La pandemia che stiamo attraversando ha posto in primo piano nel dibattito pubblico la relazione tra salute e sicurezza, portando a galla tutti i disequilibri e le storpiature che hanno caratterizzato la concettualizzazione e l’applicazione di questi termini nelle società contemporanee. L’intrinseca relazione tra salute e sicurezza emerge con chiarezza nella loro etimologia, che ne rivela l’interdipendenza e la complementarietà. Si può infatti sentirsi realmente sicuri, esenti da pericoli, se non si è integri e in uno stato di benessere?
Questa correlazione si manifesta in tutta la sua potenza nelle pratiche di distanziamento sociale, in cui si cela una precisa gerarchia tra salute materiale e immateriale, tra sicurezza individualista e comunitaria. Pensato per mettere in salvo i nostri corpi, il distanziamento sociale rischia di avere pesanti ripercussioni sia sul benessere psicologico degli individui sia sulla loro capacità di relazionarsi con l’Altro e con il Mondo che li circonda. Il rischio è appunto di riproporre un modello di sicurezza e un ideale di salute parziali, gli stessi che potrebbero aver co-determinato lo scoppiare della pandemia e le sue tragiche conseguenze. È dunque necessario un atto di riflessione collettiva sul modo in cui abbiamo strutturato il nostro benessere, sugli errori commessi e sulle possibili cure.
Se per alcuni, i più “fortunati”, la quarantena ha significato un temporaneo cambiamento nelle proprie abitudini relazionali e lavorative, per molti ha comportato una maggiore esposizione a forme di violenza domestica, sociale e politica. Ciò è avvenuto con particolare evidenza in contesti di insicurezza umana, dove mancano cioè le condizioni essenziali affinché individui e comunità possano godere di un certo benessere fisiologico, psico-sociale e politico-economico. In questi contesti, in cui i diritti umani vacillano anche in periodi di relativa normalità, la pandemia e le misure adottate per contrastarla hanno reso ancora più difficile la vita delle fasce più vulnerabili della popolazione e il lavoro di chi lotta per il riconoscimento dei loro diritti, come i difensori dei diritti umani, ovvero attivisti, giornalisti e operatori sociali impegnati nel contrasto a istituzioni corrotte e nella trasformazione di servizi inefficienti.
Con il loro lavoro di testimonianza e advocacy, i difensori e le difensore cercano di riportare i diritti universali sul piano delle violazioni e delle mancanze locali e di riconciliare governi e società civile per raggiungere uno sviluppo sostenibile e pacifico. Questi individui, spesso volontari non retribuiti, svolgono un ruolo chiave nel determinare il grado di salute e di sicurezza di una società. In un momento storico come quello che stiamo attraversando, in cui alcuni dei nostri diritti fondamentali sono stati “temporaneamente” sacrificati in nome della sicurezza e della salute collettive, i difensori dei diritti umani sono più che mai cruciali per garantire che la lotta alla pandemia non diventi uno strumento di controllo sociale e non penalizzi nessuno. I gruppi emarginati – dalle donne ai lavoratori informali, dai migranti alle persone in detenzione – rischiano infatti di essere colpiti in modo sproporzionato, o addirittura dimenticati, dalle misure governative per il contenimento del contagio. Il lavoro dei difensori è allora essenziale per far sì che gli stati garantiscano in modo equo e trasparente l’accesso alle informazioni e che, laddove ciò non accada, l’attenzione internazionale venga richiamata e condanni politiche dannose o inadeguate. Allo stesso modo, la loro voce può richiamare l’attenzione sulle incongruenze e le ineguaglianze che caratterizzano il funzionamento dei servizi pubblici e delle istituzioni politico-economiche.
Proprio per il potere eversivo del loro lavoro, d’altra parte, i difensori sono spesso oggetto di pratiche di repressione e criminalizzazione da parte di regimi più o meno autoritari. A questo si aggiungono oggi le conseguenze della quarantena e dell’isolamento sociale. Limitati negli spostamenti, nelle comunicazioni e nella possibilità di trovare supporto morale e attenzione politica, i difensori si trovano a dover fronteggiare nuovi rischi per la loro sicurezza, sia sul piano del benessere individuale sia su quello dell’efficacia professionale. A fronte di minacce “eccezionali”, quali appunto una pandemia, i governi possono infatti fare ricorso a mezzi “straordinari”. Questo comporta generalmente una riduzione radicale delle libertà personali (come libertà di espressione, associazione e riunione pacifica) e un drastico rafforzamento di quelle statali, il cui sintomo più eclatante è l’aumento delle forze dell’ordine per le strade e negli spazi pubblici. Il grado di pericolosità di queste misure dipende molto dal contesto in cui vengono applicate. In regimi non realmente democratici, illegittimi o inefficienti, esse possono infatti diventare armi invisibili, strategicamente impiegate per criminalizzare parole e pratiche dissenzienti. Tristemente, e a conferma di questo pericolo, negli ultimi mesi si è assistito su scala globale a un incremento delle violenze nei confronti di giornalisti, attivisti e operatori socio-sanitari che si dimostrassero apertamente critici nei confronti delle politiche dei loro o altrui governi. In numerosi paesi, tra cui Cina, El Salvador, Iraq, Turchia, Serbia, Egitto, Iran, Bielorussia e Vietnam, sono stati registrati arresti, minacce e abusi di vario genere nei confronti di chiunque criticasse la gestione della crisi. In El Salvador, il Presidente Bukele ha accusato le organizzazioni per i diritti umani di “essere dalla parte del virus” per aver messo in discussione alcune delle misure restrittive. In Iran, dove è stato liberato quasi il 40% della popolazione carceraria, diversi attivisti e attiviste rimangono imprigionati per il loro lavoro pacifico. In Ungheria, il Primo Ministro Orbán ha usato la maggioranza parlamentare del suo partito per imporre uno stato di emergenza indefinito che gli consentirà di incarcerare coloro che diffondono ciò che il Governo considera false notizie che potrebbero allarmare i cittadini.
