L’Islam politico sembra rinascere in Indonesia e qualcuno potrebbe vedere questo trend come un fenomeno preoccupante, dato che esso è spesso associato a preferenze antidemocratiche. Viene, infatti, definito come la galassia di movimenti globali ispirati dagli scritti di ideologi quali Mawdudi in Pakistan, Qutb in Egitto e Khomeini in Iran, accomunati dall’obiettivo di costituire uno stato islamico globale basato sul Corano la cui eredità ha influenzato anche gruppi violenti come al-Qaida. Tuttavia, quello che sta avvenendo in Indonesia, nonostante alcune sovrapposizioni con il più ampio movimento globale, presenta una dimensione marcatamente domestica.
Il caso più recente che ha proiettato l’Islam politico indonesiano all’attenzione internazionale è rappresentato dal movimento di protesta contro il Governatore di Giacarta, Basuki Tjahaja Purnama, solitamente citato usando solo il soprannome Ahok, un cristiano di origini cinesi e uno stretto alleato dell’attuale Presidente Joko Widodo. In un discorso durante la campagna elettorale pronunciato lo scorso settembre, Ahok ha scatenato la dura reazione di alcuni leader musulmani conservatori per aver citato un verso del Corano nel suo appello agli elettori di non farsi ingannare dai leader religiosi che utilizzano tale verso per sostenere la tesi secondo cui i musulmani non debbano essere governati da non musulmani. La diatriba si è intensificata quando una fonte online ha pubblicato una versione rivista del discorso che lasciava intendere che Ahok avesse etichettato come fuorviante il verso stesso e non solo la sua interpretazione strumentale.
Il video ha avuto ripercussioni pubbliche notevoli, favorite soprattutto dal Fronte dei difensori dell’Islam (FPI), un gruppo islamico conservatore che persegue la linea intransigente e già da tempo in conflitto con Ahok. Durante tre manifestazioni tra novembre e dicembre 2016 centinaia di migliaia di manifestanti hanno invaso le strade della capitale, domandando la rimozione di Ahok dalla carica di Governatore e la sua condanna per blasfemia. Inizialmente le manifestazioni avevano visto la partecipazione solo delle frange più estreme del FPI, ma alla terza manifestazione organizzata il 2 dicembre 2016 ha partecipato lo stesso Presidente assieme al Capo della Polizia di Stato, una mossa che secondo alcuni potrebbe rivelarsi un boomerang. Benché le dimostrazioni siano state definite dagli organizzatori come azioni per difendere l’Islam, alcuni osservatori le hanno valutate come parte di una più ampia strategia finalizzata a minare il sostegno di cui gode il Presidente Widodo. Se Ahok venisse rimosso e sostituito con un musulmano conservatore, come chiedono i manifestanti, le possibilità per Joko Widodo di essere rieletto potrebbero infatti diminuire. Tuttavia, quello di Ahok non costituisce l’unico caso recente in cui gruppi musulmani conservatori hanno dimostrato la propria intolleranza verso altri gruppi religiosi nel Paese. Lo scorso dicembre, ad esempio, un gruppo che si fa chiamare Ahlu Sunnah Defenders (PAS) ha costretto la chiesa cristiana di Bandung, il capoluogo provinciale di Giava Occidentale, a cancellare la cerimonia natalizia.
Pertanto, al di là dei singoli casi, occorre domandarsi quanto il fenomeno dell’intolleranza religiosa sia diffuso in Indonesia. Secondo una recente indagine della Wahid Foundation, il 7,7% degli indonesiani di fede musulmana appoggia le ideologie radicali, e lo 0,4% ha compiuto almeno un atto di intolleranza nel corso della propria vita. Pur essendo una minoranza in termini relativi, essi costituiscono un gruppo ingente se si guarda al dato assoluto. Infatti, stando al censimento del 2010, l’87,2% della popolazione indonesiana è musulmano, ovvero circa 207 milioni di persone. Di conseguenza il 7,7% e lo 0,04% significano rispettivamente 16 milioni e 800 mila individui. Il numero dei militanti indonesiani che crede in forme violente di Islam politico, tuttavia, è inferiore; secondo i dati dell’Agenzia Nazionale Antiterrorismo (BNPT) ci sono circa 500 indonesiani attualmente in guerra nelle fila dello Stato Islamico in Siria. Nonostante il numero limitato, questi militanti pongono una minaccia concreta alla sicurezza del Paese, acuitasi in seguito al recente appello ad attacchi sul suolo indonesiano lanciato da un esponente indonesiano di spicco dello Stato Islamico. Inoltre, sebbene Jemaah Islamiyah (JI) – organizzazione terroristica che ha compiuto vari attentati negli anni Duemila – abbia perso gran parte della propria capacità operativa, recenti rapporti hanno confermato che è ancora attiva e che conta sul supporto di centinaia di militanti. JI, assieme ad altri gruppi come Jamaah Ansharut Tauhid (JAT) e Jamaah Ansharut Daulah (JAD), rappresenta pertanto ancora una minaccia che non deve essere sottovalutata.
Tuttavia ci sono anche ragioni per essere ottimisti. In seguito agli attacchi del PAS contro le chiese di Bandung, la maggiore organizzazione musulmana del Paese, Nahdlatul Ulama (NU), ha dichiarato che i propri giovani avrebbero aiutato i cristiani a celebrare pacificamente il Natale, chiedendo altresì al governo di dissolvere il PAS per le sue azioni brutali. Inoltre, in seguito alla serie di attacchi terroristici con il marchio dello Stato Islamico che ha colpito Giacarta nel gennaio 2016, tramite i social media la popolazione ha iniziato a rilanciare l’hashtag #KamiTidakTakut: “noi non abbiamo paura”. La società civile indonesiana mostra quindi segnali vitali di resilienza all’intolleranza promossa dai gruppi islamici fondamentalisti e i dati che emergono dal già citato studio della Wahid Foundation lo confermano. Infatti, il 72% dei musulmani indonesiani rifiuta il radicalismo, il 74,5% crede che la democrazia sia il miglior sistema politico per l’Indonesia e l’82,3% sostiene il Pancasila come ideologia nazionale. Tutto ciò è rassicurante poiché il Pancasila, che costituisce il fondamento filosofico ufficiale del Paese, unisce la popolazione indonesiana superando differenze religiose ed etniche. Il Pancasila, che significa Cinque Principi, racchiude i cinque elementi principali e inseparabili su cui si basa il Paese: 1) fede nell’unico e solo Dio; 2) giustizia e civiltà umana; 3) unità dell’Indonesia; 4) democrazia guidata dalla saggezza interiore dell’unanimità derivata dalle delibere dei rappresentanti; 5) giustizia sociale per tutto il popolo indonesiano. Per concludere, nonostante permangano segnali preoccupanti, la democrazia indonesiana appare non solo temprata, ma anche più forte rispetto alle spinte antidemocratiche provenienti da una minoranza della popolazione, e l’appello degli ideologi estremisti dell’Islam politico e del jihadismo non ha presa sulla grande maggioranza degli indonesiani. Traduzione dall’inglese a cura di Gabriele Giovannini
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