La traiettoria politica di Anies Baswedan tra spazio diasporico e moderatismo

Chi è Anies Baswedan 

Anies Baswedan, ex-governatore di Giacarta, si è affermato come figura chiave alle ultime elezioni presidenziali, conquistando il secondo posto con il 25% dei voti. La sua candidatura, sostenuta dall’alleanza elettorale guidata dal NasDem e dalla Coalizione del Cambiamento per l’Unità (KPP), aveva lo slogan “Il movimento porta cambiamento. Pronto a guidare in tempi di crisi. A sostegno della giustizia” e ha beneficiato dell’alleanza con Muhaimin Iskandar, presidente del Partito del Risveglio Nazionale (PKB) e figura prominente di Nahdatul Ulama, la più grande associazione religiosa del paese.

Anies Baswedan, 54 anni, è una delle stelle del panorama politico indonesiano, anche piuttosto giovane se paragonato al vincente Probowo (72 anni). Proviene da una famiglia di discendenza araba originaria dell’Hadramaut – regione dell’odierno Yemen – resa celebre dall’impegno politico del nonno, Abdurrahman Baswedan, che a seguito delle sue lotte indipendentiste anticoloniali ricevette il titolo di eroe nazionale e che si spese per l’integrazione della comunità araba nel nascente Stato indonesiano[1].

Il percorso di Anies (è con il suo nome che viene chiamato in Indonesia) esemplifica il rapporto tra la diaspora hadramitica, la politica nazionale e l’autorità religiosa, in una delle democrazie con la più grande varietà etnica, linguistica e confessionale del mondo. La sua evoluzione mostra come l’identità in diaspora non sia riducibile né a un elemento fisso inalienabile, né necessariamente a un moto nostalgico verso un luogo ancestrale considerato la terra d’origine. Allo stesso tempo, solleva domande importanti sullo stato della democrazia indonesiana, specie riguardo alla relazione tra nazionalismo e religione.

Posizioni elitarie di un Islam moderato

Anies Baswedan ha una laurea in Economia all’Università Gadjah Mada di Yogyakarta, tra gli istituti più prestigiosi dell’Indonesia, un Master all’Università del Maryland e un dottorato in Scienze Politiche all’Università dell’Illinois, dopo il quale diviene rettore dell’Università islamica Paramadina di Giacarta, probabilmente per via del proprio capitale sociale.

Nel 2013 fa il suo ingresso nella scena politica partecipando alla campagna elettorale per le presidenziali dell’allora governatore di Giacarta Joko Widodo, nella cui Amministrazione diventa ministro dell’Educazione e della Cultura.

Fino al 2016 le sue traiettorie politiche e professionali incarnavano gli ideali assimilazionisti del nonno e la sua rete sociale coincideva con una classe sociale urbana, istruita in inglese e ascritta ad un cosmopolitismo di stampo occidentale, distante dal cosmopolitismo diasporico Hadramitico[2]. In quell’anno entra nel violento confronto elettorale per il governatorato di Giacarta centrato su differenze confessionali ed etniche, sconfiggendo il governatore in carica Tjahaja Purnama, popolarmente chiamato Ahok, di origini cinesi e confessione cristiana, in quel momento in stato di fermo preventivo con l’accusa di blasfemia.

L’elezione a governatore di Giacarta ha rappresentato per Anies il trampolino di lancio per la sua candidatura presidenziale. Tuttavia, ha suscitato un dibattito significativo sul futuro della democrazia in Indonesia – Paese che detiene il primato della nazione musulmana più popolosa al mondo – per aver ricevuto il sostegno di gruppi islamisti radicali, sia durante questa campagna elettorale sia quando è diventato governatore. Non a caso, nel sito web di presentazione della sua figura politica, nella sezione Testimonianze spiccano quelle di un influente prete cristiano di Giacarta, di un esponente Hindu balinese e di un membro dell’agenzia LaporCovid19 di Giacarta, probabilmente per mitigare gli attacchi di chi lo vede come un politico avvezzo a identity politics e per mettere in risalto i presunti successi nella gestione dell’emergenza sanitaria da COVID-19[3].

