Le unità aviotrasportate rivestono un ruolo cruciale all’interno delle forze armate russe. Secondo la dottrina militare russa, infatti, la Vozdushno-Desantnye Voyska (VDV) è designata quale riserva strategica dell’alto comando militare e costituisce il nucleo delle forze di reazione rapida. Questa designazione sottolinea l’importanza attribuita alla VDV e ne giustifica la complessa struttura organizzativa.
La VDV è composta da due divisioni di fanteria aviotrasportata, due divisioni di assalto aereo, quattro brigate indipendenti di fanteria meccanizzata aviotrasportata, una brigata dedicata alle comunicazioni e alla guerra elettronica e una brigata di Spetsnaz (forze speciali) per la ricognizione in profondità. La composizione diversificata della VDV è stata pensata, fin dall’era sovietica, per adattarsi a una vasta gamma di scenari operativi e per affrontare una varietà di compiti sul campo di battaglia. Le due divisioni di fanteria aviotrasportata costituiscono il nucleo centrale della VDV. Queste unità sono addestrate per eseguire l’assalto, l’occupazione e la difesa di obiettivi strategici, nonché per condurre operazioni di combattimento sul territorio nemico. Le divisioni di assalto aereo, invece, hanno il compito di garantire l’aereo-sbarco di forze meccanizzate che servono a stabilire una testa di ponte oltre le linee nemiche consolidando il controllo di aeroporti e di snodi logistici strategici.
L’impiego di aerei da trasporto ed elicotteri rende la VDV una forza di combattimento altamente mobile e dispiegabile con tempi ridotti, mentre la diversificazione interna ne massimizza la flessibilità operativa, garantendo che l’unità sia in grado di rispondere in modo efficace a diverse situazioni, sia nella difesa del territorio nazionale che in operazioni all’estero. La VDV è stata infatti impiegata tanto in contesti considerati di “sicurezza nazionale” come in Cecenia (1994-1996 e 1999-2009) quanto in contesti esteri come in Afghanistan (1979-1989), in Ossezia del Sud (2008), in Siria (2015-2021) e in Ucraina, fin dalle prime operazioni del 2014.
Ed è proprio alla VDV che era stato affidato il compito più critico e cruciale dell’offensiva russa in Ucraina iniziata il 24 febbraio 2022. La VDV avrebbe dovuto catturare l’aeroporto cargo “Antonov” di Hostomel (situato a soli 10 km da Kyiv) ed assicurare una testa di ponte per lo sbarco del grosso delle forze meccanizzate russe. Una volta raggiunto questo obiettivo, secondo lo Stato Maggiore russo Kyiv sarebbe caduta in pochi giorni, se non addirittura in poche ore. Come ben sappiamo, le cose sono andate in modo assai diverso.
Sono le ore 5 del 24 febbraio quando i primi missili balistici Kalibr russi colpiscono il suolo ucraino nell’area di Kyiv. La fase di bombardamento tattico deve garantire una cornice di relativa sicurezza per l’atterraggio di aeromobili e rallentare l’intervento di forze di reazione nemiche, come prescritto dalla dottrina d’impiego delle forze aviotrasportate. I primi obiettivi sono quindi le caserme e le difese antiaeree intorno all’aeroporto “Antonov”, le cui posizioni erano state svelate all’intelligence russa da un funzionario civile ucraino. La scelta di missili da crociera, a guida GPS, aveva l’obiettivo di limitare i danni collaterali alle infrastrutture aereoportuali, in particolar modo alla runway, la pista attrezzata adibita al decollo e all’atterraggio dei velivoli, fondamentale per rendere operativa la testa di ponte russa. I missili russi danneggiano alcune batterie antiaeree in prossimità del perimetro aeroportuale, ma gli assetti militari ucraini rimangono quasi del tutto illesi: né la caserma della Guardia Nazionale a difesa dell’aeroporto né quella della 4th Rapid Reaction Brigade “Rubizh” situata a 20 km dall’aeroporto subiscono danni. I processi di valutazione dinamica dei danni di battaglia e di re-targeting degli obiettivi da parte dei russi non sono sufficientemente granulari o abbastanza veloci per tenere conto del riposizionamento della maggior parte delle difese aeree mobili ucraine nelle ore precedenti all’attacco e conseguentemente per ottenere soppressione delle difese nemiche su larga scala.
