Il binomio imprescindibile: la monarchia e le Forze armate thailandesi

Dalla conclusione del Secondo conflitto mondiale, la storia della Thailandia è stata caratterizzata da un lungo succedersi di colpi di Stato, principalmente guidati dalle Forze armate. Questa costante si accompagna a un altro importante punto fisso della storia e del panorama politico e istituzionale thailandese: la monarchia. Queste due istituzioni hanno condizionato in maniera determinante la storia del Paese dell’Asia sud-orientale, spesso spalleggiandosi e rafforzandosi vicendevolmente.

Il contesto storico

La Thailandia fino al 1932 era retta da una monarchia assoluta. Da quella data, proprio grazie a un colpo di Stato militare, il Paese divenne una monarchia costituzionale, ma il Re Rama VII abdicò, poiché riteneva che i militari usassero il potere in maniera eccessivamente autocratica. Il Regno fu governato dal 1935 al 1945 dal Generale Plaek Phibunsongkhram, mentre il monarca era il giovane Rama VIII[1].

Durante la Seconda guerra mondiale, la Thailandia si schierò con le “Potenze dell’Asse”, ma questo causò una ribellione interna, in opposizione all’occupazione giapponese del Paese. La conseguenza fu il momentaneo allontanamento dal potere del Generale Plaek. Nel 1946 Re Rama VIII fu ucciso e gli succedette il fratello Bhumibol Adulyadej, che ascese al trono col nome di Rama IX[2].

Poco dopo, nel 1947, un nuovo golpe organizzato da Plaek fece cadere il governo e il Generale riprese il posto di Primo ministro nel 1948 e vi rimase fino al 1957. Nel frattempo, la contrapposizione tra Stati Uniti e Unione Sovietica si fece sempre più radicale, e gli effetti si scaricarono anche nel Sud-Est asiatico. La Thailandia, in quel momento molto vicina agli Stati Uniti, appoggiò le operazioni americane contro il Viet Nam del Nord e il Laos, fornendo basi per l’aviazione statunitense. Il conflitto in Indocina ebbe delle conseguenze anche all’interno del Paese poiché si formarono delle organizzazioni di guerriglia comuniste che il governo combatté con durezza fino agli anni Ottanta, quando queste formazioni furono sconfitte o cedettero le armi[3].

Proprio in quegli anni prese il potere una fazione militare moderatamente conservatrice, che godeva dell’appoggio del Re, e che propose un’amnistia nei confronti dei ribelli comunisti, non a caso nel periodo che vide un fortissimo sviluppo dell’economia thailandese.

Il 2001 rappresenta un momento molto particolare per la storia del Regno. Il partito guidato dall’imprenditore Thaksin Shinawatra vinse le elezioni politiche, escludendo i rappresentanti delle Forze armate sia dall’esecutivo sia dal legislativo. Il nuovo partito al potere avviò una politica rivolta soprattutto a favorire le fasce più povere della popolazione, alienandosi però in questo modo la borghesia e le fasce più conservatrici della società. Al seguito anche della instabilità politica causata dallo tsunami del 2004, nel 2006 ci fu l’ennesimo colpo di Stato che riportò al potere i militari. Nonostante il controllo esercitato da questi, alle elezioni che si tennero nel 2007 vinse un partito di opposizione vicino alle posizioni di Thaksin, ma che fu fatto comunque cadere nel 2008 anche grazie a una serie di proteste portate avanti dai conservatori. Le manifestazioni di una buona parte della popolazione thailandese non si placarono e, anzi, continuarono per i tre anni successivi fino alla vittoria elettorale di Yingluck Shinawatra, sorella di Thaksin, che fu destituita nel 2014 con l’accusa di abuso di potere, insieme agli altri membri del suo governo[4].

In quella fase di forte instabilità, l’esercito attuò un nuovo colpo di Stato – il diciannovesimo dal 1932 – e il Comandante in capo dell’esercito, il Generale Prayut Chan-o-cha, si autoproclamò Primo ministro ad interim. Prayut, una volta alla guida del governo, si dimise dalle Forze armate e favorì la creazione di un nuovo partito, con forti legami con i militari e la polizia, dal nome Palang Pracharath. Dopo aver più volte rimandato le promesse elezioni, nessuna formazione politica otttenne una chiara maggioranza alle consultazioni del 2019 ma, grazie alla riforma costituzionale del 2017 che aveva permesso ai militari di controllare il Senato, il nuovo partito fu in grado di formare un governo riconfermando l’ormai ex Generale alla carica di Primo ministro.