La carriera politica di Anies Baswedan richiama l’impegno politico del nonno, non solo nell’adesione al nazionalismo indonesiano, ma anche e soprattutto nel sostegno verso una forma di Islam moderata.

Un punto fondamentale della storia del nonno consiste nel sostenere l’indonesianità della comunità araba presente sul territorio, in contrapposizione all’etichetta di “stranieri orientali” attribuita dalla potenza coloniale olandese a diverse comunità percepite come non-autoctone, come quelle di origine cinese e indiana[4].

Quello che però non traspariva, almeno fino al 2016, era proprio il legame di Anies con la comunità di origine araba, sia perché prima di allora non aveva avuto particolari contatti pubblici con la comunità, sia perché le sue azioni non sono state osservate alla luce della sua appartenenza alla diaspora[5].

In questo articolo mi propongo di mostrare come alcune delle pratiche di Anies Baswedan lo abbiano condotto a un reinserimento nella comunità di origine Hadramitica e a un avvicinamento a elementi più rigidi di Islam politico. Così facendo, egli si è in parte allontanato dalle sue posizioni moderate, riconfigurandosi come elemento anti-establishment, difensore delle fasce fragili e vulnerabili della società indonesiana.

Il capitale simbolico degli arabi indonesiani

Nel dicembre del 2022 mi trovavo nel quartiere Pekhojan di Giacarta, uno dei primi Kampung Arab (Distretti Arabi) dell’Indonesia in cui le forze coloniali olandesi collocavano gli individui percepiti come migranti, per intervistare un Habib, un leader di origine araba membro della Tariqat ’Alawiyya, confraternita sufi legata alla diaspora Hadramitica e molto presente in Indonesia e sulle coste dell’Oceano Indiano. La mia intervista fu interrotta da una donna arrivata da Condet, un altro quartiere arabo di Giacarta, che chiedeva consigli su un’eredità in Hadramaut, facendo emergere il valore della genealogia per gli Hadramiti in Indonesia e in Hadramaut, nonché l’onestà (kejujuran) e affidabilità (amanah) degli Hadramiti, che in quanto ligi al diritto ereditario islamico le avrebbero riconosciuto quel che le spettava. In confronto, l’Indonesia risultava uno Stato secolare corrotto. La donna nominò le imminenti elezioni presidenziali e introdusse Anies Baswedan come Jamaah, l’etnonimo endogeno che utilizzano gli indonesiani di origine araba, associato a un capitale simbolico che conferisce una certa legittimità in materia religiosa. Proseguendo la conversazione mi resi conto che la donna lo supportava non solo per l’origine Jamaah ma anche per diverse pratiche che si intrecciano con la sua identità diasporica, iscrivendosi in uno spazio socioculturale in cui credenze religiose e influenze politiche si alimentano a vicenda[6]. Così, Anies Baswedan si è mosso all’interno di questo campo avvicinandosi alla sua eredità diasporica e venendo associato ad elementi di Islam più radicale.

L’identità diasporica come pratica

Gli individui in diaspora si muovono in uno spazio che va oltre quello fisico, spesso descritto in termini di dispersione geografica o pratiche culturali condivise[7]. Per contrasto, il luogo d’origine diventa punto di riferimento statico, in metafore spaziali come distacco, ritorno e riscoperta che i membri delle comunità utilizzano per articolare la propria identità. Le fasi di distacco e riavvicinamento non sono legate a un effettivo movimento fisico verso la terra d’origine, ma a qualunque atto ascrivibile all’identità e, in certi casi, anche a congiunture fortuite, come nel caso di Anies Baswedan.

Da nuovo governatore di Giacarta nipote di un eroe nazionale di origine araba e sostenitore di una versione moderata di Islam, Anies si è ritrovato a rappresentare quei movimenti che chiedevano la condanna di Ahok. Tra queste frange dell’Islam politico fondamentalista vi erano figure di spicco di origine hadramitica ma anche fasce fragili della città di Giacarta colpite dalle sue politiche di ricollocazione urbana.

