Con l’eccezione dell’immediato vicinato asiatico, l’Africa è per molti versi il teatro geopolitico e lo spazio economico in cui più percepibile è la proiezione cinese verso l’estero. In Africa si intrecciano e si contrappongono imperativi strategici – a partire dall’approvvigionamento di materie prime e idrocarburi –, diffusi interessi economici, agende di sviluppo, divergenti concezioni di diritti. Nel continente, già soggetto al colonialismo europeo, Pechino sta sviluppando una sofisticata public diplomacy, che mira ad accreditare la cooperazione sino-africana come mutualmente vantaggiosa, e non paravento di mire neo-coloniali. In questo quadro assumono una particolare rilevanza le Zone economiche speciali (Zes) su cui la Repubblica popolare cinese (Rpc) investe capitali e energie politiche notevoli.
Pur nel quadro di una ripresa dell’economia mondiale ancora debole, la crescita dello scambio commerciale tra la Rpc e il continente africano continua a ritmi sostenuti. Secondo fonti ufficiali, nel 2012 il valore dell’interscambio commerciale ha raggiunto 198 miliardi di dollari USA. Secondo Xinhua, nel 2013 tale valore ha superato i 200 miliardi di dollari. Allo stesso modo il flusso d’investimenti diretti esteri (Ide) da Pechino verso l’Africa – nonostante le statistiche non siano del tutto attendibili – si è moltiplicato nel corso dell’ultimo decennio: nel 2012, a circa 2.000 società cinesi operanti nel continente africano – quasi la metà rispetto alle 5.090 disseminate nel mondo – è corrisposto un flusso di Ide netto pari a 2,5 miliardi di dollari. Nel 2005 l’ammontare era di 390 milioni. Nella realtà, sembrerebbe che il flusso di Ide, come anche il numero di imprese attive sul continente africano, sia più elevato: l’Heritage Foundation ha stimato un flusso di Ide pari a ben 6,8 miliardi di dollari nel 2012. Tuttavia il dato dell’Heritage Foundation è lordo e, se da un lato non vi rientrano le piccole ma numerosissime attività commerciali e le acquisizioni là dove la società madre abbia sede in un paese differente da quello esaminato, dall’altro sono conteggiati solo gli investimenti superiori a 100 milioni di dollari e le dichiarazioni pubbliche d’investimento piuttosto che i flussi reali.
Un canale particolarmente importante attraverso cui sono veicolati gli Ide cinesi in Africa è rappresentato dalle Zes, piattaforme previste dal “partenariato strategico di mutuo vantaggio” tra la Cina e l’Africa, siglato nel 2006 da Hu Jintao, presidente della Rpc fino alla nomina di Xi Jinping nel marzo 2013. Parte di un’iniziativa politicoeconomica internazionale del governo di Pechino, le Zes costituiscono un modello di cooperazione allo sviluppo di natura sperimentale, rappresentativo dell’approccio strutturale della Rpc nel continente. Nello specifico, la logica delle Zes in Africa è quella della politica “Go Global” (zouchuqu, 走出去), articolata per la prima volta nel X piano quinquennale (2001-2005) e rilanciata nei piani successivi, rispettivamente l’XI (2006-2010) e il XII (2011-2015), in base alla quale le imprese cinesi sono esortate (e supportate) a penetrare i mercati esteri in vari modi. In linea con questa direttiva e con l’intenzione di istituire oltre cinquanta Zes nel mondo, nel 2006, in occasione del Forum on China-Africa Cooperation (Focac), Hu Jintao annunciò la creazione di “zone di cooperazione economica e commerciale” ( jingji tequ, 经济 特区) in Africa – da tre a cinque – da realizzarsi in un arco di tempo definito. Tra il 2006 e il 2007 il Ministero del Commercio ha indetto due gare pubbliche, nelle quali circa centoventi società cinesi hanno presentato una business proposal. In seguito, sette zone in sei paesi africani sono state selezionate seguendo un criterio di profittabilità: Egitto (Egypt Suez Economic and Trade Cooperation Zone), Etiopia (Eastern Industrial Zone), Mauritius (Mauritius Jinfei Economic and Trade Cooperation Zone), Nigeria (Ogun-Guangdong Free Trade Zone e China-Nigeria Economic and Trade Cooperation Zone anche nota come Lekki Free Trade Zone), Zambia (Zambia-China Economic and Trade Cooperation Zone anche nota come Chambishi Multi-Facility Economic Zone) e Algeria (Algeria-China Jiangling Free Trade Zone, anche se la realizzazione di quest’ultima è stata sospesa). L’istituzione e la messa in funzione delle Zes è affidata alle aziende promotrici e vincitrici di una gara pubblica indetta dal Ministero del Commercio della Rpc. Tuttavia, il governo cinese fornisce supporto economico con agevolazioni di varia natura, contributi a fondo perduto e prestiti vantaggiosi; ma anche supporto politico esercitando pressioni, se necessario, per favorire la buona riuscita di questi progetti.