L’intoccabile

La monarchia in tutto questo rimase sempre presente e quasi intoccabile. I due sovrani che hanno regnato in tutto questo periodo sono stati Rama IX e Rama X. In particolare, il primo ha regnato ininterrottamente dal 1946 fino alla sua morte, avvenuta nel 2016, riuscendo nel corso del tempo ad acquisire grande prestigio in patria e all’estero, grazie alle sue attività volte allo sviluppo interno e ai suoi interventi finalizzati al mantenimento della concordia nazionale. Il ruolo di Re Bhumibol fu molto importante anche perché col tempo cercò di trasformare le Forze armate thailandesi in una istituzione finalizzata al mantenimento della pace internazionale più che a uno strumento di offesa.

Questa sua politica, che gli permise di acquisire un immenso prestigio e di godere quasi di una venerazione da parte della popolazione thailandese, non lo protesse da critiche per il suo appoggio alle Forze armate quando queste operarono per reprimere le opposizioni, soprattutto di estrema sinistra. Re Bhumibol riuscì comunque a mantenere il suo status, tale da essere considerato una figura quasi sacra in Thailandia e la sua autorità non è mai stata messa in discussione. Egli non operò mai per allargare le prerogative regie.

Il discorso muta molto con l’ascesa del figlio Maha Vajiralongkorn, che prese il nome di Rama X. Il rapporto tra le Forze armate e il nuovo monarca, sulla carta, avrebbe potuto essere molto buono: il Re, infatti, appassionato di questioni belliche, ha conseguito una completa formazione militare, avendo studiato nelle accademie in Canada e Australia e conseguendo il brevetto di pilota militare negli Stati Uniti. Oltre a questo, Rama X ha anche partecipato ad alcune operazioni militari nella seconda metà degli anni Settanta del XX secolo, combattendo negli scontri avvenuti lungo i confini tra la Thailandia e la Cambogia[5].

Queste sue precedenti esperienze darebbero l’impressione di un monarca molto vicino alle posizioni dei militari. In realtà, Maha non gode della stessa stima del padre: il suo stile di vita stravagante (ad esempio, la nomina a Maresciallo dell’aria del suo cane Fufu)[6], la sua vita privata molto movimentata, la sua nomea di playboy, i suoi quattro matrimoni più l’amante ufficiale (prima infermiera militare, poi Generale della Guardia reale, cacciata e poi riammessa a Palazzo), il fatto che abbia vissuto per anni in Germania, il suo opulento stile di vita, il suo distacco con i sudditi (a differenza del padre, invece molto in contatto con la popolazione), non hanno di certo contribuito a garantirgli grande ascendente nei confronti della popolazione e nemmeno tra le Forze armate.

Eppure, l’istituzione della monarchia resta ancora centrale nella società thailandese, condizione che è stata tutelata anche dal draconiano reato di lesa maestà: la persona condannata per aver offeso la monarchia – non solo il sovrano, quindi, ma l’istituzione monarchica in senso lato – può subire fino a dieci anni di detenzione, un’incarcerazione estremamente lunga, ma ci sono stati recenti casi di condanne anche a periodi molto più lunghi[7].

I militari nel contesto politico thailandese

In tutto questo, le Forze armate thailandesi, che godono di così tanto potere e influenza, in che stato versano? Secondo alcuni analisti, in realtà le Forze armate danno solo l’impressione di essere coese e sempre schierate a favore del monarca[8]. Si sta aprendo una sempre maggiore frattura tra gli alti gradi e i più giovani militari, sempre più perplessi del perdurante ruolo di controllo sulla società che rivestono l’esercito e le altre forze di sicurezza.