L’esperienza di Baswedan è un esempio di come la diaspora sia una pratica e non il mero allontanamento da un luogo di origine: tale pratica si sposa con una visione dell’identità come stratificazione che non risponde a gerarchie e non sfugge ai più basilari elementi della semiotica per cui un segno, se privo di interpreti, è anche privo di significazione.

È in questo discorso che trova spazio la diaspora hadramitica, la cui storia poco nota si intreccia a quella indonesiana – dalle lotte coloniali, passando per la costruzione dello Stato indonesiano, fino alle elezioni del 2024[8].

Una lunga e lenta diaspora

Gli arabi sono generalmente percepiti come praticanti della forma più autentica di Islam poiché provenienti dal suo luogo di origine, mentre i musulmani di altre zone del mondo, considerate periferiche, vengono associati ad un Islam sincretico e intrecciato col sostrato preesistente. Questa dicotomia identifica gli arabi con lo stereotipo orientalistico di musulmano, attribuendo loro, al contempo, una particolare influenza sulle altre popolazioni musulmane del mondo[9]. L’Islam “autentico”, posizionato al centro di questa opposizione centro/periferia, è visto come monolitico e a-sincrono, cosicché, quando l’Islam è associato a visioni rigide, l’influenza araba risulterebbe pericolosa: tra queste sfumature si colloca la storia degli Hadramiti in Indonesia.

La storia della diaspora hadramitica ha interessato Europa, Nord America e le coste dell’Africa e del Sud-Est Asiatico. La comunità è presente in Indonesia da molto prima dell’arrivo degli Europei nei secoli XVI e XVII, e tra il XVIII e il XIX secolo faceva già parte di prestigiose reti religiose e commerciali fondate su legami parentali che si estendevano attraverso lo spazio diasporico dell’Oceano Indiano[10]. A seguito di massicce migrazioni, tra il XIX e il XX secolo la comunità arrivò a contare circa 80.000 individui[11].

Alla fine del 1800, il dominio coloniale olandese aveva già creato distretti speciali noti come Kampung Arab (distretti arabi), come quello di Pekhojan. Le politiche di razzializzazione delle autorità coloniali olandesi imponevano separazioni fisiche e sociali creando una “realtà alternativa” ufficiale, in cui le differenze venivano sancite giustificando e rafforzando il controllo coloniale[12]. Nel 1872 venne vietato l’utilizzo di abbigliamento che non fosse in linea con il proprio gruppo etnico; in questo modo, i cinesi dovevano usare le trecce tradizionali e gli arabi i loro turbanti. Le politiche di razzializzazione dell’Indonesia coloniale opponevano gli “stranieri orientali” a coloro che venivano considerati autoctoni (pribumi), contribuendo a plasmare l’immagine della composizione etnica attuale. Oltre a tutto ciò, le autorità olandesi utilizzavano le professioni di fede come elemento distintivo, amplificando la sovrapposizione tra una vaga idea di arabicità e l’Islam[13].

In Indonesia la diaspora Hadramitica è tracciata secondo due traiettorie fondamentali: quella dei Ba ‘Alawi – che vantano ascendenze profetiche – e quella dei non-Ba ‘Alawi.

La rilevanza storica dei Ba ‘Alawi in Indonesia, seppur effettivamente associata a fondazioni di moschee e centri Sufi e a celebrazioni annuali quali Hawl e Mawlid in cui alcuni vengono commemorati come santi, è stata amplificata dalla produzione accademica recente[14].