Verso le ore 8:30 si intravedono all’orizzonte le pale dei primi elicotteri d’assalto russi Ka-52 Alligator (se ne conteranno circa 30 in totale) in arrivo dal confine bielorusso insieme ad alcuni caccia SU-25, dispiegati in numero limitato a causa del rischio di intercettazione. Questa prima ondata di attacco aveva lo scopo di colpire obiettivi a terra, in particolare le unità ucraine che si immaginava sarebbero giunte a difesa del perimetro. Gli elicotteri attaccano in gruppi di quattro, scaricano le loro munizioni e poi fanno ritorno al fiume Irpin, dove nuovi gruppi sono già in partenza. Il circuito di attacco a bassa quota dura per più di un’ora, con un intenso volume di fuoco concentrato in un’area di circa 2 km quadrati. L’attacco aereo russo sortisce effetti minori di quelli sperati. La ragione dello scarso impatto risiede nell’esigenza dei velivoli di mantenere un profilo di volo eccessivamente basso a causa della presenza di batterie antiaeree in funzione: costretti a far fuoco a vista, i piloti russi non erano nelle condizioni di poter agganciare bersagli, mentre gli Ucraini godevano della copertura degli edifici aereoportuali ancora intatti. I Russi perdono tre elicotteri d’assalto Ka-52 e almeno due elicotteri da trasporto Mi-8 Hip abbattuti da armi automatiche e vecchi MANPADS (ovvero sistemi antiaerei portatili individuali). Gli Ucraini contano una sola vittima (civile).
I difensori riescono quindi a respingere il primo assalto, obbligando gli elicotteri d’attacco russi a ritirarsi e a interrompere il supporto di fuoco. L’aviazione russa riesce però a far sbarcare circa 250 soldati della 31ª Brigata d’assalto aviotrasportata in tre diversi punti nei dintorni dell’aeroporto: il gruppo aviotrasportato russo deve prendere il controllo dell’aeroporto per consentire l’atterraggio dei cargo militari in attesa. Di fronte a loro c’è la Guardia Nazionale ucraina in posizione difensiva con mezzi blindati e alcune batterie antiaeree ancora operative. La guarnigione della Guarda Nazionale consta in quella mattina di poco più di 200 effettivi. Nei giorni precedenti la maggior parte degli uomini, dei mezzi e dei materiali era infatti stata spostata verso la regione di Sieverodonetsk, nell’Oblast di Luhans’k – l’area di contatto con il nemico da dove si immaginava di poter giungere allo sforzo offensivo principale. A difendere il più grande scalo logistico dell’Ucraina erano rimasti dunque solo coscritti, con limitati mezzi a disposizione e scarsa o nulla esperienza di combattimento. Tuttavia, mentre la dottrina russa richiederebbe un rapporto minimo di 3:1 tra attaccanti e difensori, la mattina del 24 febbraio 2022 i paracadutisti della 31ª Brigata si trovano in una situazione di quasi parità di forze e devono affrontare la necessità di distruggere postazioni antiaeree sparse e distanti tra loro, combattere in terreno aperto contro un nemico che si è barricato negli edifici e assicurarsi il pieno controllo dell’ampio perimetro dell’aeroporto per consentire l’atterraggio di un intero battaglione di fanteria meccanizzata. È evidente quanto azzardata fosse la missione loro assegnata. A quasi dieci ore dall’inizio dell’attacco nessun cargo russo ha ancora toccato il suolo ucraino: un ritardo fatale.
La guarnigione ucraina resiste all’avanzata dei nuclei di assalto della VDV subendo pochissime perdite. Arrivati alle ore 15, però, gran parte dei soldati ucraini non ha più munizioni per rispondere al fuoco nemico. Viene dato l’ordine di ritirata. Il piano di Kyiv prevede ora l’impiego delle due brigate di artiglieria dislocate nella regione e dei bombardieri per distruggere la pista d’atterraggio, impedendo definitivamente lo sbarco del grosso delle forze aviotrasportate russe. Da terra arrivano le forze speciali e i paracadutisti ucraini in prossimità dell’area per dar la caccia agli uomini della VDV. Durante la notte tra il 24 ed il 25 febbraio, i paracadutisti russi subiscono pesanti perdite da parte del 3rd Special Purpose Regiment (forze speciali dell’esercito ucraino) e dell’Alpha Group (Spetsnaz sotto il direttorato di Intelligence di Kyiv). Gli scontri a fuoco si intensificano e si prolungano anche dopo il tramonto: con sorpresa, gli Ucraini si accorgono di avere dalla loro il favore delle tenebre. Infatti, nonostante si tratti dell’élite delle forze armate russe, gli operatori della VDV non sono equipaggiati con visori notturni e non sono addestrati a questo tipo di combattimento a causa della cronica e pervasiva corruzione del procurement militare russo e dello scarso investimento in formazione specialistica. Si contano, in poche ore, almeno ottanta caduti nelle fila russe. Giungono in soccorso, via terra, le unità paramilitari Akhmat legate al dittatore ceceno Kadyrov e originariamente incaricate dell’uccisione di Zelensky in quel di Kyiv. La sorte di queste unità mandate a supporto dello sforzo russo non è differente: i “Kadyrovtsy” ceceni vengono decimati dall’aviazione ucraina e dai celebri droni turchi Bayraktar TB2.
