La possibilità di rispondere alla pirateria marittima impiegando a bordo di navi civili team armati si è concretizzata in Italia con D. L. 107/2011, poi convertito nella Legge 130/2011. Dal novembre 2011 sono stati dunque impegnati nell’Oceano Indiano a bordo di navi mercantili italiane i Nuclei Militari di Protezione (NMP), costituiti da fucilieri del reggimento San Marco messi a disposizione dalla Marina Militare Italiana. Questi, tuttavia, non riuscivano a soddisfare appieno le esigenze del mondo armatoriale, sia in termini di copertura delle rotte che di flessibilità operativa. Sulla carta la L.130/2011 consentiva anche l’imbarco di guardie private in vece dei Fucilieri di Marina, ma il lungo iter per l’attuazione di questo “secondo pilastro” della Legge 130 si è concluso soltanto nell’ottobre del 2013, con una Circolare del Ministero dell’Interno. Ciò ha finalmente permesso alle società armatrici di avvalersi di servizi di protezione attiva da parte di Istituti di Vigilanza Privata (così come disciplinato dal D.M. n.266/2012).
Nel novembre del 2013, Metro Security Express (MSE) è stato il primo Istituto di Vigilanza italiano a ottenere l’estensione di licenza per poter effettuare i servizi di antipirateria marittima a bordo delle navi italiane che transitano in aree a rischio pirateria, definite dal Ministero della Difesa con apposito decreto. Originariamente, tali aree corrispondevano con le acque dell’Oceano Indiano occidentale, a Est cioè del Corno d’Africa, ma sono state estese nel 2015 anche al Golfo di Guinea e a diverse zone nei mari del Sud-est asiatico. Nell’aprile del 2014 un team della MSE ha quindi effettuato il primo servizio di protezione con rotta Dar Es Salaam-Fujairah. I transiti effettuati sono ora quasi duecento e tutti si sono conclusi con la piena soddisfazione delle società di navigazione coinvolte.
Nonostante i successi conseguiti, molti sono gli scogli che MSE ha dovuto affrontare quando ha esteso la sua attività al settore della sicurezza marittima e che deve tuttora affrontare per operare in tale settore. I nodi critici più significativi sono tre e riguardano il processo di autorizzazione, le questioni di ordine logistico e il reclutamento del personale.
Circa il primo di questi temi, ovvero il processo di autorizzazione, in ottemperanza alle attuali norme di legge prima di arrivare a far imbarcare il team di sicurezza sono necessarie due fasi di autorizzazione, entrambe caratterizzate da una pluralità di passaggi. Per quel che concerne la prima fase:
In seguito a questi passaggi, l’Istituto può ricevere l’ordine da parte del Cliente, che viene contrattualizzato sul modello standard impiegato per i team armati imbarcati (BIMCO-Guardcon), e può passare quindi alla fase successiva di richiesta delle autorizzazioni per ogni singolo transito. Questa seconda fase è a sua volta costituita da più passaggi:
Completati tutti i passaggi di entrambe queste fasi di autorizzazione, ciascuna corredata ovviamente di tasse di bollo, il team può finalmente essere imbarcato.
Se si considera che la seconda fase, strettamente operativa, deve essere conclusa entro massimo 72 ore dall’invio della richiesta, ben si comprende che la complessità del processo autorizzativo è una chiara penalizzazione per le aziende italiane che operano in un mercato internazionale dove le procedure richieste ai competitor sono decisamente più snelle. Uno per tutti è il caso di Malta, dove è richiesta una sola autorizzazione rispetto alle otto italiane, che viene rilasciata su richiesta del Company Security Officer a mezzo e-mail nel giro di 3 ore al massimo.
Occorre però aggiungere che nonostante le difficoltà, MSE è riuscita a effettuare con la massima puntualità tutti i transiti richiesti, grazie soprattutto alla disponibilità e alla collaborazione ricevute dai singoli funzionari pubblici delle Questure e della Capitaneria demandati al rilascio delle autorizzazioni, che hanno consentito comunque la tenuta del sistema.
Evidentemente la fase autorizzativa, sebbene complessa, rappresenta una sola delle diverse facce problematiche che MSE ha dovuto risolvere per imporsi come leader del mercato. Contestualmente, l’azienda ha dovuto infatti affrontare anche complesse questioni logistiche, dovendo garantire il movimento del proprio personale, nei porti nei quali è previsto l’imbarco e lo sbarco dei team, e il movimento delle armi e dell’equipaggiamento laddove la legislazione dello Stato di transito è anche parecchio restrittiva.