Le misure straordinarie adottate da molti governi mettono a dura prova il lavoro e la vita dei difensori e delle difensore e, di riflesso, compromettono le libertà e le sicurezze di tutti. A questo proposito, l’Alto Commissario per i Diritti Umani delle Nazioni Unite (OHCHR) ha dichiarato che “le dichiarazioni di emergenza basate sull’epidemia di COVID-19 non dovrebbero essere utilizzate come base per colpire determinati gruppi, minoranze o individui. Non dovrebbero fungere da copertura per azioni repressive con il pretesto di proteggere la salute, né dovrebbe essere usato per mettere a tacere il lavoro dei difensori dei diritti umani”. Eppure, in Iran, il Governo ha attivato una collaborazione con il Gruppo NSO, agenzia di sicurezza privata che fornisce servizi ai governi per la lotta al crimine e al terrorismo, mentre in Russia è stata decisa l’approvazione di uno dei più grandi sistemi di telecamere di sorveglianza al mondo, dotato di tecnologia di riconoscimento facciale. Questo genere di servizi e tecnologie può facilmente essere convertito a strumento di monitoraggio continuo di soggetti critici e quindi scomodi. Accanto alle misure statali, sono aumentate esponenzialmente anche le pratiche informali di contenimento del dissenso. In Colombia, dall’inizio del 2020, più di 100 difensori dei diritti umani sono stati ammazzati, con il picco di omicidi raggiunto durante le settimane della quarantena. In Brasile, dove sono frequenti gli omicidi di leader indigeni, è stato registrato un aumento delle attività di estrazione illegale e disboscamento nei territori delle comunità originarie: con le restrizioni in atto, le comunità e i loro leader sono rimasti isolati dai loro supporti esterni e quindi più vulnerabili nella lotta per la difesa della Terra.
La stigmatizzazione sociale di attivisti e giornalisti, il controllo dei loro movimenti e il silenziamento delle loro voci possono avere ripercussioni pesanti su gruppi e realtà già a rischio e quindi minacciare non solo i loro diritti fondamentali, ma la stessa democrazia e lo stato di diritto. Questo rischio si fa ancor più concreto perché le pratiche di repressione e criminalizzazione tendono ad avere effetti anche gravi sulla salute psico-fisica e sul senso di sicurezza dei difensori e delle difensore. Già normalmente esposti a attacchi più o meno diretti e a pratiche volte a minare la loro autostima e capacità d’azione, il momento di crisi che stiamo attraversando potrebbe acuire ulteriormente il senso di fragilità e impotenza di questi soggetti. L’isolamento forzato può infatti generare, sul medio-lungo termine, reazioni simili a quelle causate da eventi traumatici, quali depressione, ansia, solitudine, tristezza, preoccupazione, paura, rabbia, fastidio, frustrazione, senso di colpa, impotenza, solitudine e nervosismo. Nel riflettere sull’importanza del loro ruolo nelle società contemporanee e future è importante quindi tener presente l’eventualità di un aggravamento del senso di isolamento e di abbandono dei difensori dei diritti umani. Prestare attenzione alla loro dimensione psico-somatica e psico-sociale è condizione essenziale affinché essi possano svolgere il loro lavoro. Sentimenti di malessere e paura, infatti, generano confusione, mettendo in discussione i riferimenti personali e generando sentimenti di impotenza individuale e collettiva. Nei casi limite, ciò può portare a un blocco emotivo e a una confusione politica che rendono incapaci di agire e re-agire, con conseguente aumento del senso di frustrazione.