I continui combattimenti impediscono alle forze russe di attuare il loro piano. Hostomel può solo rimanere un mero avamposto nei pressi di Kyiv, perdendo il suo ruolo strategico. L’impatto sull’offensiva russa è determinante: invece di atterrare alle soglie di Kyiv, intere divisioni di paracadutisti, fanteria meccanizzata e unità corazzate (più di quindicimila uomini) sono costrette ad avanzare via terra dal confine bielorusso verso la capitale ucraina, formando il noto convoglio lungo 60 km. L’operazione via terra, come risaputo, fu un totale fallimento, con enormi perdite di uomini mezzi e materiali da parte russa e l’inevitabile decisione di ritirarsi dall’Oblast di Kyiv a fine marzo.
L’operazione di aviosbarco del 24 febbraio rappresenta la prima vera operazione su larga scala della VDV. Come anticipato, l’unità è stata impiegata in molti altri teatri ma mai in contesti di guerra simmetrica ad alta intensità, con impiego dietro le linee nemiche per garantire l’occupazione e la difesa di una testa di ponte. Un’operazione così complessa necessita di una perfetta orchestrazione a livello di comando e controllo tra varie componenti: aviazione, forze di terra, artiglieria, intelligence. Nella ricostruzione degli eventi del 24 febbraio risulta evidente come queste componenti non abbiano dialogato tra loro e i fallimenti della componente missilistica abbiano portato all’inevitabile fallimento dell’intervento a terra, nonostante un avversario nettamente inferiore in termini quantitativi e qualitativi.
Il fallimento della VDV nell’ottenere il controllo dell’aeroporto di Hostomel ha costituito un “single-point of failure” per l’intera offensiva verso Kyiv, la più importante tra le quattro direttrici di attacco russe. I pianificatori degli alti comandi russi hanno sovrastimato le proprie capacità di targeting missilistico mostrando un sistema di validazione target e valutazione impatto inefficace. Inoltre, è stata data priorità all’acquisizione ed il mantenimento del controllo dell’aeroporto e delle sue infrastrutture rispetto alla soppressione delle difese aere e delle artiglierie ucraine le quali, inevitabilmente, hanno risposto con la distruzione della pista di atterraggio. L’evidente e pregiudizievole sottovalutazione delle capacità di reazione e resistenza delle difese ucraine risulta essere solo la conseguenza di disfunzionalità sistemiche dell’apparato militare russo, come già osservato in un numero precedente di Human Security. È quindi utile soffermarsi sull’analisi delle cause prime del fallimento della VDV rapportandole a elementi endogeni dell’apparato militare russo e della sua guida politica.
Come già accennato, la VDV ha limitate capacità di addestramento al paracadutismo rispetto alle corrispettive unità aviotrasportate della maggior parte dei paesi NATO. La VDV ha storicamente ostentato di garantire alle reclute più lanci addestrativi rispetto ai blasonati rivali americani delle 101st e 82nd Airborne Divisions, ma nei fatti questa si è dimostrata mera propaganda. Il costo per la formazione di un paracadutista è infinitamente superiore a quella di un fante specializzato, con tempi per l’addestramento di base che variano dai tre ai sei mesi. Gli addestramenti dei paracadutisti militari richiedono istruttori altamente qualificati, aeromobili dedicati, attrezzature tecniche e strutture di addestramento specializzate. La VDV non dispone di abbastanza aerei cargo Il-76 per assicurare la proiezione simultanea di più di due reggimenti su una forza totale di due divisioni (cioè meno di un quarto della capacità). Gli aeromobili da dedicare alla formazione dei paracadutisti russi sono quindi pochi e desueti. Così, negli ultimi anni è diventata consuetudine per le reclute della VDV effettuare un numero molto più esiguo di lanci ad alta quota prima di prendere il brevetto.
