Dopo più di un mese dall’inizio dell’offensiva russa in Ucraina, l’interpretazione più condivisa dagli analisti internazionali è il fallimento della Blitzkrieg di Putin. La cosiddetta “operazione speciale” russa avviata il 24 febbraio prevedeva un rapido e coordinato attacco concentrato sulla presa simultanea di città chiave (la capitale Kiev, Kherson nel sud, Kharkiv a nord-est e Mariupol a sud-est), aeroporti (in primis quello di Hostomel, nei pressi di Kiev) e infrastrutture critiche (sopra tutte la centrale nucleare di Zaporizhzhia).
Un attacco lampo, per essere vittorioso, si fonda sul successo in quattro dimensioni chiave. La prima di queste è la soppressione delle difese aeree dell’avversario, ottenuta per mezzo di missioni SEAD (Suppression of Enemy Air Defenses). In questa dimensione, lo sforzo esercitato dai Russi è stato non debilitante per le difese ucraine. I principali motivi del fallimento sono stati l’inesperienza dell’aeronautica russa nel condurre questo tipo di operazioni, e il fatto che siano concepite dallo stato maggiore come missioni tattiche invece che come operazioni aeree indipendenti che richiedono capacità e risorse dedicate: ciò ha comportato la mancanza di addestramento specialistico dei piloti e la conseguente criticità nel coordinamento del fuoco aereo tra le forze terrestri e l’aeronautica militare.
La seconda dimensione chiave consiste nella creazione di una testa di ponte su obiettivi strategici. Il controllo di obiettivi chiave all’interno del territorio nemico è una precondizione essenziale della guerra lampo. Nel contesto dell’operazione russa in Ucraina il caso più esemplificativo è quello dell’aeroporto di Hostomel: il 24 febbraio la 45esima Brigata Spetsnaz e le unità speciali della VDV (Vozdushno-desantnye Voyska Rossii, i paracadutisti russi) atterrarono direttamente sulle piste dell’aeroporto dopo l’attacco di circa 30 elicotteri d’assalto Kamov Ka-52 “Alligator” alle difese antiaeree ucraine. A difesa dell’aeroporto l’Ucraina aveva schierato un piccolo contingente della Guardia Nazionale, che attivò immediatamente la Quick Reaction Force (la 4a Brigata di Intervento Rapido) e dispiegò i caccia e gli elicotteri d’assalto rimasti illesi dalla prima ondata di bombardamenti russi. Nel giro di tre ore gli Ucraini riuscirono a ristabilire il pieno controllo dell’area, evitando così l’atterraggio di 18 aerei russi da trasporto truppe e materiali (Ilyushin Il-76) carichi di forze speciali pronte all’assalto in direzione Kiev. Le perdite umane e materiali dei Russi furono ingenti e costrinsero le unità di élite a ritirarsi dall’area in attesa di rinforzi da parte delle colonne meccanizzate provenienti dal confine bielorusso. L’insuccesso russo nel rendere sicuri i cieli sopra la zona di lancio e la conseguente incapacità di ritardare l’arrivo dei rinforzi ucraini condannarono al fallimento la cruciale operazione aviotrasportata su Hostomel fin dall’inizio, con importanti conseguenze per la riuscita dell’intera operazione: avendo fallito nelle SEAD, i Russi non sono riusciti a creare le condizioni per prendere l’aeroporto e a cascata non hanno ottenuto la testa di ponte di cui avevano bisogno per l’ingresso di nuove truppe e il supporto a quelle già in campo.
La terza dimensione fondamentale delle guerre lampo riguarda l’utilizzo di elicotteri d’assalto per proteggere le teste di ponte, interrompere i movimenti via terra dell’avversario e condurre missioni volte a distruggere le difese nemiche (DEAD, Destruction of Enemy Defenses). È quasi superfluo dire che senza aver prima raggiunto la superiorità aerea e aver neutralizzato (o almeno ridotto sensibilmente) le difese aeree nemiche è impraticabile conseguire tali obiettivi. E così è stato, infatti, per i Russi: essendo ancora largamente esposti ai moderni sistemi di difesa antiaerea ucraini, i piloti russi sono stati costretti a condurre sortite a quote di sicurezza, cioè a mantenere altitudini molto elevate quando alla guida di caccia e molto basse nel caso di elicotteri d’assalto. Il risultato è stato sotto agli occhi di tutti: minore efficacia e precisione nel colpire obiettivi militari e maggiori danni “collaterali” sui civili.
