Verità scomode sullo schermo: politica, diritti umani, e uguaglianza di genere

Questo articolo discute di tre film circolati in Indonesia e a livello internazionale tra la fine del 2023 e i primissimi mesi del 2024 che hanno toccato temi e verità scomode, suscitando critiche e approvazioni, ma soprattutto che nel periodo caldo delle elezioni politiche hanno spinto il pubblico indonesiano e quello internazionale, a riflettere su temi di politica, diritti umani violati e uguaglianza di genere che parzialmente maschera interessi economici potentissimi.

Dirty Vote: un documentario sul voto sporco in Indonesia

Tre giorni prima delle elezioni del 14 febbraio 2024 il pubblico indonesiano del web è stato scosso dall’uscita su youtube di un documentario che si riteneva avrebbe fatto tremare l’establishment politico.

Per tre giorni prima della fatidica data, migliaia di elettori sono rimasti attaccati allo schermo a guardare un documentario fatto un po’ in casa da Dandhy Laksono, in cui tre esperti di diritto costituzionale, Bivitri Susanti, Feri Amsari, e Zainal Arifin Mochtar, tre eroi della democrazia, ci hanno messo la faccia per mostrare agli spettatori come le elezioni in Indonesia sarebbero state manipolate a scapito dei cittadini e per tutelare gli interessi dell’elite politica. Una previsione quasi visionaria e per certi versi terrificante ha mostrato come in maniera sistematica la corruzione, che ha caratterizzato la politica degli ultimi anni, tutta la campagna elettorale di quest’anno e infine il voto “sporco”, cioè manipolato e inquinato da giochi di potere e corruzione, hanno portato ai risultati che tutti conoscono, ovvero alla vittoria annunciata della coppia Prabowo-Gibran, rispettivamente del concorrente più accanito di Jokowi nelle ultime due consultazioni politiche, nonché ex generale sanguinario, Prabowo Subianto e il figlio di Jokowi, Gibran Rakabuming Raka, investito del ruolo di continuare la dinastia politica del presidente uscente.

Una ricerca certosina portata avanti dai tre protagonisti che hanno impersonato se stessi con tutta la rabbia, tutte le delusioni di chi aveva creduto che Jokowi avrebbe cambiato le cose mentre – lui venuto dal basso, fuori dall’élite politica – ha poi dimostrato esattamente il contrario e si è allineato alla schiera di coloro che durante l’Orde Baru del Presidente Suharto e lentamente fino ad oggi hanno calpestato per anni i diritti dei cittadini indonesiani, mostrando come il potere possa infiltrarsi a qualsiasi livello della macchina elettorale per manipolare il destino di un popolo. I tre protagonisti, docenti di diritto costituzionale, Arifin Mochtar presso Universitas Gadjah Mada a Yogyakarta, Feri Amsari a Università Andalas a Sumatra mostrano come l’indicazione di governatori da parte del Presidente (e quindi non eletti dal popolo) in alcune regioni specifiche ha pilotato in maniera determinante le scelte regionali e ha imposto ad alcuni capo villaggio di indirizzare i propri voti verso uno dei tre candidati, con la minaccia di tagli agli aiuti statali e di rallentamenti della macchina burocratica. Alle sequenze dove i tre protagonisti, in primo piano, statici e impassibili  raccontano per filo e per segno come la macchina elettorale sia stata manovrata dal potere politico per scopi subdoli, si alternano immagini tratte da notizie, telegiornali e siti personali dove per esempio alcuni capi regionali in maniera aperta e candida ammettono che gli aiuti sociali provengono direttamente dal Presidente (!) e dove lo stesso Jokowi prima si dichiara neutrale, e poi si schiera chiaramente con la coppia Prabowo-Gibran con l’affermazione che un Presidente può appoggiare chi gli pare.