La costante presenza, o ingerenza, delle Forze armate nella politica del Paese ha generato una situazione molto negativa per le stesse: la loro eccessiva politicizzazione. Il fatto che all’interno dell’esercito e delle altre armi ci siano fazioni in lotta non solo ha portato a una perdita di coesione, ma ha anche creato un altro effetto, che è sempre deleterio per ogni forza armata. Ovvero, che il sistema di promozioni e di assegnazione dei comandi risponde sempre di più a criteri politici, una scelta che non può garantire efficienza, ma al contrario crea disaffezione e nel lungo periodo una grave perdita di professionalità[9].

Quello che si è notato negli ultimi anni in Thailandia è che le Forze armate, ricostruite dopo il Secondo conflitto mondiale con lo scopo di essere uno strumento efficiente al quale ricorrere a livello internazionale e sufficientemente organizzato per affrontare i combattimenti regionali, stanno dimostrando una perdita di capacità operativa. Un altro cambiamento recente è strettamente collegato alla situazione politica e alle critiche che anche a livello internazionale vengono sempre più dirette contro le Forze armate. Dopo il 1945, i maggiori partner militari della Thailandia sono stati gli Stati Uniti[10]. Da un po’ di tempo però il governo di Washington ha criticato le interferenze dei militari nella politica interna thailandese e ciò ha spinto i thailandesi a guardare sempre più alla Cina come possibile interlocutore militare, con delle conseguenze sul lungo periodo ancora difficili da prevedere[11].

Il rapporto tra la monarchia thailandese e le Forze armate resta estremamente complesso, ma forse proprio il fatto che le proteste contro entrambe le istituzioni siano diventate progressivamente più forti, ha creato le condizioni perché queste due entità continuino a sostenersi l’un l’altra. Il monarca Rama X non ha mai goduto di grande stima all’interno delle cerchie militari, però non si è opposto alla permanenza al potere del Generale Prayut, malgrado il dissenso interno e le richieste internazionali di interrompere l’intromissione dei militari nella politica.

Allo stesso tempo, da parte del governo non c’è stata un’opposizione formale alle nuove stravaganze del Re, anzi il reato di lesa maestà è stato reso ancora più rigido sotto il suo Regno e in più c’è stato un grosso cambiamento per quanto riguarda le proprietà reali. I beni della Corona erano sempre stati intesi come beni di Stato, ma il nuovo Re ha fatto in modo che tutti questi diventassero di sua effettiva proprietà, potendone disporre liberamente e portando il suo patrimonio alla cifra stimata tra i trenta e i quaranta miliardi di dollari[12].

Il Re è anche stato criticato per la sua tendenza a intervenire con molta energia nella politica del Paese, con atteggiamenti che sembrano puntare a un ritorno all’assolutismo regio[13], eppure i militari non hanno dato segno di voler opporsi. Rama, come le Forze armate, però, sia nel 2020, ma soprattutto negli ultimi mesi del 2021, sono stati molto criticati dalla popolazione. Le recenti proteste, acuite dalla criticata gestione della pandemia da COVID-19, sono state viste come delle aperte critiche al suo potere e sebbene i manifestanti non abbiano espresso dirette critiche contro il monarca, si sono spinti a condannare espressamente il legame tra monarchia e Forze armate, denunciandolo come un ostacolo per la democrazia. Va anche notato come non sia casuale il fatto che alcune di queste proteste ebbero luogo proprio in occasione dell’anniversario della fine dell’assolutismo regio del 1932.

Conclusioni

La Thailandia resta un caso estremamente complesso, dove la monarchia mantiene la sua centralità nella società, pur iniziando a subire sempre più critiche. Allo stesso tempo le Forze armate non sembrano essere disposte a rinunciare al loro ruolo politico, ma necessitano dell’avallo reale per continuare a operare in questo senso. La monarchia sembra non poter prescindere ancora dai militari per proteggere i suoi privilegi e prerogative, e questi ultimi devono mantenere un buon rapporto con il Re.

Questo imprescindibile binomio, Palazzo-Forze armate, non è inteso come tale solo dagli osservatori esterni, ma anche la popolazione si rende chiaramente conto di come queste due entità, anche se non sempre in sintonia, sono strettamente legate. Infatti, anche le recenti proteste di piazza non sono state dirette al solo governo e ai militari che lo appoggiano o che ne fanno parte, ma anche alla monarchia.