Tutte queste criticità incidono significatamene anche sull’ultima delle quattro dimensioni chiave prese in esame: l’assalto ai centri urbani condotto da brigate meccanizzate leggere. Nel tentativo russo di Blitzkrieg, l’obiettivo era far breccia nelle difese cittadine con l’intento di accerchiare e isolare i difensori impedendo l’afflusso di rifornimenti dall’esterno. In assenza di protezione aerea, le colonne russe sono state costantemente oggetto di attacchi mirati da parte dei letali e moderni droni turchi TB2 “Bayraktar” recentemente acquisiti dall’aeronautica ucraina. Non riuscendo a raggiungere gli obiettivi prefissati, le forze terrestri russe sono spesso rimaste isolate in territorio nemico, tagliate fuori dalle linee di rifornimento e costrette ad abbandonare i propri mezzi, lasciandoli alla mercé della popolazione ucraina: è diventata iconica l’immagine degli agricoltori ucraini che con i loro trattori trainano i carri armati russi senza munizioni né carburante ed è significativo notare che a fine marzo, l’esercito ucraino contava più carri armati di quelli che possedeva il 23 febbraio.
Sono quindi bastate 48 ore dall’inizio dell’offensiva russa per definire le sorti del tentativo di guerra lampo. Con il fallimento russo nelle quattro dimensioni chiave, la dinamica dello scontro è inevitabilmente divenuta quella di attrito. Questo cambio di passo ha però portato alla luce ulteriori criticità sistemiche dell’apparato militare di Mosca, a partire dalla dottrina di comando e controllo. Quella russa si fonda su un modello centralizzato e, di conseguenza, meno flessibile rispetto alla controparte NATO, basato invece su un modello “mission-oriented” che permette di sfruttare maggiormente l’iniziativa autonoma delle singole unità e, quindi, di adattarsi alle esigenze di un campo di battaglia caotico e in continua evoluzione. Pur essendosi modernizzato negli anni di governo di Putin, l’esercito russo non ha mai abbracciato la più flessibile struttura di comando e controllo decentralizzata, come invece hanno fatto gli Ucraini.
Un’altra carenza delle forze armate russe è data dall’assenza della figura professionale dei Non-Commisioner Officer (NCO), cioè di un soldato professionista che guadagna i suoi gradi (solitamente a livello di sottoufficiale) scalando la gerarchia e non tramite acquisizione del ruolo tramite concorso. Senza NCO, la trasmissione ed esecuzione di ordini sul campo di battaglia è dunque gestita da ufficiali per la maggior parte ingaggiati con formule contrattuali a breve termine, obbligati a esporsi sul campo nonostante la poca esperienza, lo scarso legame con le truppe subordinate e la limitata capacità di agire a causa della grave carenza nel coordinamento delle operazioni con le forze di supporto, in primis aeronautica e artiglieria. Il Pentagono ha recentemente dichiarato di non essere in grado di identificare chi sia effettivamente al comando delle operazioni dell’offensiva russa: sono stati individuati solo comandanti a livello di brigata e divisione, costretti a porsi fisicamente sul campo di battaglia per guidare le loro unità con gravi e costanti perdite. Al momento della redazione di questo breve articolo, quindi a poco più di un mese dall’inizio delle ostilità, si parla di già sette generali russi uccisi in combattimento: un dato superiore persino alla media di perdite mensili di generali durante la Secondo guerra mondiale.
Un terzo aspetto critico riguarda lo scollamento tra lo sfoggio di mezzi e materiali tecnologicamente avanzati mostrati nelle parate militari russe e la realtà sul campo, dove finora sono stati impiegati equipaggiamenti vetusti e inadeguati. Tecnologicamente parlando, il problema più grave per i Russi risiede nella gestione insicura delle comunicazioni. Come dimostrato dalle numerose intercettazioni radio rese pubbliche dai media, le forze russe fanno uso di radio ad alta frequenza (AF) non criptate e telefoni cellulari per comunicazioni a lungo raggio. L’uso della clearnet (rete radio in chiaro) per comunicazioni tattiche è considerata una pratica non professionale e disfunzionale. Se a questo si aggiunge la mancanza di segmentazione tematica sugli stessi canali di trasmissione e, quindi, il mescolamento di comunicazioni logistiche, tattiche e di supporto, si può comprendere quanto siano vulnerabili e non adeguati i canali russi di comunicazione.
Un ultimo aspetto da prendere in considerazione per quel che riguarda le criticità sistemiche dell’apparato militare russo è l’utilizzo di tattiche operative non adatte al contesto bellico di riferimento. Fin dal periodo sovietico, la dottrina di impiego della forza russa si fonda sul mantenimento della superiorità di fuoco sull’avversario. Storicamente, tale superiorità si è sempre espressa con l’impiego di una vasta gamma di piattaforme di fuoco indiretto (in particolare tramite missili a lungo raggio) che supportano i movimenti di unità meccanizzate con elevata capacità di fuoco diretto: un dispositivo letale in caso di scontro frontale tra forze corazzate, ma ben poco efficace in ottica di guerra urbana e asimmetrica come quella in Ucraina.