Le accuse di brogli e di manipolazione non sono rivolte solo ai candidati politici ma anche e soprattutto all’organo di controllo delle elezioni che ha chiaramente agito in maniera parziale chiudendo gli occhi su alcune ovvie violazioni elettorali come la mancata applicazione della decisione di includere almeno il 30% di donne, o di evidenti conflitti di interesse. Bivitri Susanti, esperta di diritto del Centro per la Giurisprudenza e Studi di Politica, parla del figlio di Jokowi poi eletto quale vice-presidente, Gibran, come il figlio illegittimo della costituzione visto che è stato legittimato da una decisione della Corte Costituzionale che guarda caso aveva come capo il suo stesso zio. La possibilità paventata durante la campagna elettorale dalla coppia Prabowo-Gibran che le elezioni si sarebbero concluse in una sola tornata, così da risparmiare soldi pubblici e concludere la partita subito, viene analizzata nei dettagli dai tre protagonisti che mostrano come la possibilità democratica di andare a una seconda tornata sarebbe risultata utopistica. In realtà lo stesso Jokowi, il vero stratega di questo gioco, aveva indicato questa come sua ambizione, mostrando come la coppia che sosteneva facilmente avrebbe potuto vincere nel primo round.

I tre protagonisti del film evidenziano come, secondo la regola elettorale per cui il vincitore sarebbe stato colui che avrebbe ottenuto il 50% + 1 voto e il consenso in almeno venti provincie, in realtà Jokowi (e quindi il suo candidato) fossero dall’inizio in netto vantaggio per una strategia costruita da tempo per una vittoria sicura. Avendo il presidente un grande seguito a Giava che ha poche provincie ma una numerosissima popolazione, è stato necessario bilanciare questo equilibrio tirando dalla propria parte i risultati delle proiezioni elettorali di Prabowo che ha tradizionalmente posseduto un grande consenso (anche nelle elezioni precedenti) a Sumatra, che all’opposto ha pochi elettori ma molte provincie. La carta vincente l’ha giocata poi Papua dove la recentissima frammentazione in varie provincie ha garantito la vittoria del candidato supportato dal Presidente uscente. Con dati rigorosi, la situazione politica di Papua viene giustamente paragonata alla provincia di Kalimantan Nord, formatasi effettivamente in tempi recenti ma dove ai cittadini non è stato concesso di votare in quanto provincia di nuova formazione. Al contrario gli abitanti di Papua, che negli ultimi anni ha aggiunto ben quattro nuove provincie, hanno potuto votare – due pesi e due misure per due regioni sostanzialmente simili ma trattate in maniera diversa per ovvie ragioni politiche. Per la regola del divide et impera, l’organo di controllo elettorale ha concesso a un piccolo partito, Gelora, nato dalle frizioni interne del partito PKS (il partito islamico di destra, Partito di giustizia e prosperità), che sosteneva il candidato Anies Baswedan (il concorrente che avrebbe dato filo da torcere a Prabowo), nonostante non avesse un numero sufficiente di rappresentanti nelle varie regioni, l’autorizzazione a partecipare alle elezioni. Strano, vero?

Tutti i fenomeni, anche quelli apparentemente insignificanti, hanno contribuito alla manipolazione delle elezioni. Di queste e delle tante anomalie che hanno caratterizzato il clima politico indonesiano degli ultimi mesi si parla in questo documentario: per esempio, la nomina a Governatori da parte di Jokowi invece che eletti dal popolo in ben venti regioni e quella di 82 tra Sindaci e Presidenti di provincia sono stati un modo per ottenere la fedeltà politica al governo, mentre le intimidazioni fatte a organizzazioni di capi-villaggio o la dichiarazione fata da otto organizzazioni di capi villaggio che rappresentavano 81 milioni di abitanti hanno avuto lo scopo di mobilitare le masse a favore di Prabowo.

I volti statici quasi agghiaccianti dei tre protagonisti, il loro tono funereo hanno creato un’atmosfera terrificante quasi da film horror – genere così amato dagli indonesiani – con dati, numeri, grafici, che alcuni paladini della democrazia avevano creduto avrebbero scosso le coscienze degli elettori e li avrebbero indirizzati a fare delle scelte a vantaggio della democrazia stessa. Il voto del 14 febbraio ha poi dimostrato esattamente il contrario e ha confermato che il potere, insinuatosi a tutti i livelli dell’infrastruttura politica e sociale, è stato ben orchestrato e strategicamente organizzato. La stessa frase di apertura di Zainal Arifin Mochtar cerca di scuotere le coscienze quando riconosce come un po’ tutti siano responsabili nell’aver dato vita al fenomeno Jokowi. Questa responsabilità viene man mano confermata come in un crescendo di un thriller dove pezzo dopo pezzo si arriva alla verità o, alla stregua di una partita a scacchi, alla vittoria di chi ha una strategia vincente e un piano ben orchestrato. Fanno quasi sorridere le sequenze in cui Jokowi da una parte dice che un Presidente deve essere neutrale e poi successivamente che anche lui ha il diritto di esprimere la sua posizione politica, soprattutto quando si esprime chiaramente a favore di suo figlio Gibran candidato a vice presidente.