Nel primo Novecento varie organizzazioni islamiche moderniste hanno criticato i Ba ‘Alawi. Tra queste spicca Al-Irsyad, fondata nel 1914, ancora esistente e coinvolgente persone di origine hadramitica, promuove un’educazione progressista basata sull’uguaglianza sociale e critica pratiche che attribuiscano prestigio per questioni genealogiche. Si apriva quindi un conflitto intrecciato a questioni di carattere nazionalistico e anticoloniale in cui si inserì il Persatoean Arab Indonesia (PAI, Unione Araba Indonesiana), guidato dal A.R. Baswedan. Il PAI ebbe un ruolo chiave nel favorire l’integrazione degli Hadramiti nel movimento per l’indipendenza dell’Indonesia, mirando a ridefinire l’identità hadramitica attraverso il nazionalismo indonesiano: gli arabi della diaspora, anche e soprattutto in quanto tali, erano indonesiani a pari diritto con altri gruppi etnici[15].

Nonostante le differenze ideologiche e politiche, gli Hadramiti hanno condiviso l’affermazione dell’identità diasporica attraverso attività localmente impegnate nella terra d’arrivo e legate al contempo alla loro patria ancestrale. Prendere parte alle lotte interne all’Indonesia è divenuto parte integrante della condizione diasporica[16].

 

 

Giacarta come trampolino di lancio

Nel 2017, durante il discorso pronunciato dopo l’elezione a governatore di Giacarta, Anies fece riferimento alla necessità dei pribumi (autoctoni) di strappare il controllo del paese alle influenze coloniali, suscitando forti discussioni in quanto il termine pribumi, nel suo uso razzializzato esclude la comunità di indonesiani di origine cinese, indiana e araba. Chiunque abbia una certa familiarità con la storia del Paese ha letto il discorso come riferito agli indonesiani di etnia cinese sullo sfondo della sua campagna elettorale e della vittoria su Ahok che in quel momento stava per scontare una pena di due anni per blasfemia[17].

Questo politico di origine cinese era il volto della politica opposta alla corruzione e impegnata nello snellimento della burocrazia giacartese. Divenne una figura controversa nel 2016 quando citò un versetto del Corano, usato dai suoi oppositori, argomentando che vi era un tentativo sotteso a sviare gli elettori. Questa associazione tra testo coranico e affabulazione non passò inosservata, suscitando massicce manifestazioni a Giacarta, e culminando con la sua condanna a due anni di prigione nel maggio 2017[18].

In questo contesto si distinse il Fronte dei Difensori dell’Islam (FPI), guidato dal predicatore Ba ‘Alawi Habib Riziek Shihab, legato a posizioni rigoriste e semplicistiche di Islam. Shihab rese Anies il candidato da quel momento in poi associato all’autorità religiosa della comunità hadramitica. Questa congiuntura, forse solo per opportunismo politico, ha trasformato quella che era una semplice campagna per un importante incarico politico in un punto di congiunzione duraturo con la comunità hadramitica, ribadito il 2 dicembre 2018, con un discorso commemorativo di Anies per la ricorrenza della manifestazione che diede inizio alla caccia ad Ahok. In seguito, Riziek Shihab divenne bersaglio delle autorità giudiziarie e arrestato, e il 30 dicembre 2020 il suo movimento, l’FPI, dichiarato illegale.

Il malcontento relativo ad Ahok è da associare anche alle fasce vulnerabili della città di Giacarta colpite dalle sue politiche abitative; fu la semplificazione dei social media a rendere l’aspetto religioso il catalizzatore di malumori di varia origine[19].

Non a caso Anies per la campagna del 2024 fece leva su argomenti legati alla giustizia sociale e all’inclusione politica, concentrandosi sulle fasce vulnerabili della società, rispecchiando una certa idea di pietas islamica. In questo modo smorzava l’elemento religioso nel tentativo di affrancarsi dall’ideologia di Shihab, in contrasto con la sua precedente immagine inclusiva e cosmopolita.

Ad ogni modo, la relazione con l’FPI aprì la strada ad Anies a successivi incontri con altri esponenti Hadramiti: tra il 2022 e il 2024 le sue performance diasporiche si sono moltiplicate attraverso la partecipazione a diverse cerimonie legate a figure religiose di origine araba quali Hawl (commemorazione di santi legati alla confraternita sufi “Alawiyyah”), Maulid (commemorazione della nascita del profeta dell’Islam o di figure religiose di spicco) e Majlis Taklim (momenti di esegesi coranica). Ha partecipato alla predica del famoso clerico Hadramita yemenita Habib Umar bin Hafiz, ottenendone più volte l’esplicito sostegno elettorale[20].