Posto che nessun team si imbarca in porti italiani, al fine di garantire la massima mobilità in tutti i porti operativi, si è deciso di dotare tutte le Guardie Giurate del Seaman Book (una sorta di passaporto dei marittimi), sebbene questo fra i tanti documenti non fosse richiesto dalla Legge. Questo documento semplifica le pratiche portuali e aeroportuali di ingresso e uscita del personale negli stati di transito. Per quel che riguarda armi ed equipaggiamento, invece, dove non era possibile creare un deposito autorizzato a terra, si è deciso di optare per l’utilizzo di “navi armeria” gestite da società private e posizionate fuori dalle acque territoriali.
Al fine di garantire il supporto logistico in loco si è poi proceduto a tessere una rete di agenti che fossero in grado di garantire servizi affidabili e puntuali. Questo ha richiesto molto tempo, grande pazienza, lavoro incessante anche fuori dalle normali ore di ufficio (in considerazione dei fusi orari) e un’ottima dose di savoir faire, soprattutto considerando che MSE si è affacciata a una realtà nuova senza credenziali di esperienza e ha dovuto quindi acquisire credibilità ex novo. La massima serietà e la puntualità nei pagamenti, supportati dal fatto di poter contare su contatti internazionali già attivi nel campo dell’antipirateria, ha consentito a MSE di dimostrare e consolidare nel tempo la sua piena affidabilità.
Un discorso a parte riguarda infine il reclutamento del personale. Tra i requisiti previsti dalla regolamentazione vigente vi è infatti il superamento da parte delle Guardie Giurate di un corso di addestramento teorico-pratico specifico sulla sicurezza portuale e sulla sicurezza e le comunicazioni a bordo delle navi, coordinato da Capitaneria e Marina Militare. Soltanto un’unica edizione di tale corso è stata però bandita nel maggio del 2016 ed è andata completamente deserta. Ciò anche a causa degli oneri piuttosto elevati a carico dei destinatari, in un mercato che dal 2013 si trovava in fase nettamente calante. In realtà, fin da subito è stata prevista la possibilità in deroga di impiegare a bordo anche Guardie Giurate che non avessero frequentato questo corso, purché avessero partecipato per almeno sei mesi a missioni internazionali, con incarichi operativi, in seno alle forze armate.
Tale regime è tuttora in vigore, con prossima scadenza al 31 dicembre 2017. Siamo tuttora in attesa di un’ennesima deroga al fine di evitare che le navi battenti bandiera italiana siano le uniche nel panorama internazionale a dover transitare in aree ad alto rischio senza adeguate misure di sicurezza. Si attende inoltre la definizione di un ulteriore intervento legislativo già preannunciato ma del quale non si hanno notizie certe.
In ottemperanza a quanto sopra, tutti i team di MSE sono composti da ex-appartenenti alle forze armate con lunghi periodi di missione all’estero e in alcuni casi con esperienze in reparti delle forze speciali. Prima dell’impiego, le Guardie antipirateria conseguono anche il certificato IMO/STCW 95 ai sensi delle regole previste dal VI/I dell’annesso alla convenzione internazionale IMO/STCW 95 e, a completamento della loro preparazione, partecipano a un “Security Awareness Training” ottenendo un attestato specifico al superamento di un esame finale. Si tratta di un processo di formazione specifico in materia di safety per i marittimi che consente alle guardie di muoversi in sicurezza sulla nave e in mare. Sulle navi è previsto l’impiego di un team composto da quattro guardie giurate il cui imbarco/sbarco è previsto, nei porti in cui è permesso, con armi ed equipaggiamento, o, in alternativa, presso le navi armeria.
Oggi, sebbene ci sia stato un notevole calo della richiesta dovuto al ridimensionamento della minaccia derivante dalla pirateria marittima, MSE può dirsi un attore affermato del settore, come dimostrato anche dalla sua partecipazione (tramite la propria Associazione di Categoria, ASSIV) ai tavoli tecnici ministeriali dedicati all’antipirateria. La MSE è quindi in grado di fornire i propri servizi attraverso un “sistema organizzato”, che consente di operare con rapidità di risposta, flessibilità di intervento e massima precisione e puntualità, in più di 35 porti nell’area ad alto rischio.
Allo stato dell’arte, in considerazione di quanto fatto sino ad ora nel campo dell’antipirateria marittima, si ritiene siano maturi i tempi affinché sia permesso agli Istituti di Vigilanza di operare anche nel settore terrestre al di fuori dei confini nazionali. Questo consentirebbe alle aziende italiane che operano all’estero in settori strategici, dove la sicurezza non può essere garantita con lo strumento militare, di provvedere alla propria sicurezza con risorse nazionali. Tale possibilità offrirebbe un vantaggio competitivo al nostro “sistema paese” rispondendo a molteplici e diversificate esigenze. Si darebbe vita a quel concetto di “sicurezza partecipata” in cui il settore pubblico e quello privato mettono insieme esperienze e risorse diverse, al fine ultimo di contribuire alla sicurezza della collettività e quindi alla sicurezza nazionale.
[IMMAGINE Metro barca] Antipirateria marittima in Italia. Fonte: Metro Security Express.
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