Accusato dal partito di Prabowo di vilipendio e di diffondere notizie false e tendenziose, ed encomiato da giornalisti, sostenitori dei diritti umani, dai due candidati perdenti ma anche da intellettuali, giovani e oppositori dello status quo, il film ha ottenuto nei due giorni a ridosso delle elezioni fino a quattro milioni di visualizzazioni diventate poi dieci milioni e trending topic su X e su altri media. Il film continua ad essere visionato da osservatori politici e dagli oppositori di Prabowo ma anche da esperti di cinema documentario. Il pregio del film, al di là del messaggio potente di denuncia, è quello di aver combinato giornalismo investigativo, giornalismo basato su dati scientifici e il metodo del racconto. A coloro che hanno accusato il team di Dirty vote di essere stato commissionato dai due oppositori di Prabowo, i  protagonisti hanno raccontato di non essere stati in grado di raccogliere fondi sufficienti per pagare il documentario e che la realizzazione è avvenuta grazie a contributi di associazioni come l’Alleanza di giornalisti indipendenti (AJI), di radio indipendenti, WALHI (associazione a difesa dell’ambiente), Greenpeace, Indonesia Corruption watch, l’Associazione di aiuti legali (YLBH) e tuttora si trovano in problemi finanziari oltre che legali per essere stati citati in giudizio dal team di Prabowo.

Eksil e gli esiliati politici[1]

Restando in tema su quanto il mezzo visivo sia uno strumento potente per denunciare verità scomode, e quanto queste verità siano state ricordate a ridosso delle elezioni politiche, soprattutto per mostrare ai cittadini quanto Jokowi abbia evitato uno dei problemi irrisolti dell’Indonesia contemporanea, è stata la proiezione in tutti i circuiti nazionali della catena dei Cinema 21, del film Eksil (Gli esiliati).

In realtà Eksil è un titolo del 2022, uscito dopo più di dieci anni di lavorazione e di ricerca, e descrive le esperienze degli esiliati politici indonesiani che dopo i fatti del 1965 in Indonesia per scelta o per caso, si erano trovati a non poter essere in grado di ritornare in patria, dovendo quindi trascorrere per molti anni la loro vita da apolidi in varie città europee, per poi diventare cittadini di altri paesi. Anche questo film documentario, dunque, è stato fatto circolare sul web poco prima delle elezioni. Questa scelta potrebbe essere stata motivata dal fatto che si sarebbe sperata una reazione del pubblico nei confronti del governo Jokowi, arrivato al capolinea, per ricordare un’altra delle sue promesse non mantenute. Ma come sappiamo, anche questo documentario, come Dirty vote, non ha sortito l’effetto sperato e Jokowi, attraverso la coppia Prabowo-Gibran da lui appoggiata, potrà continuare a tenere le fila della politica indonesiana.

Eksil parla degli esiliati indonesiani dopo il pogrom dei comunisti del 1965, della loro nostalgia, del loro amore per la patria ma anche della loro rassegnazione nel dover constatare di essere stati dimenticati dallo Stato. Passano davanti agli occhi dello spettatore i volti di settantenni e ultrasettantenni (si trattava di giovani che si trovavano in Europa per studiare nel 1965) che hanno perso tutte le speranze in uno Stato che si è dimenticato di loro, di Hartoni Ubes, I Gede Arka, Tom Iljas, Waruno Mahdi, Asahan Aidit, Chalik Hamid, Djumaini Kartaprawira, Kuslan Budiman, Sardjio Mintardjo, e Sarmadji. C’è la tristezza da parte dello spettatore impotente di constatare che alcuni dei personaggi reali se ne sono andati nel frattempo. Lola Amaria, una regista impegnata in vari temi caldi che caratterizzano l’Indonesia aveva iniziato questo progetto ben dieci anni fa, e per ovvi motivi legati a ristrettezze economiche e delicatezza dei temi trattati il film ha potuto vedere la luce solo alla fine del 2022. Il fatto di proiettarlo a poche settimane dalle elezioni del 2024 nei cinema del circuito 21, quindi nei cinema che danno film mainstream di Hollywood o film di grande richiamo di pubblico come gli horror o le commedie leggere del tipo cine-panettoni italiani, ha avuto un grande impatto soprattutto per sfatare il tabù dei comunisti.