Il 7 novembre 2023 durante l’Hawl di Quthb Anfas Al Habib Umar bib Abdurrahman, Anies si è anche espresso per un governo indonesiano vicino ai clerici dell’Islam[21].

Tra le simpatie ottenute da altri attori religiosi, spicca anche quella di Abu Bakar Bashir, anche lui di origine hadramitica, accusato di essere la guida spirituale dell’organizzazione Jemaah Islamiyah responsabile degli attentati a Bali nel 2002, che nel gennaio 2024 ha descritto Anies come l’unico legittimo candidato per essere alla guida del paese in quanto l’unico in corsa ad avere una vera conoscenza dell’Islam[22].

Anies e Muhaimin Iskandar hanno argomentato che non possono in alcun modo impedire a nessuno di sostenerli, in quanto tutti hanno pari diritto a sostenere chi vogliono[23].

Questa risposta rimarca l’immagine anti-establishment di Anies piuttosto che il capitale culturale Hadramita; infatti non sono seguiti atti simbolici di riavvicinamento diasporico.

Il candidato anti-establishment o il solito moderato?

Nonostante la nuova immagine di Baswedan sembri molto lontana da quella iniziale, molti elementi puntano a una continuità con l’Islam moderato piuttosto che a una netta rottura, elementi da ricercare tanto in pratiche diasporiche quanto in alleanze politiche.

Anies mantiene il supporto di Surya Paloh, magnate dei media indonesiani e presidente del Partito NasDem, nonché pilastro fondamentale della coalizione dell’uscente Joko Widodo, da sempre contrario a qualsiasi tipo di islamismo. Paloh, in un’intervista, ricordava a Baswedan l’importanza del pluralismo, il suo “ruolo di intellettuale” e la “lotta di suo padre e suo nonno per la Nazione”[24].

 Alle ultime elezioni Anies si è proposto come simbolo di uguaglianza e unità, destreggiandosi tra il supporto alla classe medio-alta e ai moderati indonesiani senza abbandonare la sua nuova base politica (si veda la sua frequente partecipazione a manifestazioni religiose hadramitiche, benché meno gremite).

Anies Baswedan non si è mai veramente allontanato dalle sue posizioni moderate, considerate le posizioni politiche non uniformi dei clerici Hadramiti al loro interno e rispetto all’FPI stesso.

Per illustrare questo aspetto occorre fare nuovamente un salto indietro all’inaugurazione di Anies Baswedan come governatore di Giacarta nel 2017, quando è stato incoronato dal clerico Habib Luthfi mediante un rituale che rievoca le tradizioni Ba ‘Alawi di passaggio di conoscenze fra maestro anziano e studente. In questi contesti l’identità di chi effettua il gesto è fondamentale, e indica una trasmissione di autorità e benedizione. Un maestro Sufi di rilievo nazionale incorona un vincente politico indonesiano adesso riscoperto Hadramita[25].

Questo gesto va letto sia come pratica diasporica, sia come strategia politica per affrancarsi dalla associazione diretta con FPI: Luthfi è un clerico Ba ‘Alawi, ma ha costruito la sua autorità religiosa rivolgendosi al tessuto sociale indonesiano moderato anche non hadramitico, con un’idea di Islam indonesiano locale. Luthfi è una figura ibrida ideologicamente contraria a chi vede il mondo arabo come fulcro degli insegnamenti dell’Islam e l’Indonesia come elemento periferico, in contrasto con Ba ’Alawi quali Riziek che fanno affidamento al loro capitale simbolico arabo per legittimare la propria autorità politica-religiosa[26].

In queste elezioni Anies non ha incarnato una specifica visione di Islam, ma ha utilizzato argomenti tipici dell’Islam populista (identità etnica, territorialità, uguaglianza) per proporsi come un candidato anti-establishment, portatore di rottura, mantenendo una certa continuità politica con i musulmani moderati e un più ampio bacino elettorale.