Tale situazione sembra portare alla conclusione che queste due istituzioni, che magari non si stimano, non possono fare a meno l’una dell’altra, quindi resteranno sulle loro posizioni, al fine di garantire il loro status. Alla luce di quanto detto, non stupisce come le proteste di questi mesi e dell’anno passato non abbiano spinto il governo a concedere una più completa democrazia e allo stesso tempo Rama – che continua a passare molti mesi all’anno in Germania – non ha tolto il suo appoggio a Prayut. Il Re non sembra ancora disposto a rinunciare ai suoi poteri e all’ostentazione del suo stile di vita, affermando la necessità della monarchia per la società thailandese[14] e il suo affetto verso tutto il suo popolo, indipendentemente che gli sia favorevole o meno, ribadendo la necessità di trovare una qualche forma di compromesso[15], ma senza esporsi oltre e senza risolvere quel binomio, che proprio in questo periodo di crisi appare ancora molto forte.


[1] Schonk, K. (2004), Unarmed Insurrections: People Power Movements in Nondemocracies, Minneapolis; MN: University of Minnesota Press, pp. 120-141.

[2] Su Rama IX cfr. Handley, P.M. (2006), The King Never Smiles: A Biography of Thailand’s Bhumibol Adulyadej, New Haven; CT: Yale University Press.

[3] Sulla storia della Thailandia cfr. Baker, C. e Phongpaichit, P. (2005), A History of Thailand, Cambridge: Cambridge University Press.

[4] Cfr. Funston, N.J. (a cura di) (2009), Divided Over Thaksin: Thailand’s Coup and Problematic Transition, Singapore and Chiang Mai: ISEAS – Yusof Ishak Institute /Silkworm Books.

[5] The Bangkok Post (2016), “Long Live the King: Military Education”, 1° dicembre, disponibile online al link https://www.bangkokpost.com/life/social-and-lifestyle/1148940/military-education.

[6] Haberkorn, T. (2018), “Dictatorship, Monarchy, and Freedom of Expression in Thailand”, The Journal of Asian Studies, (4) 77, pp. 935-943.

[7] Ibi.

[8] In questo senso si inquadra anche l’opposizione espressa da Rama X alle proposte di riforma costituzionale proposte dal governo, cfr.: Luedi, J. (2017), “Thailand’s New King Faces off Against Junta”, Global Risk Insights, 12 gennaio, disponibile online al link https://globalriskinsights.com/2017/01/thailands-new-king-rama-x-confronts-junta/.

[9] Tra gli altri, Chambers, P. e Napisa Waitoolkiat N. (2016), “The Resilience of Monarchised Military in Thailand”, Journal of Contemporary Asia, (3) 46, pp. 425-444.

[10] Farrelly, N. (2013), “Why Democracy Struggles: Thailand’s Elite Coup Culture”, Australian Journal of International Affairs, 67 (3), pp. 291.

[11] Chambers, P. (2015), “Civil-Military Relations in Thailand since the 2014 Coup. The Tragedy of Security Sector ‘Deform’”, Peace Research Institute Frankfurt, Report No. 138, p. 17, disponibile online al link https://www.ssoar.info/ssoar/handle/document/46948.

[12] Reed, J. (2020), “All the King’s Money: Thailand Divided over a $US40b Question”, Financial Review, 14 ottobre, disponibile online al link https://www.afr.com/world/asia/all-the-king-s-money-thailand-divided-over-a-us40b-question-20201014-p564xr; e Luedi, J., op. cit.

[13] Tra gli altri cfr. Chachavalpongpun, P. (2020), “A King Above and Beyond Politics”, The New York Times, 5 dicembre.

[14] Beech, H. (2020), “Thailand steps up response as antigovernment protests escalate”, The New York Times, 17 ottobre.

[15] Miller, J., Olarn, K. e Regan, H. (2020), “Thai King addresses protesters in rare public comments, saying he ‘loves them all the same’”, CNN, 1° novembre, disponibile online al link https://web.archive.org/web/20201102133055/https://edition.cnn.com/2020/11/01/asia/thailand-king-vajiralongkorn-protests-intl-hnk/index.html.


 

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