Lola Amaria, una donna con una grande passione per il cinema nonostante non abbia mai frequentato una scuola di cinema, è autrice di capolavori come Minggu pagi di Victoria park (Sunday morning at Victoria Park) sul destino delle migliaia di donne indonesiane immigrate a Hong Kong come lavoratrici domestiche. Una donna che parla di donne, dei problemi, dei sogni di chi non ha un futuro nei loro luoghi di nascita (come Porong a Giava orientale) che usa il film per imparare, per parlare, per comunicare. Lola Amaria, che pure vanta una lunga carriera come attrice (si ricorda la sua interpretazione in Cau Bau Kan sulla comunità cinese in Indonesia del 2002) ha visto nel cinema, dietro la cinepresa, il modo per trattare temi legati a uguaglianza di genere, di donne, di tolleranza, di temi politici, sociali e culturali e di realizzazione di ideali e voglia di esporre la verità.

Questa degli esiliati del 1965 in realtà era un’ossessione che la seguiva dai tempi della scuola quando durante l’Orde Baru di Soeharto tutti gli studenti, il 30 settembre di ogni anno, avevano l’obbligo di vedere il film Penghkianatan G30 S (Il tradimento del movimento del 30 settembre) sulla versione governativa del fallito colpo di stato del 1965 e sull’immagine monolitica dei comunisti come nemici dello stato. Quel film che Lola ai tempi dell’Orde baru deve aver visto come studentessa di scuola media inferiore e superiore ha fatto scattare la molla della curiosità, della volontà di approfondire quella verità. Quando ai tempi della Reformasi, il periodo di grandi riforme succeduto alla caduta di Suharto, lentamente il tema dell’eccidio dei comunisti ha cominciato a essere affrontato nei circoli letterari e intellettuali e vari tentativi sono stati fatti per far luce su quel periodo buio della storia indonesiana, Lola ha deciso di cominciare la sua ricerca contattando un certo numero di indonesiani che vivevano in Olanda, in Repubblica Ceca, in Germania e Svezia e chiedere la loro versione dei fatti. Il tema del 1965 è stato affrontato a livello cinematografico, letterario e saggistico negli ultimi venti anni anche se lo stigma sui comunisti in qualche modo persiste ancora. Surat dari Praha (Lettere da Praga), un film di finzione uscito nel 2016, aveva voluto rappresentare attraverso alcuni attori di successo, una parte di MAHID (Mahasiswa ikatan dinas ‘Associazione di studenti all’estero’) ovvero di quelle centinaia di studenti ufficialmente inviati dal governo di Sukarno a studiare all’estero, soprattutto nei paesi comunisti e socialisti e che all’indomani del fallito colpo di stato rifiutarono di prestare fiducia a Suharto nonostante non fossero comunisti, con la conseguenza di vedere i loro passaporti revocati.

Anche varie opere letterarie scritte in maggioranza da donne hanno avuto il coraggio di affrontare questo tema nei loro romanzi. Ricordiamo Pulang (2010) di Leila Chudori (pubblicato in italiano col titolo Ritorno a casa nel 2015), oppure Amba (2012) (in inglese The question of Red), di Laksmi Pamuntjak, giusto per menzionarne alcuni. Il ’65 è stato anche affrontato dal regista canadese Joshua Oppenheimer nei suoi due film di successo internazionale The act of killing (2012) e The look of silence (2014), entrambi candidati agli Oscar e che ha reso il tema in questione noto a livello planetario. È innegabile che si tratti di un tema scomodo che il governo indonesiano ha sempre tabuizzato, e nonostante il presidente Jokowi avesse messo in agenda la riabilitazione e la possibilità di concedere la cittadinanza persa a migliaia di persone considerate, per più di un cinquantennio, non grate e private del diritto di cittadinanza e di un passaporto: in realtà questa promessa non è stata mantenuta. È vero che l’agenda di Jokowi, nella campagna elettorale per i suoi due mandati, prevedeva di riconoscere i diritti umani calpestati delle vittime del comunismo – ricordiamo che il ministro Mahfud MD  Ministro coordinatore di politica, legge e sicurezza (successivamente candidato a vice presidente con Ganjar Pranowo) il 2 settembre 2023 aveva effettuato una visita istituzionale in Olanda e Repubblica Ceca per garantire il diritto di cittadinanza di tanti esiliati politici –,  ma la promessa non è divenuta realtà.  Tale punto dell’agenda è stato palesemente ignorato durante la campagna elettorale di quest’anno, in cui addirittura uno dei maggiori  rappresentanti della violazione dei diritti umani, Prabowo Subianto ex generale sanguinario, genero di Soeharto, macchiatosi del sangue di timoresi, papuani, attivisti pro-democrazia, dismesso dal suo ruolo di capo delle forze speciali, mai condannato per le sue efferatezze, è stato invece supportato da Jokowi, e eletto a Presidente della repubblica indonesiana nelle consultazioni del 14 febbraio 2024.

