Nel primo semestre del 2016 la regione del Mekong, che comprende Cambogia, Laos, Myanmar, Thailandia, Vietnam e la provincia cinese dello Yunnan, ha dovuto far fronte allo spettro della siccità provocata da El Niño. La Thailandia ha risposto all’emergenza installando dozzine di stazioni di pompaggio lungo il corso principale del Mekong, con lo scopo di estrarre 47 milioni cubici di metri d’acqua in tre mesi per irrigare i campi assetati nel Nord-est del Paese, una delle regioni più povere della Thailandia. Gli stati a valle hanno chiesto a Bangkok di sottoporre tali attività alla Mekong River Commission (MRC), organo intergovernativo che, oltre alla Thailandia, annovera tra i propri membri Cambogia, Laos e Vietnam, e che funge da piattaforma negoziale tra i paesi rivieraschi per le questioni inerenti appunto il Mekong. Tuttavia, la Thailandia ha sostenuto che non ci fossero gli estremi per tale richiesta dato il quantitativo esiguo d’acqua prelevata e che, in ogni caso, sottoporre interventi di sviluppo alla procedura della MRC (Procedures for Notification, Prior Consultation and Agreement) fosse necessario solo in presenza di un trasferimento d’acqua dal bacino del Mekong a un altro bacino. Una siffatta interpretazione, tuttavia, non è corretta essendo l’accordo istitutivo della MRC siglato nel 1995 molto chiaro al riguardo, specialmente durante la stagione secca.
Il Vietnam, nel frattempo, si è unito alla diatriba soprattutto spinto dalle preoccupazioni derivanti dai danni che la siccità stava provocando al delta del Mekong, il granaio del Paese. La responsabilità può essere attribuita alla Cina dal momento che le dighe cinesi a monte impediscono al delta di fornire tre colture di riso all’anno trattenendo i depositi di sedimenti fertili. Il Vietnam ha ragione in quanto la Cina, che genera circa il 45% dei sedimenti del fiume, ne blocca con le proprie dighe una quota rilevante, ma è al contempo ambiguo se si considera che gli Altipiani centrali vietnamiti producono una quantità simile di sedimenti che viene però intrappolata in dighe costruite dallo stesso Vietnam. Impassibile di fronte al bue che dà del cornuto all’asino, la Cina ha comunque avuto pietà del Vietnam e ha rilasciato quantitativi rilevanti d’acqua dalla diga di Jinghong per aiutare i suoi assetati vicini a Sud. Ma le dighe cinesi sono troppo lontane dalla foce, e l’acqua rilasciata ha raggiunto solo in minima parte il delta del Mekong, per essere invece probabilmente risucchiata dalle pompe thailandesi a metà strada scendendo lungo il corso del fiume.
Tali dispute si sono afflosciate con l’avvento delle piogge, e le preoccupazioni legate alla scarsità di acqua si sono trasformate in paura di un flusso eccessivo. Ciononostante, le discussioni e le accuse di inizio anno hanno rivelato divisioni profonde tra i paesi del Mekong che la MRC è stata incapace di risolvere. Quest’ultima, inoltre, è stata devastata da riforme e modifiche drastiche al proprio modus operandi, che hanno solo contribuito ad accrescere le ambiguità legate alla governance e alla gestione dell’acqua a livello regionale.
In questo scoppiettante mix idropolitico, la Cina nel marzo 2016 ha annunciato la creazione del Lancang-Mekong Cooperation Mechanism (LMCM), in coincidenza con il rilascio d’acqua dalla diga di Jinghong. Tale meccanismo è designato a ‘rafforzare la cooperazione nei settori delle infrastrutture, macchinari per l’ingegneria, elettricità, materiali da costruzione, e comunicazioni’. Lo schema prevede 10 miliardi di renminbi in prestiti agevolati e una linea di credito pari a 10 miliardi di dollari suddivisa in 5 miliardi di dollari in crediti acquirente preferenziale e 5 miliardi di dollari in prestiti speciali nella cooperazione legata allo sviluppo delle capacità produttive. A differenza della MRC in cui Cina e Myanmar partecipano solo in qualità di ‘dialogue partners’, il LMCM include tutti i paesi rivieraschi. Il fondo ha lo scopo di finanziare fino a 20 dighe nella regione. Le imprese cinesi sono già i costruttori di dighe più attivi nel bacino del Mekong con 57 dighe commissionate, 12 in costruzione e 16 pianificate o proposte. Tra queste ultime vi è la diga di Pak Beng, che presto sarà annunciata e che verrà costruita lungo la parte laotiana del corso principale del Mekong dalla cinese Datang International.
Il LMCM, tuttavia, non è solo finanza: il focus sulla cooperazione legata alle risorse idriche accresce l’egemonia cinese nella regione e potrebbe compromettere gli sforzi della MRC, sostenuta economicamente da attori occidentali, e della Lower-Mekong Initiative promossa dagli Stati Uniti. Il meccanismo aumenta così il potere e l’influenza cinesi nell’area e fornisce a Pechino una leva per far pressione sui Paesi ASEAN su questioni quali le dispute nel Mar Cinese Meridionale, garantendo alla Cina il ruolo di leader in materia di gestione delle risorse idriche nella regione.
Per contro, la Cina non ha meccanismi analoghi per esercitare tale influenza in Myanmar nei bacini dei fiumi Irrawaddy e Salween. La diga di Myitsone da 6,000 MW, che sarebbe dovuta essere costruita dalla China Power Investment Corporation, ha rappresentato una débacle estremamente significativa e la sospensione decisa nel settembre 2011 dal Presidente birmano ha avuto un notevole impatto sui rapporti tra i due Paesi. Considerando il processo di pace in atto in Myanmar, appare in modo evidente la crucialità della relazione tra conflitto e condivisione dei benefici – e costi – derivanti dallo sfruttamento delle risorse naturali. Tuttavia, Pechino ha scelto di rimanere per lo più in silenzio su tali questioni. Gli scontri nell’area Karen del settembre 2016 sono stati considerati da attivisti e ONG parte dello sforzo della Guardia di Frontiera Birmana per spostare la popolazione dalla zona d’inondazione della diga di Hatgyi che sarà costruita dalla cinese Sinohydro. Tali eventi, non isolati, hanno nutrito le speculazioni di oscuri accordi dietro le quinte tra l’esercito birmano, che mantiene il controllo sul 25% dei seggi in parlamento, e le aziende costruttrici di impianti idroelettrici, soprattutto cinesi. Questi sospetti hanno contribuito a creare spazio per gli interventi di attori occidentali, come nel caso del prestito da 100 milioni di dollari erogato dalla Banca Mondiale per rafforzare e migliorare le capacità di gestione delle risorse idriche del Myanmar.
La gestione dell’acqua sta assumendo un ruolo via via crescente nell’agenda politica della regione del Mekong. Gli esempi riportati in questo articolo illustrano come politica ed economia influenzano e plasmano il dibattito sull’acqua tanto a livello locale, quanto su scala transfrontaliera. Lo sviluppo di impianti idroelettrici è, infatti, intimamente collegato ad aiuti e commercio, e l’irrigazione è uno strumento importante per mantenere il consenso presso i contadini. Dato che la dimensione politica della gestione delle risorse idriche viene esacerbata dal cambiamento climatico e da eventi metereologici estremi, è probabile che la sete d’acqua diverrà ancora più intimamente legata a potere e politica.
(Traduzione dall’inglese a cura di Gabriele Giovannini)
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