Per questo, Anies non solo ha cercato il sostegno del Partito del Risveglio Nazionale (PKB) e del Partito della Giustizia e Prosperità (PKS), che ha legami con il movimento Tarbiyah influenzato dai Fratelli Musulmani, ma ha cercato anche di conquistare voti dalla moderata Nahdatul Ulama (NU), organizzazione musulmana dell’Indonesia con circa 90 milioni di seguaci, legata a Muhaimin Iskandar, pronipote del fondatore e presidente del Partito PKB.

Il posizionamento politico di Anies andrebbe inquadrato non solo come la prosecuzione de facto di un percorso moderato, ma anche come conferma della natura opportunistica e fortuita del suo allontanamento dall’Islam moderato, amplificato da analisi di poco respiro.

Conclusioni

Le elezioni del 2024 hanno confermato come l’interazione tra diaspora e identità religiosa influenzi il panorama sociopolitico indonesiano, riflettendo le complesse eredità di Anies Baswedan, intrecciate in nazionalismo, religione e dinamiche diasporiche. Seppur non vincitore, la sua carriera dipinge la diaspora non come una questione identitaria riducibile a essenzialismi ma come un insieme di pratiche che riscrivono continuamente che cosa significhi appartenere a una comunità. Quando si valutano le azioni di Baswedan solo in termini politici, sembrano un’apertura all’Islam fondamentalista. Tuttavia, interpretate attraverso la diaspora, rivelano un profondo legame con essa, dimostrando che queste due prospettive non sono mutualmente esclusive.


[1] De Jonge, H. (2004). “H. Abdul Rahman Baswedan and the Emancipation of the Hadramis in Indonesia”, Asian Journal of Social Science, Vol. 32, n.3, pp. 373–400; Formichi, C. (2020).  Islam and Asia, Cambridge, Cambridge University Press.

[2] Alatas, I. F. & Slama, M. (2022). “Rethinking Diasporic Returns: Ḥaḍramī Trajectories in Indonesia’s Religio-Political Field.”, Bijdr. taal-, land- volkenkd, Vol. 178, n.4, pp.410- 439.

[3] Kenali Anies Baswedan Presiden Indonesia (2024), Testimoni Anies Baswedan, Situs Resmi, disponibile online al sito: https://aniesbaswedan.com/testimoni/.

[4] Nicolini, B., Freitag U., Clarence-Smith W.G., “Hadrami Traders, Scholars and Statesmen in the Indian Ocean.”, MESA Bulletin, Vol. 35, pp. 89-90.

[5] Alatas, I. F. & Slama, M. (2022). “Rethinking Diasporic Returns: Ḥaḍramī Trajectories in Indonesia’s Religio-Political Field.”, Bijdr. taal-, land- volkenkd, Vol. 178, n.4, pp.410- 439.

[6] Alatas, I. F. & Slama, M. (2022). “Rethinking Diasporic Returns: Ḥaḍramī Trajectories in Indonesia’s Religio-Political Field.”, Bijdr. taal-, land- volkenkd, Vol. 178, n.4, pp.410- 439.

[7] Adachi, N. (2020). “Diaspora Language”, in J. Stanlwa (ed.), The International Encyclopedia of Linguistic Anthropology, Hoboken, Wiley, pp. 1-32.

[8] Riddell, P. G. (1997). Arab Minorities and the Islamisation of the Malay-Indonesian World in the Light of Ferré’s Islamisation Paradigm, Londra, Royal Institute of Linguistics and Anthropology.

[9] Said, E.W. & Fuentes, M. L. (2002). Orientalismo, Madrid, Debate.

[10] Walker, I. & Slama, M. (2021). “The Indian Ocean as Diasporic Space: A Conceptual Introduction”, JIOWS, Vol.4, n.2, pp.76-90.

[11] Jacobsen, F. F. (2009). Hadrami Arabs in Present-day Indonesia An Indonesia-oriented group with an Arab signature, New York, Routledge: London.