Un altro dei peccati di Jokowi è stato dunque quello di non aver mai veramente creduto nel diritto di migliaia di indonesiani costretti a vivere all’estero, di poter ritornare a casa propria ed essere riabilitati, e nella necessità di riconoscere formalmente la responsabilità dello stato nell’eccidio dei comunisti e dei presunti tali. Il documentario ha brevi parti di narrazione (di Lola Amaria) e mette in primo piano i protagonisti, dieci esiliati che non hanno avuto la possibilità di vedere i propri sogni esauditi, di essere riconosciuti come cittadini indonesiani e di poter ritornare come tali nella propria patria, di parlare delle proprie emozioni più che delle loro posizioni politiche.

Il film visto negli ultimi mesi da un pubblico di varie decine di migliaia di persone, pur essendo un documentario, un genere che generalmente non resta nei cinema per più di due giorni, ha suscitato profonda commozione con scene di spettatori in lacrime all’uscita del cinema. Max Lane, studioso di Indonesia, critico letterario, osservatore politico e traduttore, in un articolo del 18 marzo 2024 pubblicato su Fulchrum[2],  afferma, sottolineandone il successo per cui solo nelle settimane di febbraio aveva ottenuto almeno trenta mila spettatori, che il film ha due cose positive: prima di tutto perché ha attratto folle di giovani per un periodo di almeno un mese, e poi perché ha saputo mantenere una posizione empatica nei confronti di coloro che in maniera aperta si identificano come sostenitori del PKI (Partai Komunis Indonesia) e del presidente Sukarno e dichiarano apertamente la loro convinzione riguardo l’ingiustizia della presa di potere di Suharto nei confronti di Sukarno. In parole povere, il film rappresenta un vento positivo nei confronti di un tabù politico che si sta finalmente, in maniera graduale, erodendo e propone una nuova narrativa sui comunisti e sui fatti del 1965. La conferma di ciò è il fatto che il film ha passato la censura ed è rimasto nei cinema per almeno un mese, con l’unica eccezione della proiezione programmata a Samarinda e successivamente vietata il 21 febbraio 2024[3].

Lola ha intervistato dieci esiliati indonesiani in Germania, Olanda, Repubblica Ceca, Svezia e nessuno, raccontando la propria esperienza, ha mostrato alcun senso di vendetta. Tutti, con disinvoltura davanti alla telecamera hanno mostrato un senso di grande dignità, di voglia di raccontare ed essere ascoltati, e di affermare la propria delusione.  Tra questi ricordiamo Asahan Aidit, fratello minore del segretario del partito comunista, D.N. Aidit, ucciso  nel 1965, in esilio in Olanda dopo aver studiato filologia in Russia come studente di master, e lingua e letteratura vietnamita in Vietnam per il suo dottorato;  Samardji, un documentarista che ha accumulato un archivio degli esiliati in Europa e costituito una biblioteca fornitissima nel suo piccolo appartamento in Olanda; Waruno Mahdi, dottore in ingegneria chimica e scienziato presso l’istituto di ricerca internazionale Max Planck Institute di Berlino, nonché linguista autodidatta e esperto di linguista austronesiana di fama mondiale; Tom Ilijas, studente di tecnologia agraria in Cina e successivamente esiliato in Svezia, o Chalik Hamid, studente di scienze politiche a Tirana in Albania.

