polizia praticamente auto-sufficienti contando anche su materie prime, macchinari e componenti importati dalla Repubblica Popolare Cinese. Nei fatti, il Tatmadaw ha monopolizzato la produzione su larga scala di armi leggere e di piccolo calibro in Myanmar tramite processi di sostituzione dell’importazione che hanno portato alla concentrazione di poli di produzione, capacità di produzione e siti di stoccaggio degli armamenti nelle zone centrali pianeggianti del paese. Dal punto di vista delle autorità statali centrali, tale configurazione della produzione di armi si è inserita nel solco di una più ampia geografia socio-politica che guarda ai margini dello stato come frontiere in cui si trovano le cosiddette Taingyintha (“razze etniche nazionali” che costituiscono le entità di base dello stato-nazione) da civilizzare e da riportare all’unità sotto la guida della maggioranza Bamar.
Nei territori di confine, per i movimenti ribelli politico-armati e per le organizzazioni etniche armate la proliferazione e acquisizione di armi è stata caratterizzata da diverse dinamiche. Durante gli svariati conflitti armati che punteggiarono l’area continentale del Sud-est asiatico dagli anni cinquanta fino alla fine dei novanta – si pensi a Vietnam, Cambogia, Laos, Thailandia – diversi sponsor internazionali come Stati Uniti, Cina e Unione Sovietica, operavano trasferimenti di varia natura destinando armi leggere alle parti coinvolte. Il “dirottamento” e la fuoriuscita di armi dagli arsenali dei destinatari o di intermediari (come le forze armate e di sicurezza thailandesi) hanno rappresentato una fonte primaria per la circolazione di armi in Myanmar almeno fino ai primi anni duemila. Inoltre, le traiettorie dell’economia informale (in particolare il commercio di oppiacei, ma non solo), spesso connesse alle politiche economiche dei diversi regimi militari susseguitisi in Myanmar dal 1962, hanno contribuito a modellare tanto la disponibilità di armi quanto il loro accesso. In particolare, durante gli anni novanta e duemila una serie di riforme economiche lanciate dal Tatmadaw portarono alla cooptazione di alcune élite politico-commerciali delle minoranze etniche, coinvolte in operazioni capitalistiche in ambito estrattivo e dell’agro-industria nelle zone di confine (soprattutto negli Stati Kachin e Shan, rispettivamente a nord e nord-est del paese). Qui alcune organizzazioni etniche armate coinvolte nel ridisegnato panorama economico capitalista, così come alcune milizie connesse al Tatmadaw, hanno consolidato i loro canali di accesso alle armi. Ad esempio, uno su tutti, lo United Wa State Party (UWSP, l’organizzazione politico-armata dell’etnia Wa) è divenuto un partner politico ed economico privilegiato per soggetti cinesi di diverso tipo ed è stato in grado di assicurarsi flussi di armi tramite trasferimenti, di natura illegale/informale e non, al di là del confine. Non casualmente, lo UWSP è divenuto uno degli attori chiave dei flussi di armi in ingresso a partire dalla metà degli anni duemila. Contemporaneamente, l’accesso di armi dal confine thailandese è divenuto più difficile per molte ragioni, soprattutto in virtù di migliorate relazioni tra i governi thailandese e birmano e di una graduale riduzione della circolazione di surplus legati ai conflitti nella regione.
In aggiunta al commercio, i movimenti ribelli hanno anche consolidato pratiche armiere autonome organizzando le proprie “officine”: laboratori e siti per il restauro, la manifattura o l’assemblaggio di armi leggere. Negli ultimi 20-30 anni due organizzazioni etniche armate in particolare (la Kachin Independence Organization e il già citato UWSP) hanno sviluppato una propria produzione industriale riuscendo a riprodurre varianti di modelli esistenti. In parallelo, le armi leggere hanno continuato a circolare tramite trasferimenti parzialmente illegali aventi come origine la produzione o il commercio legale (in particolare in Thailandia) o gli arsenali statali del Tatmadaw e della polizia birmana in primis ma anche delle autorità thailandesi. Le armerie e i rifornimenti del Tatmadaw nelle zone di confine poi costituiscono un’altra potenziale fonte di diffusione delle armi leggere sotto forma di vendite “sottobanco” (non così comuni, apparentemente) e confische da parte dei movimenti di resistenza (che invece sono più frequenti). Tuttavia, gli armamenti prodotti dal Ka-Pa-Sa possono talvolta essere infungibili per altri attori per via di questioni legate per esempio alla incompatibilità con i calibri delle munizioni più comuni in circolazione, alla difficoltà nel reperire componenti di ricambio, o a problemi tecnici nell’uso delle munizioni di produzione birmana su armi prodotte altrove.
Le varie forme di resistenza armata emerse in questi mesi – in particolare la formazione dal basso di gruppi di difesa locali dopo gli eventi del 1° febbraio – hanno messo in luce un’ulteriore dinamica di proliferazione, ovvero la produzione artigianale di armi. Queste sono largamente diffuse soprattutto nelle zone di confine nella regione Sagaing, e negli Stati Chin e Karenni dove il loro uso è largamente legato alla caccia. A questo proposito è interessante notare però come nello Stato Shan, anch’esso caratterizzato da pratiche di manifattura artigianale di armi per la caccia, non si sia registrato un analogo livello di creazione e diffusione di unità di resistenza armata. Una spiegazione a tale differenza si può forse ricercare nella maggiore o minore influenza esercitata dalle svariate organizzazioni etniche armate sui diversi territori: molto elevata nello Stato Shan, assente o quantomeno meno minore in Sagaing, Chin e Kayin.
Sebbene le varie dinamiche citate, nel loro complesso, rendano le armi leggere ampiamente disponibili in Myanmar, l’accesso alle armi resta non immediato. Il Tatmadaw ha articolato stringenti misure sulla circolazione di armi e ne ha di fatto monopolizzato la produzione, mentre la produzione e diffusione informale rimane altamente connessa alle organizzazioni etniche armate che, a loro volta, hanno generato nel tempo strutture e pratiche di controllo centralizzato. In un panorama caratterizzato dall’assenza di supporto esterno, diretto e costante da parte di attori statali internazionali alle parti in conflitto e da una generale integrità degli arsenali del Tatmadaw prodotti su larga scala nelle zone centrali del paese, l’acquisizione di armi leggere è influenzata soprattutto dai meccanismi e dalle relazioni interne delle organizzazioni etniche armate così come dalle reti di relazioni tra queste e altri attori armati, come le forze paramilitari associate al Tatmadaw. Nella presente congiuntura ciò ha fatto sì che gli armamenti non circolino facilmente, né tra la società civile né tra le sezioni locali dei movimenti di resistenza al governo del Tatmadaw, e che la resistenza politica e armata al regime sia altamente esposta alle considerazioni politico-economiche e militari delle organizzazioni etniche armate.
Questo articolo è una versione ridotta e tradotta in italiano del report di ricerca “Arms proliferation amid heterogeneous resistance in Myanmar” di Francesco Buscemi, pubblicato da TRENDS Research.
Per saperne di più
Cheesman, N. (2017) “How in Myanmar ‘national races’ came to surpass citizenship and exclude Rohingya”, Journal of Contemporary Asia, 47(3). Disponibile su: https://doi.org/10.1080/00472336.2017.1297476
Selth, A. (1998) “Burma’s defence expenditure and arms ndustries”, Contemporary Security Policy, 19(2). Disponibile su: https://doi.org/10.1080/13523269808404189
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