La crisi sanitaria in cui molti paesi sono precipitati negli ultimi mesi trova le sue radici più profonde in una concezione materialista e utilitaristica dell’essere umano e del suo rapporto con l’Altro. Plasmato su questa concezione, il sistema di welfare neoliberale ha ridotto la cura a cura del corpo e la sicurezza a sicurezza economica. Ne è risultato un pericoloso abbandono della dimensione psico-sociale dell’esistenza, che è andato di pari passo con la formalizzazione di un rapporto di competizione e sfruttamento nei confronti dell’Altro e del Mondo. Una logica materialista, utilitaristica e sfruttatrice ha messo in secondo piano il senso della solidarietà e della cura reciproca, lasciando che investitori e corporazioni assorbissero capitali che avrebbero potuto essere destinati all’istituzione e al rafforzamento dei servizi pubblici e della sicurezza sociale. Sono stati così traditi i due ideali fondativi della promessa democratica contemporanea, quello dell’uguaglianza e quello della partecipazione. Nelle profonde disuguaglianze intra- e inter-nazionali, l’accesso ai servizi e la garanzia dei diritti si sono resi quanto mai selettivi ed escludenti.
Il virus ha fatto sì che emergesse l’inconsistenza di un tessuto sociale inaridito da economie predatorie e politiche parassitarie. Serve allora un pensiero collettivo e orientato alla cura, che non può e non deve essere solo quella del corpo, ma anche quella della mente e delle relazioni sociali, nonché del rapporto con la natura. La sicurezza e la salute dei difensori dei diritti umani e dell’ambiente sono allora ancor più fondamentali perché questi soggetti si fanno spesso promotori di forme di conoscenza e di comportamento “alternative” rispetto a quelle mainstream. Entrando in un dialogo attivo e propositivo con comunità indigene, per esempio, i difensori della Terra e dell’ambiente si fanno portatori di codici etici in cui l’interrelazione tra essere umano e Natura è fondativa e imprescindibile. Nella concezione di molte comunità indigene, l’idea del buon vivere riconosce la correlazione sistemica di diversi domini per costruire il benessere individuale (armonia con se stessi), sociale (armonia con gli altri) ed ecologico (armonia con l’ambiente naturale). Eppure, secondo il Meccanismo di Esperti dell’OHCHR sui Diritti delle Popolazioni Indigene, la diffusione di COVID-19 ha esacerbato e continuerà ad aggravare una situazione già critica per molte popolazioni indigene, da tempo esasperate da politiche inique e discriminatorie.
Le misure che i governi stanno attuando oggi determineranno in maniera sostanziale il nostro futuro. La pandemia ha messo a dura prova la nostra salute – fisica e mentale – e la nostra sicurezza – politica, economica ed ecologica. L’uscita dalla crisi nel rispetto dei diritti umani deve allora comportare una riscoperta della natura complessa dell’essere umano, che non è solo corpo-macchina, votato alla produzione e all’efficienza, ma anche spirito, intelletto, socialità e affettività. Ciò significa riscoprire il valore dell’immateriale per opporlo al materialismo individuale e all’utilitarismo socio-ecologico. Ricercatori e operatori dagli ambiti più svariati stanno ribadendo l’urgenza di un cambio di prospettiva. Si richiede uno spostamento dell’attenzione dagli interessi personali e individualistici a modi collettivistici di relazionarci con il mondo, per riscoprire gli effetti che il nostro comportamento ha sull’Altro e formulare un modello di equa condivisione delle risorse, siano esse materiali o immateriali. La fase di recupero dalla pandemia richiederà allora di passare a un’economia “compassionevole” e a una politica della cura che generi mezzi di sussistenza efficaci e sostenibili per tutti. L’essenziale (materiale e immateriale, individuale e collettivo) deve essere accessibile a tutti e, perché lo sia, tutto deve essere ripensato. Per questo devono avere peso e sostanza le parole e il pensiero dei movimenti sociali e degli attivisti per i diritti umani.
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Per saperne di più
Access Now (2020) “Fighting misinformation and defending free expression during Covid-19: recommendations for states”. Disponibile su: https://www.accessnow.org/cms/assets/uploads/2020/04/Fighting-misinformation-and-defending-free-expression-during-COVID-19-recommendations-for-states-1.pdf.
Agamben G. (2020) “Una domanda”. Quodlibet, 13 Aprile 2020. Disponibile su: https://www.quodlibet.it/giorgio-agamben-una-domanda.
Amnesty International (2020) Human rights defenders: We need them more than ever! States worldwide must protect Human Rights Defenders in the current COVID-19 crisis. Disponibile su: https://www.amnesty.org/en/documents/act30/2102/2020/en/.
Il Manifesto (2020) “400 scienziati scrivono a Conte e Mattarella per un paese sostenibile dopo Covid-19”, 22 Maggio 2020. Disponibile su: https://ilmanifesto.it/400-scienziati-scrivono-a-conte-e-mattarella-per-un-paese-sostenibile-dopo-covid-19/.
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