Guardando il film, lo spettatore viene a sapere dalle sue dichiarazioni che Samardji stava seguendo un periodo di formazione per diventare maestro di scuola primaria nella Repubblica Popolare Cinese quando i fatti del 1965 avvennero e, impossibilitato a ritornare in patria, si è ritrovato a vivere tutta la vita come esiliato in Olanda. Armato dalla volontà di trasformare la sua tristezza in forza, è riuscito a costruire un monumento alla memoria del comunismo e di tutti gli indonesiani (più di un migliaio, di cui solo un centinaio ancora in vita) come lui, giovani promesse, intellettuali inviati da Sukarno a studiare all’estero e impossibilitati a ritornare in patria, e a realizzare il suo  desiderio di restar vivo fino a quando il PKI avrebbe raggiunto il centennale della sua nascita avvenuta appunto nel 2024.[4] Lo spettatore tocca con mano e  con imbarazzante tristezza la delusione degli esiliati Asahan Aidit e Tom Iljas, che finalmente dopo decenni erano riusciti a ritornare in patria, Asahan Aiditi a Belitung e Tom Ilijas a Pariaman, a Sumatra, e entrambi avevano dovuto subire di nuovo lo stigma di sentirsi persone non grate. Asahan Aidit aveva solo desiderato di ritornare nella sua bella città di origine, Belitung, come turista – come d’altra parte, tutti i turisti che dopo il film Laskar Pelangi hanno voluto visitare i luoghi di infanzia di Andrea Hirata e dei protagonisti del film di successo girato a Belitung – per essere scacciato da vicini e parenti e sentirsi ancora perseguito perché comunista. La stessa sorte era accaduta a Tom Iljas quando, con regolare passaporto svedese era riuscito a tornare in patria e a visitare la tomba di suo padre, una delle centinaia di migliaia di indonesiani accusati di comunismo e uccisi tra il 1965 e il 1966, un contadino innocente condannato a morte senza nessun capo di accusa. Ebbene, Tom Iljas, dopo aver visitato la tomba di suo padre a Pariaman, è stato deportato perché accusato di alimentare la rinascita del comunismo e gli è stato vietato di ritornare in Indonesia per sei mesi. Apprendiamo la tragica esperienza di Chalid Hamid che descrive la sua esperienza di novello sposo con moglie incinta al momento della partenza per l’Albania e, successivamente, a causa degli eventi, costretto ad accettare che sua moglie sposasse il suo migliore amico per poter sopravvivere. Vista la sua impossibilità a ricongiungersi con la famiglia, Chalid sposa una donna albanese e si trasferisce in Olanda e non rivedrà mai sua moglie e sua figlia.  Tutti i protagonisti sono dotati di un forte spirito di nazionalismo, quello che Benedict Anderson chiama ‘nazionalismo a distanza’[5] e di amore per la patria dimostrato dai piccoli gesti quotidiani che gli esiliati compiono nei paesi che li hanno accolti, come curare le piantine di banana e di bambú coltivate nei loro appartamenti.

Nonostante il film non sia stato capace di cambiare le preferenze elettorali per le consultazioni del 2024, è stato attenzionato da tik-tokers e altri influencers come Najwa Shihab. Wahyudi Akmaliah, nella sua recensione al film enfatizza come il documentario, grazie a questo sostegno da parte di Tik-Tok e altri media, abbia superato le aspettative raggiungendo un’audience di 63.045 spettatori al 1° aprile 2024, risultato strepitoso per un documentario con budget limitato e senza un cast di attori famosi, e che soprattutto ha garantito la conservazione della memoria collettiva del passato per le giovani generazioni[6].

Gadis kretek: una verità scomoda a metà

A novembre 2023 il circuito Netflix ha accolto una serie indonesiana di cinque episodi visionabile anche in Italia, Gadis Kretek (Sigarette girl), una rarità visto che è insolito che film indonesiani entrino nei circuiti internazionali. Il film è da una parte una bella immagine di un’icona della cultura materiale dell’Indonesia – la kretek, la sigaretta scoppiettante ai chiodi di garofano che identifica in maniera univoca gli indonesiani e che è anche fonte di accrescimento del prodotto interno lordo nazionale e di assorbimento di forza lavoro soprattutto a Giava centrale e orientale –, dall’altra mette in luce la forza di una donna e della sua voglia di autodeterminazione.