L’acronimo Zes individua varie realtà: free zones, export processing zones, free enterprises, free ports. In generale, con Zes si indica un’area geograficamente delimitata, orientata ad attrarre capitale estero, che ospita una serie di attività economiche e servizi correlati. Ciò che rende “speciali” queste zone è il business environment, caratterizzato da una serie di agevolazioni fiscali e commerciali e da un contesto infrastrutturale funzionale che riduce i costi di transazione. Storie di successo (o insuccesso) delle Zes nel mondo sono state oggetto di uno studio condotto dalla Banca mondiale nel 2010. Nel caso africano, infrastrutture inadeguate, turbolenze politiche, errori di pianificazione e un rischio di investimento molto elevato hanno in passato reso spesso infruttuosi simili interventi. Molti di questi ostacoli persistono, anche nel processo di realizzazione delle Zes cinesi sul suolo africano: per esempio, è talvolta la stessa società demandata alla gestione della Zes a dover supplire alle carenze infrastrutturali del paese, come nel caso della Tianjin Economic-Technological Development Area (Teda) nella Suez Economic and Trade Cooperation Zone.
Tuttavia, affinché le Zes si trasformino in incubatori per una crescita diffusa, e non restino zone franche sconnesse dal territorio in cui sono ubicate, è necessario un trasferimento progressivo di tecnologie e know-how con un coinvolgimento sempre maggiore della realtà imprenditoriale locale. In tal senso, la Rpc si è distinta come il paese che meglio ha saputo avviare zone economiche speciali di diversa natura, rendendole catalizzatori di sviluppo dell’economia nazionale e incubatori per una trasformazione strutturale della stessa. La creazione delle Zes fa parte di un più ampio processo di emulazione del modello di sviluppo cinese in Africa, nonostante i cinesi al termine “modello” (moshi, 模式) preferiscano il meno impegnativo “via” (daolu, 道路). Il “modello” cinese, e più in generale il modello del developmental state nelle sue differenti esperienze in Asia, offre due vantaggi competitivi rispetto ad altre esperienze: in prima battuta, la modernizzazione del paese, in termini di rapida crescita economica, industrializzazione e miglioramento della vita materiale delle persone con un coinvolgimento attivo dello Stato nell’economia; in secondo luogo, un rafforzamento della legittimità dell’elite politica al potere attraverso tale modernizzazione e il preservarsi dello status quo.
Viste da Pechino, le opportunità che le Zes offrono sono molteplici. Esse rendono possibili: l’accesso della produzione cinese ai mercati europei e statunitense per mezzo di canali africani, aggirando così le barriere all’ingresso per le esportazioni provenienti dalla Cina; la riduzione della sovracapacità produttiva d’industrie mature nel mercato cinese, concorrendo così al rebalancing dell’economia cinese; la creazione di economie di scala per investimenti oltremare; l’incremento della domanda di macchinari made in China; in alcuni teatri, l’accesso a preziose risorse naturali ed energetiche.
Le Zes cinesi in Africa presentano alcuni aspetti controversi: le condizioni lavorative, gli standard ambientali, il numero di lavoratori cinesi coinvolti nella realizzazione dei progetti, il focus industriale (in particolare se orientato allo sfruttamento di risorse naturali), e la proprietà della Zes – se 100% cinese (come in Etiopia ed Egitto) oppure mista, con il coinvolgimento di stakeholder locali. Tuttavia, è difficile dare una valutazione puntuale poiché oggi solo tre Zes sono parzialmente operative (Chambishi Mfez, Ethiopian Eastern Industrial Zone, Egypt-Suez Economic and Trade Cooperation Zones).
Le problematiche delle Zes sono sia di natura concettuale, poiché mettono in discussione le politiche e teorie di sviluppo prevalentemente di stampo occidentale fino a oggi attuate in Africa; sia politiche, poiché la loro importanza per la presenza cinese nel continente africano, sia essa politica o economica, non è prevedibile. Anche l’Italia è chiamata a monitorarne con attenzione gli sviluppi, soprattutto in Egitto ed Etiopia, paesi strategicamente rilevanti nel calcolo geopolitico italiano, e in cui esistono chiari interessi economici che potrebbero essere compromessi dal crescente attivismo di Pechino.
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