Nel corso dell’ultimo decennio, la carenza strutturale di aeromobili da trasporto – molto costosi e con una filiera produttiva complessa – e la dipendenza della VDV dall’aeronautica militare (VKS) riguardo la disponibilità di assetti volanti, ha portato i vertici militari russi a plasmare un nuovo concetto di impiego della VDV, incentrato sull’aviosbarco tramite elicotteri da trasporto (Mi-8 Hip) e close-air-support tramite gli elicotteri Ka-52 Alligator.
La dottrina di impiego russa prevede la disposizione di nuclei di elicotteri a massimo 20 minuti di volo dalla zona di intervento, dove è richiesto “close-air support” in favore delle truppe di terra. Inevitabilmente gli elicotteri devono essere stazionati in relativa prossimità rispetto alla linea di contatto con il nemico. Un tale concetto operativo è applicabile solo se chi lo utilizza ha il pieno controllo della dimensione aerea e se non è a tiro dell’artiglieria nemica. Non è applicabile in contesti di guerra simmetrica (quando le parti in causa usano strategia e risorse simili o comparabili tra loro) e ad alta intensità (dove il contatto tra le forze produce scontri su larga scala con alti volumi di fuoco) come quanto visto finora in Ucraina. Gli elicotteri russi sono sotto la costante minaccia dei sistemi missilistici antiaerei a corto raggio trasportabili a spalla, come i famosi Javelin, forniti agli Ucraini da Americani ed Europei (sono più di settemila i sistemi antiaerei ricevuti solo dagli Stati Uniti, una quantità enorme). Per rispondere a questa costante minaccia i Russi hanno adattato i loro elicotteri d’assalto Ka-52 al ruolo di artiglieria volante a lungo raggio, invece di adibirli al sorvolo e all’attacco diretto di obiettivi a terra. I piloti sono così costretti a volteggiare a bassa quota conducendo l’attacco con missili S-8 non guidati da 80 mm alla cima di una rapida parabola di volo, ridiscendendo velocemente a bassa quota per evitare di essere intercettati. Questa procedura di utilizzo dei razzi non guidati permette all’elicottero di sparare i missili a una distanza maggiore dall’obiettivo garantendo una minore esposizione al fuoco nemico, seppur con scarsi risultati in termini di precisione sul bersaglio. Tale impiego di fuoco potrebbe essere svolto agevolmente dall’artiglieria con meno costi, meno rischi di perdite ed ottimizzando il ruolo di supporto a terra designato per i Ka-52. Se tali sofisticati mezzi hanno goduto di numerose innovazioni tecnologiche nelle capacità offensive e di manovrabilità, i sistemi di difesa sono preventivi e si concentrano su evasione da missili a guida termica e laser mentre la corazzatura non è stata rafforzata, non potendo gravare di ulteriore peso i motori. Non a caso nella battaglia dell’aeroporto “Antonov”, gli abbattimenti ucraini avvengono tramite fuoco di armi automatiche e vetusti sistemi antiaerei.
Dopo la disfatta di Hostomel, la VDV è stata impiegata come unità di fanteria meccanizzata specializzata, invece che come fanteria meccanizzata aviotrasportata. In termini pratici ciò significa che le unità della VDV vengono utilizzate come task force di intervento in diverse aree. Ciò è accaduto nel Donbass tra Lyman e Vulhedar (maggio-giugno 2022), nel sud tra Mykolayiv e Mariupol (marzo-maggio 2022), a Kherson fino alla ritirata nel settembre 2022, e nella difesa di Bakhmut. Questa disaggregazione delle formazioni VDV in diversi settori del fronte contrasta con la dottrina di impiego originaria e suggerisce che le forze armate russe stiano usando i resti delle unità d’élite per colmare le lacune e come rinforzi puntuali in aree chiave. L’adattamento forzato a questo ruolo operativo risulta particolarmente problematico a causa delle caratteristiche dei mezzi blindati assegnati alla VDV: mezzi molto leggeri e veloci, nati per essere lanciati con paracadute da alte quote. Tali mezzi non sono predisposti a resistere al fuoco anticarro e sono generalmente meno armati e corazzati rispetto alla media dei mezzi dell’esercito russo. Facendo una media tra le fonti del Ministero della Difesa ucraino e le fonti di intelligence della NATO, si può stimare una perdita in combattimento di almeno il 40% degli effettivi della VDV disponibili a inizio del 2022: una ferita profonda e non rimarginabile in quella che, per decenni, è stata vista come la punta di lancia del Cremlino.
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