Il background quindi è quello dell’industria del tabacco e delle sigarette, quelle che certamente distruggono la salute, ma viste in luce esotica e positiva come strumento per la realizzazione di una donna, Jeng Yah, la protagonista, che cerca il suo riscatto nella società patriarcale giavanese in cui si trova a vivere. Si tratta di un film che è stato tratto da un romanzo pubblicato in piena era Reformasi da parte di una scrittrice che si inseriva perfettamente nella corrente letteraria femminile, quella che per un periodo è stata in maniera un po’ derogatoria chiamata Sastrawangi, ‘letteratura profumata’ perché rappresentata da donne giovani, spregiudicate e indipendenti. Ratih Kumala aveva scritto il suo romanzo dallo stesso titolo Gadis kretek, nel 2002[7]. La serie è stata realizzata da due donne di altissimo spicco nel panorama cinematografico nazionale e internazionale, le registe Kamila Andini, giovane regista figlia d’arte (suo padre è il regista internazionale Garin Nugroho), già vincitrice di vari riconoscimenti e di Ifa Isfansyah e prodotto da Shanty Harmayin, produttrice di classe internazionale.

La sceneggiatura del film quindi, tratta da un romanzo scritto da una donna, diretto e prodotto da donne, si focalizza sulla vita di una donna e sul suo tentativo di superare il tabù del patriarcato in cui è costretta a vivere. La serie, come pure il libro da cui è tratta, condanna anche i fatti del 1965 che diventano la causa della tragedia della famiglia di Jeng Yah e del fallimento della sua storia d’amore con Jaya, il suo innamorato, e allo stesso tempo propone un’immagine positiva di donna determinata, capace di gestire il proprio destino. Dal punto di vista cinematografico la serie è sicuramente di successo, e il personaggio di Jeng Yah – magistralmente interpretato da un’icona del cinema indonesiano degli ultimi quindici anni, Dian Sastrowardoyo – scalfisce l’idea maschilista che alcune pratiche come quella di fumare sia di appannaggio degli uomini.

Se dunque il film è riuscito a toccare temi scomodi come l’eccidio dei comunisti e le conseguenze che accuse infondate di comunismo potevano avere su intere comunità, e a mettere in luce positiva donne, determinate capaci di prendere decisioni e mostrarsi in atteggiamenti un tempo riservati a uomini, purtroppo aver evitato di sottolineare gli effetti negativi del fumo non può essere giustificato. L’immagine di Dian Sastrowardoyo con la sigaretta in bocca ha destato molto interesse ed è stata vista come di tendenza, – è trendy vedere un’attrice di grido in alcune immagini del film maneggiare sigarette e ritrovare una donna che fuma sulla copertina del libro Gadis kretek ripubblicato e tradotto in inglese[8]. Questa immagine potrebbe risultare positiva in prospettiva femminista in un paese come l’Indonesia dove sempre più la rappresentazione convenzionale e accettata di donna è quella che indossa l’hijab ed è abbigliata in modo modesto. Si ricorda come per molto tempo la sigaretta sia stata collegata a donne sfacciate, di malaffare, prostitute e soprattutto mai associata a chi indossa l’hijab – hijab e sigaretta sembrano essere un ossimoro – e questo cambiamento di tendenza potrebbe essere visto a favore dell’emancipazione femminile. È pur vero che la sigaretta come forma di protesta sociale contro le strutture patriarcali, oggetto di studi femministi per decenni, non può giustificare il capitalismo dell’industria del tabacco che vede nelle donne una fetta di mercato di cui appropriarsi. Come ben sottolineato da Marina Welker[9], Gadis kretek enfatizza il ruolo delle grandi aziende di tabacco, tra l’altro controllate da multinazionali come Philip Morris e British American Tobacco e indirettamente marginalizza gli attivisti che combattono contro l’eccessivo uso di tabacco, la regolamentazione del mercato e cercano di sensibilizzare i cittadini sugli effetti disastrosi che il tabacco ha sulla salute in un paese in cui provoca la morte di 290.000 persone ogni anno. Con un’immagine romantica delle sigarette kretek e ora di Dian Sastrowardoyo che si mostra sofisticata e forte con la sua sigaretta in bocca, ci si domanda se la serie Netflix non rappresenti per i colossi del tabacco una pubblicità continua di circa cinque ore, per i cinque episodi su Netflix. D’altra parte, il mercato indonesiano è il secondo al mondo grazie alla sua produzione di circa 300 miliardi di sigarette all’anno, (di cui circa il 95% è rappresentato da kretek) con due su tre indonesiani che fumano in casa e al lavoro, ci sono tutte le premesse perché questa pratica continui. Questa immagine nostalgica delle sigarette ai chiodi di garofano non può e non deve solo essere collegata a un’idea esotica, autoctona e artigianale di un’Indonesia del passato, e l’idea che fumare per le donne è necessariamente fonte di emancipazione può essere superata dando il giusto peso alle problematiche di uguaglianza di genere[10].