[12] Mandal, S. K. (2018). Becoming Arab: Creole Histories and Modern Identity in the Malay World, Cambridge, Cambridge University Press.

[13] Id.

[14] Alkatiri, Z. & Karim Hayaze, N. A. (2022). “Critical Literature Study on Habaib Identity in the Constellation of Islamic Studies in Indonesia from the Colonial Period to the Present.”, Cogent Arts & Humanities, Vol.9, n.1., pp. 1-16.

[15] De Jonge, H. (1997). “Dutch Colonial Policy Pertaining to Hadhrami Immigrants”, in Freitag, U. & Clarence-Smith, W.G., Hadhrami traders, scholars, and statesmen in the Indian ocean, 1750s–1960s, Leiden, Brill, pp.94-110.

[16] Alatas, I. F. & Slama, M. (2022). “Rethinking Diasporic Returns: Ḥaḍramī Trajectories in Indonesia’s Religio-Political Field.”, Bijdr. taal-, land- volkenkd, Vol. 178, n.4, pp.410- 439.

[17] Pepinsky, T.B. (2016). “Colonial Migration and the Origins of Governance: Theory and Evidence from Java”, Comparative Political Studies, Vol.49, n.9, pp.1201-1237.

[18] Walker, I. & Slama, M. (2021). “The Indian Ocean as Diasporic Space: A Conceptual Introduction”, The Journal of Indian Ocean World Studies, Vol.4, n.2, pp.76-90.

[19] Schäfer, S. (2024). “Understanding Piety and Anger in Indonesia’s 2016 Islamic Mass Rallies”, American Ethnological Society, disponibile online al sito: https://americanethnologist.org/online-content/collections/piety-celebrity-sociality/understanding-piety-and-anger-in-indonesias-2016-islamic-mass-rallies/ .

[20] Republika Online (2023). “Dukung Anies, Ini Pesan Habib Umar Abdul Aziz”, 19 dicembre, disponibile online al sito: https://pemilukita.republika.co.id/berita/s5vgq7377/dukung-anies-ini-pesan-habib-umar-abdul-aziz .

[21] CNN Indonesia (2023), “Anies di Depan Para Habib: Kita Ingin Negara Bersahabat dengan Ulama.”, 7 novembre,  disponibile online al sito: https://www.cnnindonesia.com/nasional/20231107121401-617-1020945/anies-di-depan-para-habib-kita-ingin-negara-bersahabat-dengan-ulama .

[22] Bachtiar, H. (2023). “Indonesian Islamist populism and Anies Baswedan”, Populism & Politics (P&P), 9 ottobre,  Bruxelles: European Center for Populism Studies (ECPS), disponibile online al sito: https://doi.org/10.55271/pp0025 .

[23] Open Source Investigation, (2024). “Indonesia: Backers of 2002 Bali terror attack get into mainstream political arena”, 3 febbraio, disponibile online al sito: https://www.opensourceinvestigations.com/investigations/indonesia-backers-of-2002-bali-terror-attack-get-into-mainstream-political-arena/ .

[24] Alatas, I. F. & Slama, M. (2022). “Rethinking Diasporic Returns: Ḥaḍramī Trajectories in Indonesia’s Religio-Political Field.”, Bijdr. taal-, land- volkenkd, Vol. 178, n.4, pp.410- 439.

[25] Id; Bamualim, C. S. (2011). “Islamic Militancy and Resentment against Hadhramis in Post-Suharto Indonesia: A Case Study of Habib Rizieq Syihab and His Islamic Defenders Front”, Comparative Studies of South Asia, Africa and the Middle East, Vol.31, n.2, pp.267-281.

[26] Bamualim, C. S. (2011). “Islamic Militancy and Resentment against Hadhramis in Post-Suharto Indonesia: A Case Study of Habib Rizieq Syihab and His Islamic Defenders Front”, Comparative Studies of South Asia, Africa and the Middle East, Vol.31, n.2, pp.267-281.

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