In ultima analisi, l’insieme dei problemi elencati ha avuto e continua ad avere un impatto dirimente sulla capacità della Russia di condurre con successo le proprie operazioni belliche. D’altra parte, l’Ucraina ha saputo sfruttare efficacemente le molte vulnerabilità del nemico, e ne vanno riconosciuti importanti meriti anche nelle fasi di preparazione e gestione del conflitto, a partire dallo schieramento delle proprie forze. La scelta di Kiev è stata quella di concentrare l’esercito regolare, addestrato e ben armato, nelle operazioni di guerriglia fuori dalle città e di utilizzare le milizie e i volontari civili per il presidio delle aree urbane. L’esercito regolare è stato così suddiviso in strutture di livello plotone e compagnia con capacità di combattimento autonome. Queste forze sono prevalentemente equipaggiate con armi anti-carro e svolgono attività di ricognizione e pattuglia a lungo raggio andando a intercettare le unità mobili russe per tendere letali imboscate (soprattutto alle colonne di mezzi di trasporto rifornimenti) per poi disperdersi rapidamente.
Inoltre, per superare l’enorme svantaggio aereonautico, Kiev ha optato per l’adozione di un modello di “guerriglia” anche nei cieli, disperdendo i propri aerei da combattimento in basi aeree secondarie (e probabilmente anche in autostrade) poco prima dell’invasione, per evitare che fossero distrutti a terra dagli attacchi missilistici russi. In parallelo, per tendere imboscate agli aerei da guerra russi, le batterie di difesa aerea a terra hanno attivato i loro radar solo per brevi lassi di tempo (spesso sfruttando l’aiuto di una rete di osservatori a terra in stile Seconda guerra mondiale), risultando quindi più difficili da tracciare. Infine, nelle proprie sortite, i caccia ucraini, inferiori in numero, hanno tendenzialmente rinunciato allo scontro diretto per attirare i velivoli nemici sotto il tiro diretto delle difese antiaeree mobili a terra.
Va poi menzionato il tema della resistenza popolare. La straordinarietà risiede nel numero e nella velocità della mobilitazione: in meno di una settimana le cosiddette “forze di difesa territoriale” (composte da civili armati) hanno superato in numero gli effettivi dell’esercito regolare. La compattezza e determinazione del popolo ucraino e l’abile strategia comunicativa del presidente Zelensky hanno inoltre creato condizioni di deterrenza credibili ed efficaci, anche per un nemico che, sulla carta, potrebbe apparire come un gigante invincibile.
In conclusione, nonostante il tentativo di guerra lampo sia chiaramente fallito, la Russia può ancora tentare di ottenere una qualche vittoria rivedendo il suo piano originario e cercando di impiegare a suo vantaggio il fattore tempo. Più tempo significa avere la possibilità di riorganizzare le unità logorate, mobilitare i coscritti della nuova leva ed eventualmente spingersi fino a dichiarare ufficialmente lo stato di guerra. Quest’ultima manovra ha un costo politico elevato, ma consentirebbe al Cremlino di ricorrere all’economia di guerra e al reclutamento di massa per sostenere uno sforzo bellico prolungato. Sul fronte ucraino, invece, il fattore limitante è proprio quello umano poiché tutte le forze mobilitabili sono già sotto stress dal 24 febbraio e gli aiuti occidentali non possono rimpiazzare soldati e ufficiali. Non si sa quanto a lungo il popolo ucraino potrà resistere alle enormi sofferenze causate dalla guerra né per quanto tempo la Russia riuscirà a far fronte alle pesanti sanzioni economiche impostegli dall’Occidente. Ma se la partita diventa lunga, Putin può sperare che con l’estensione della durata del conflitto inizino a manifestarsi crepe nella compattezza fin qui manifestata dall’Occidente.
Per saperne di più
Graham, G. and Edwards, G. (2022) Russia’s war in Ukraine and the use of wide-area weapons in populated areas. RUSI Commentary.
Jenkins, B.M. (2022) The will to fight, lessons from Ukraine. Rand Blog.
Jones, S., Rathbone, J.P. e Sevastopulo, D. (2022) ‘A serious failure’: Scale of Russia’s military blunders become clear. Financial Times.
RAND (2019) What will Russian military capabilities look like in the future. RAND Research Brief.
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