Conclusioni

Per quanto possa risultare superfluo e forse inopportuno tirare delle conclusioni sulla disamina di tre film molto diversi e con obiettivi anche discordanti che non hanno certamente la pretesa di rappresentare il panorama variegato e ricchissimo del cinema indonesiano, di fatto si può riflettere sul fatto che questi tre film, usciti nell’arco di quattro mesi tra fine 2023 e inizio 2024, per motivi diversi hanno attirato l’attenzione mediatica nazionale e internazionale del periodo immediatamente precedente alle elezioni di quest’anno.  È indubbio che i due documentari, Dirty vote e Eksil non possano competere nella fruizione e negli obiettivi con una serie prodotta per Netflix, Gadis Kretek, ben organizzata e appoggiata  da una campagna pubblicitaria rigorosa, ma è altrettanto vero che la società contemporanea globalizzata e affamata com’è di messaggi veloci, visualizzati su dispositivi telefonici, o su piattaforme libere, ha senz’altro recepito alcuni dei messaggi lanciati dai film e fatto rimbalzare a livello mediatico internazionale alcune verità scomode sull’Indonesia, su democrazia calpestata,  diritti umani violati e uguaglianza di genere che tutt’oggi non viene rispettata.


[1] Una recensione del film è quella di Artharini, I. (2016), “Komunis atau bukan: Indonesia kecil dalam kisah para eksil”, BBC, 2 febbraio, disponibile online al sito: https://www.bbc.com/indonesia/majalah/2016/02/160202_majalah_film_suratdaripraha

[2] Lane, M. (2024). “A cultural Blow to an Eroding Political Taboo: Viewing “Eksil” (The Exiles) a Hit Documentary.”, Fulchrum – Analysis of Southeast Asia, 18 marzo, disponibile online al sito: https://fulcrum.sg/a-cultural-blow-to-an-eroding-political-taboo-viewing-eksil-the-exiles-a-hit-documentary/ .

[3] BBC Indonesia, (2024). “Film Eksil batal tayang di Samarinda karena ‘tak ada izin keramaian’ – ‘Spirit Orde Baru masih bergentayangan’”, 23 febbraio, disponibile online al sito: https://www.bbc.com/indonesia/articles/ce9557v5zvno .

[4] Secondo Max Lane (2024) il precursore del PKI, Indies Social Democratic Association (ISDV), fu fondato nel 1914 e successivamente nel 1924 prese il nome di PKI per essere definitivamente bandito nel marzo 1966. Il centennale del PKI sarebbe dunque avvenuto nel 2024.

[5] Anderson, B., (1994). “Exodus”, Critical Enquiry, Vol.20, n.2, pp. 314-327.

[6] Akmaliah, W. (2024). “Film review: Inheriting collective memories through ‘Eksil”, Inside Indonesia, 12 aprile, disponibile online al sito: https://www.insideindonesia.org/archive/articles/film-review-inheriting-collective-memories-through-eksil .

[7] Kumala, R., (2012). Gadis kretek, Giacarta, Gramedia Pustaka Utama.

[8] Kumala, R., (2017). Sigarette girl, Burrow on the Hill, Monsoon books.

[9] Welker, M. (2024). “Review: Netflix’s ‘Cigarette Girl’ promotes Big Tobacco interests in Indonesia.”, Inside Indonesia, 8 febbraio, disponibile online al sito: https://www.insideindonesia.org/archive/articles/review-netflixs-cigarette-girl-promotes-big-tobacco-interests-in-indonesia.

[10] Floretta, J. (2023). “Gadis Kretek’ dan Citra Perempuan Merokok: Melawan atau Sekadar Keren-kerenan?”, Magdalene, 9 novembre, disponibile online al sito: https://magdalene.co/story/citra-perempuan-merokok/

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